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Aspetti inquietanti del modernismo

Aspetti satanici del Modernismo 

Le dichiarazioni e gli atti sconcertanti di certa parte della gerarchia cattolica rivelano che è in atto la fase finale del tentativo modernistico di occupare la Chiesa di Roma. 

La mala pianta modernista abbattuta da San Pio X rigermogliò negli anni ’30 con una nuova veste, la Nouvelle Théologie. Condannata da Pio XII, questa recrudescenza eretica fu da Giovanni XXIII tacitamente riabilitata, tanto da nominare i suoi esponenti come esperti e periti conciliari. 

Passati cinquant’anni, durante i quali l’eresia si è incistata nei seminari e incidendo sul modo di professare la fede di prelati, pastori e laici, vediamo oggi che gli adepti più risoluti di questo modo di sentire la religione stanno scivolando su una prassi per molti versi aliena non solo dal cattolicesimo ma anche dal cristianesimo. Come è stata possibile una tale contraffazione ed inversione? Il fatto è che alcuni aspetti del modernismo ne rivelano l’origine satanico-luciferina, in particolare:  

  • Il non fronteggiare apertamente il Magistero, ma operare come agente patogeno che lo aggredisce

  • Il ribrezzo e ripudio nei confronti di ogni manifestazione che ricordi la religione cattolica

  • Alcune proposizioni ereticali 

Tali aspetti demoniaci discendono dall’obiettivo in partenza bacato del modernismo, quello di accordare la Rivelazione soprannaturale con l’istinto di indipendenza e autonomia dell’uomo. 

Il modernismo come agente attivo della dissoluzione 

Un primo punto, messo in luce da più parti, è la natura non teoretica del movimento. Il modernismo non è un’eresia che si contrappone con proposizioni alternative alla dottrina cattolica– come è avvenuto con il luteranesimo. Al contrario il modernismo non ha alcun punto fermo, è più appunto un modo di sentire, un sentimento e, al contempo, un atto, una prassi. 

Azione peculiare del modernismo è quella di gettare l’ombra del sospetto su tutto l’essere ecclesiale, dal depositum fidei alle azioni dispiegate dalla Chiesa di Roma nella storia. 

Il modernismo, infatti: 

  • semina il dubbio (di inautenticità o infondatezza) su tutte le credenze professate nei secoli. A partire dai dogmi e dal valore delle Scritture, fino alla liturgia e l’etica. Tale antidogmatismo riecheggia pari pari la suprema legge della Massoneria: l’esistenza e stabilità dei dogmi infatti impedisce il cambiamento ad libitum della Chiesa romana, che è nei desideri dei demolitori.

  • Il modernismo getta il discredito sulla condotta ecclesiale, ritenendola guidata da mondani e inconfessabili interessi e prona a crudeltà immotivate. Queste accuse sono le stesse che la Massoneria ripete ossessivamente da due secoli e che ora, grazie ai media quasi totalmente in mano agli adepti, è purtroppo patrimonio del sentire comune (anche perché i reiterati mea culpa dei pontefici conciliarismi sono stati una sconcertante ammissione di colpevolezza). 

Il modernismo si configura quindi come un agente attivo, di natura aliena, la cui essenza si esplica nella corrosione della roccia petrina e nell’aggressione al Corpo Mistico, volta a mutilarlo e ad alterarne organi e funzioni. Traspare una volontà di nientificazione dell’opera di Dio, mossa da un odio di natura sovrumana. 

In termini hegeliani: una fase di antitesi, in conflitto con la tesi-cattolicesimo, nell’ambito di un contrasto dialettico destinato a generare una sintesi che li oltrepasserà entrambi (la religione universale). 

L’odio verso la santa Religione 

Con tale premessa, appare sotto tutt’altra luce l’ansia dei novatori di rifondare la Chiesa, l’insoddisfazione per ciò che Essa è, edificio fondato da Gesù Cristo e rinforzato da venti secoli di lotte contro le eresie e di resistenza al mondo, ogni volta che il potere – come accade oggi – voleva arrogarsi diritti nel campo spirituale (nominare vescovi, vagliare i decreti romani, erigere chiese nazionali o patriottiche) che non gli appartengono. 

Cosa motivava la febbrile smania di abbattere i millenari bastioni? Mezzo secolo dopo, divenuti nostro malgrado testimoni di una situazione del tutto nuova (Roma che rinnega Roma e parti del Vangelo), è venuto il momento di prendere atto che, dietro le pretestuose motivazioni addotte (v. punto seguente), si celava – per i più in modo inconscio – un moto di distruzione verso tutto ciò che potesse ricordare la Chiesa Cattolica. 

Presa di mira in special modo è stata la rivendicazione della Chiesa di esercitare un’autorità spirituale non soggetta ad alcun vincolo in cospetto del mondo e la sua pretesa veritativa nei confronti delle altre religioni e dei deismi e umanitarismi massonici. Gerarchia, primato papale, ordine di giurisdizione (quello per cui si assegna una diocesi ad un vescovo) vengono attaccati e contrapposti ad unico ordine sacerdotale, di cui tutti sarebbero partecipi, anche ai laici. In quest’ottica il collegio apostolico (con il papa ridotto a presidente) è l’unico abilitato al governo della Chiesa. L’azione volta all’abbattimento della gerarchia maschera le proprie intenzioni antinomiche simulando insofferenza verso rigidità e legalismi verso le organizzazioni curiali non ancora del tutto vendute alla causa nemica. 

Un altro elemento preso di mira è l’esistenza di un sacerdozio di natura sacrificale e di origine divina, istituzione che il giudaismo talmudico non può attuare, reminiscenza spinosa di una realtà perduta per sempre. 

Eresie cronolatriche 

Nella parte propositiva del modernismo trovano posto due atteggiamenti cronolatrici opposti – l’archeologismo regressivo e la stima aprioristica del presente, entrambi funzionali ad alimentare il distacco dal e il disprezzo del cattolicesimo. 

Archeologismo regressivo 

È la falsa utopia di tutti movimenti ereticali, quella che sia necessario tornare ad una immaginaria primitiva, pura (catarismo), povera (dolciniani), senza gerarchie (anabattismo), comunità di eguali (democratismo), senza preoccupazioni di natura dottrinale (anarchismo), in lotta per costruire già qui ed ora una società perfetta (millenarismo, marxismo). 

Questa immaginaria Chiesa sarebbe stata in seguito corrotta con "incrostazioni" (elleniche, pagane) che ne hanno offuscato la purezza. Con il che tutto le elaborazioni sopravvenute poi per fortificare la fede non sarebbero altro che un allontanamento da questa mitica età dell'oro, una caduta e un tradimento. Bisogna ammettere che il principe di questo mondo sa escogitare idee semplici ed annientatrici ad un tempo. 

A dare lievito al ribollente mix provvidero le parole d’ordine di allora, le quali oggi appaiono in tutta la loro illusionistica inconsistenza: “per una Chiesa senza rughe”, “ventate di aria fresca”, ecc. fino all’incredibile, pretestuosa e blasfema “nuova Pentecoste”. 

Apertura benevola nei confronti del mondo contemporaneo 

Alcuni teologi cattolici, stimolati artatamente da maestri di cultura cabalistico-massonica, mal soffrivano la “chiusura” della Chiesa Romana alle filosofie dei moderni. Divorati da un complesso di inferiorità nei confronti dell’escatologia marxista e delle “scoperte” degli esegeti luterani, convinti che il sistema mondo non potesse aver deragliato del tutto né aver volto addirittura le spalle al Sole divino, decisero di rompere gli indugi e - per “recuperare il tempo perduto” – si fecero araldi di un’apertura globale alla cultura moderna, anche di impronta ateista. 

Per sopravvivere nell’epoca attuale era necessario far propri i principi degli eretici rinascimentali, così come erano stati codificati dalla filosofia moderna, operazione possibile solo rimuovendo la filosofia perenne che San Tommaso aveva portato al suo culmine, incrollabile baluardo contro ogni immanentismo, soggettivismo e nichilismo. 

Il cedimento alle sirene profane inizia con il disgustato abbandono del tomismo e l’abbacinata contemplazione degli immaginari tesori spirituali della modernità, di cui la Santa Chiesa a parer loro sarebbe carente. Questo è il doppio abbaglio filosofico della neo-teologia. 

Ora, abbracciare la filosofia moderna, che“riduce l’esistenza oggettiva delle cose ad una rappresentazione mentale che risiede nella coscienza” porta necessariamente ad asserire che “il dato rivelato non è una verità oggettiva alla quale inchinarsi, bensì l’idea che ognuno se ne forma”(Marcel De Corte, La grande eresia, Roma, 1970). Questo si applica non solo ai dogmi ma anche all’idea che abbiamo di Dio. 

Anche teorie della scienza profana non comprovate, quali il darwinismo, andrebbero guardate con attenzione e benevolenza, dimenticando che l’evoluzionismo è incompatibile col monogenismo (una sola coppia iniziale) e quindi con il racconto biblico della prova e caduta dei progenitori. Superfluo aggiungere che se non c’è il peccato originale, non c’è neppure bisogno di Redenzione, ameno di cadere nel manicheismo o nella cabala (un dio malvagio ci ha creati). 

Parimenti, secondo la vulgata neoterica, occorre prestare benevola attenzione alla cultura e all’arte attuale e, soprattutto, collaborare con la politica nella costruzione del mondo migliore. 

Il che sarebbe giustissimo, se non imponesse delle bende sugli occhi per impedire di vedere e denunciare le profanazioni e i sacrilegi di alcune elaborazioni artistiche e la perversione di alcune leggi licenziate da parlamenti che più che democratici si rivelano oggi demonocratici. 

A posteriori è facile vedere come il timore di perdere il treno della storia abbia obnubilato le menti, inducendole a credere - contro ogni evidenza storica – nella possibilità di una pacificazione con il pensiero rivoluzionario di matrice liberale, marxista o nichilista. 

Questo sforzo di adeguamento al mondo, quel mondo in cui Nostro Signor Gesù Cristo è disceso per salvarci e portarci al cielo, quel mondo per il quale Gesù non prega (Gv. 17), questo immane capovolgimento di prospettiva si configura per una troppo umana “aversio a Deo” e, in parallelo, una “conversio ad creaturas”. 

Eresie para-ecumeniche 

La via personalistico-esperienziale al divino, di cui abbiamo dato ampiamente conto in precedenti articoli (v. qui), privilegiando il contatto diretto con il Mistero, fa nascere la fede non dalla Rivelazione di Dio, ma dal subconscio dell’uomo che sente il bisogno dell’esperienza del divino (quale bassezza, Dio originato dal bisogno!). In sostanza: fede come esigenza personale e non come credo in una realtà di origine trascendente che si rivela all’uomo: il soprannaturale viene relativizzato ad esperienza emotiva, in armonia con il soggettivismo delle filosofie moderne. 

Ma se non è Dio a rivelare le verità soprannaturali all’uomo, allora è l’uomo che si fabbrica su Dio delle idee, quelle che egli scopre nel suo io-dio, scaturenti dal sentimento, modellate sulle sue aspirazioni, condizionate dal vissuto personale e dal momento storico-culturale. L’esperienza religiosa dell’uomo sostituisce la Rivelazione di Dio su se stesso. 

La via personalistico-esperienziale non scuote il soggetto chiedendo la sua conversione alla vera fede, lo lascia tranquillo nel suo stato, nelle sue convinzioni, nella sua morale. 

In apparenza la pace del cuore e sociale, grazie alla possibilità di forgiarsi un credo a propria misura e al riparo degli strali dei persecutori. In realtà niente di più divisivo era possibile immaginare. La finta unità, ottenuta battezzando le diversità più antinomiche nel nome del nulla, è destinata a deflagrare in modi che oggi non riusciamo ad immaginare. 

La via personalistico-esperienziale recide anche il legame con la Chiesa, la cui esistenza non è più strettamente necessaria. Perdono di valore anche la liturgia, i sacramenti, le devozioni, il culto mariano e dei santi, ecc. fino a lasciare sul campo una comunità sfilacciata praticante una religiosità indefinita, senza dottrina vincolante, una fede insomma che può affratellarsi con le false religioni - islamismo e giudaismo talmudico – e finanche con le religione pagane, un tempo definite culti di demòni. 

Cos’è per i modernisti la deitas? Ha scritto p. Roger Thomas Calmel O.P (1914-1975):è “una sorta di noumeno religioso, inconoscibile, intorno al quale la mente fabbrica dei sistemi ingegnosi, indefinitamente variabili in rapporto all'evoluzione della nostra specie, ma sempre impotenti ad attingere ciò che è. Una sola cosa conta: che questi sistemi, ideologie, teologie, siano mossi dal progresso dell'umanità: li si valuterà dalla loro potenza di stimolare un'ascensione grandiosa verso la libertà e il progresso” (Roger Thomas Calmel O.P., Breve apologia della Chiesa di sempre, Albano Laziale 2007). Tutte le religioni vanno viste come sfaccettature di un unico poliedro (immagine cara al vescovo di Roma), ognuna portatrice della sua parte di verità, tutte in cammino verso un’unione che le trascende, e che porrà fine ai conflitti e porterà l’umanità alla pace eterna.

Tale abbraccio ecumenico è il necessario passo preparatorio in vista della creazione dal nulla della più falsa delle religioni, la Religione Universale, il cui re-sacerdote sarà l’Anticristo ed il cui Tempio sarà sorvegliato dai suoi costruttori, i liberi muratori. 

Mescolanza 

Vi è un’operazione attuata puntualmente dai nemici del Cristianesimo, la mescolanza di affermazioni vere e cattoliche con enunciazioni false ed eretiche: “prendere qualche elemento vero, assolutizzarlo, negare tutto il resto e aggiungere dozzine di errori. Non esiste, o è molto raro, un movimento politico o religioso che dica solo il falso o che abbia solo torti. Il problema è il risultato finale” (Andrea Giacobazzi, “Fede e giustizia sociale. Il problema del “socialismo cristiano”, 16 maggio 2014, sito radiospada). 

Rimozione del principio di non contraddizione 

La mescolanza di proposizioni incompatibili comporta l’obliterazione del principio di non contraddizione. Tale basilare fondamento del nostro comprendere il reale (non può essere che una stessa cosa sia e non sia allo stesso tempo) non cessa di turbare gli animi dei sofisti dai tempi di Socrate fino ad oggi, impedendo loro di cavalcare le praterie del nulla. 

Come detto in un precedente articolo (v. qui), i maestri della nouvelle théologie si sono da subito scagliati non solo contro il tomismo, ma sono giunti, come i sofisti, a negare il principio di non contraddizione. Ora senza di esso non è possibile sostenere alcuna proposizione come vera, neppure quella che asserisce che la verità non esiste (cfr. Franca D'Agostini, Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Torino 2010

Sulla scia dei neo-teologi, negli anni ’90 Sergio Quinzio (1927 – 1996) e il futuro cardinale Gianfranco Ravasi si sono spinti a dire che la fede delle comunità cristiane delle origini, prima di venir contaminata dalla filosofia greca, era indipendente dalla ragione ed in contrasto con il principio di non contraddizione. 

Ascoltiamo ancora p. Calmel: “Troppi dignitari ecclesiastici si sono lasciati andare alla perversione modernista dell’intelligenza; sono giunti a non trovare più mostruosa l’abitudine di affermare nello stesso discorso proposizioni incompatibili, perché considerano l’intelligenza inetta a cogliere il vero. Chi consente a questa deformazione mentale contempla con distacco e benevolenza le tesi più opposte, sforzandosi di valorizzare in ciascuna gli elementi che si ricollegano più o meno a un sedicente spirito”. 

Caduto il principio di non contraddizione, cade insieme il concetto di verità oggettiva, così come la necessità di un insegnamento dottrinale, di fatto gradualmente abbandonato dalla gerarchia per privilegiare una prassi puramente pastorale, avulsa dai fondamenti. 

Senza verità oggettiva da rispettare, il movimento ecumenista può procedere a passo spedito, muovendosi a piacere tra nichilismo (niente è vero in assoluto, tutto è contingente) e il suo gemello, il trivialismo (ogni enunciato è vero). 

Questa oscillazione viene traslata anche in campo etico Per alcuni bravi cattolici “avanzati” che, a fine anni ‘80, in quel di Novara seguivano i workshop del futuro cardinale Ravasi e di altri luminari, a seconda dei casi e degli avvenimenti, il mondo era del tutto perduto e nello stesso tempo tutto già salvato dalla presenza immanente di Cristo. Questa logica bicamerale nei due casi risulta funzionale ad uno stesso esito: che lo si benedica o lo si maledica, il mondo può restare così com’è. Nessuno era mai riuscito a difendere meglio lo stato di cose presente. 

Antidoti allo spirito di mescolanza 

La mescolanza, tipica tattica modernista atta ad confondere il semplice e abbacinare il superbo, è stata denunciata dalla dogmatica enciclica Pascendi e da altri documenti vaticani. 

A tal proposito ricordiamo le parole con cui Nostro Signor Gesù Cristo negli anni '70 ha rivelato ad una terziaria francescana, di nome Filiola, lo stato della Chiesa e il male interno che la corrodeva come un tumore maligno. A questo male Gesù dà il nome di “spirito di mescolanza”, spirito che vuole unire ciò che inconciliabile, e che si manifesta vuoi nella tiepidezza (neutralità tra Cristo e il Nemico) vuoi nell’ipocrisia del cristianesimo di facciata (i nuovi marrani). Gesù mostra la nuova mentalità penetrata tra sacerdoti e religiosi: essi amano il nuovo spirito, che è più comodo, mentre rifiutano quello di Gesù Cristo considerato ormai antiquato. Per i portatori della mescolanza Gesù mostra un ribrezzo maggiore che non per i peccatori, del tutto in linea col Vangelo e con l'Apocalisse. 

All’angelo della Chiesa di Laodicea lo Spirito dice: “Tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, sto per vomitarti dalla mia bocca” (Ap., 3, 16) 

Nostro Signore continua la sua rivelazione a Filiola con queste parole: “Sì, mia figlia. Si è assalito Dio in tutta la sua Grandezza, in tutta la sua Potenza di Potenza. Il Cielo intero ne è indignato [...] lo spirito ingannatore si è infiltrato per la debolezza di quelli ai quali ho affidato la mia Chiesa [...] Si è voluto rinnovarmi. Sono Colui che È! Il mio Spirito conduce alla vera Vita, lo spirito ingannatore conduce a questo mondo senza uscita” (Filiola, Appels de Jesus aux hommes de bonne volonté, Saint-Céneré – Mayenne 1977) 

(16/07/14)

Oreste Sartore