Il modernismo egemone porta a compimento la rivoluzione conciliare
A - Il modernismo come sistema dissolutorio
La cronaca di questi ultimi mesi non cessa di portare alla ribalta dichiarazioni ed azioni dei massimi livelli della gerarchia cattolica che sono in varia misura riconducibili ai principi del modernismo. Non è ora mia intenzione elencare le numerose deviazioni dalla dottrina tradizionale auspicate o addirittura impunemente professate. Altri lo hanno fatto, e, in generale, in maniera commendevole.
Molti fedeli sono giustamente turbati dagli eventi e più che legittime lamentele si odono nella realtà e si leggono in svariati commenti sul web.
Per andare oltre alle pur condivisibili geremiadi, ritengo utile rifocalizzare ancora una volta la nostra attenzione sulle radici della confusione oggi imperante nella Cattolica, radici che hanno origine appunto nel modernismo, specie nella sua seconda ondata, la nouvelle théologie, la teologia che ha pesantemente influenzato il Concilio, insinuandosi velatamente (abilmente ma non troppo) nei testi del Vaticano II. Col post-concilio il sentire modernista, quasi mai sanzionato, è riuscito a diventare egemone nelle parrocchie e nelle curie, sino ad occupare gran parte del sacro collegio e a rappresentare per molti il (cosiddetto) sensum Ecclesieae. Vogliamo qui dimostrare come mai questa eresia, incistata nel seno stesso della Chiesa, riesca progressivamente a sfarinare l’edificio fondato da Cristo, pur mantenendo una apparente legittimità cattolica.
Le due vie del modernismo
Avevamo evidenziato (v. qui) come alcune tesi della nouvelle théologie fossero in potenza vettori di una religiosità alternativa, in particolare lo sono due di queste tesi: il razionalismo immanentista (corrente fredda) e la via al divino tramite illuminazione individuale (corrente calda). Valutazione della ragione oltre i suoi limiti ed al contempo svalutazione dell’intelletto a favore di un irrazionalismo fideistico sono i due estremi cui ai modernisti è consentito aggrapparsi, mentre è loro vietata la via della ragione che si apre alla fede.
Due gli effetti del razionalismo immanentista:
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l’ombra del sospetto viene gettata su tutto ciò che può essere afferito al soprannaturale, dai miracoli alla rivelazione. Visioni e miracoli sono rifiutati per principio, sia perché non dimostrabili, sia perché non necessari;
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la dottrina rivelata viene rimossa dal suo trono e consegnata al mondo perché la possa vagliare alla luce (?) della sua scienza.
All’opposto, la via al divino tramite auto-illuminazione, basata su un’”esperienza religiosa” individuale e solipsista di Dio, una elevazione spontanea dell’io alla deitas, caratterizza una religiosità
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forzatamente soggettivista, sostanzialmente incomunicabile;
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intimista, che ha inizio e fine nell’uomo, dunque immanente; col forte rischio di fondere l’alterità di Dio con immagini e pulsioni dal profondo del proprio “io”.
Questo modo di pensare presuppone che la sopranatura sia un piano esistenziale attingibile da ogni uomo con le sue sole forze: la fede, da virtù teologale donata da Dio, si riduce ad una facoltà trascendentale insita nella natura dell’uomo.
La via iperrazionalista porta a demolire a costruzione romana, fondata sull’accoglimento della Rivelazione divina - e quindi del Logos, e di conseguenza della logica e della filosofia dell'Essere. Esiti possibili: deismo, riduzione di Dio ad epifenomeno della coscienza, ateismo, ideologismo, statolatria.
La via illuminatica spalanca le porte a coppie di deviazioni tra loro antitetiche (messianismo e pessimismo, rigorismo e permissivismo; angelismo e animalismo, orrore della carnalità e scatenamento degli istinti, ecc.).
Dottrine comuni alle due vie
Tra il liberalismo religioso (i.e. modernismo) e il cattolicesimo si frappone l’opposta valutazione sul peccato originale, mito per gli uni (sia per i modernisti di matrice razionalista che per coloro di stampo illuminatico), spiegazione fondante per gli altri (per i cattolici è a causa del peccato originale che è stata necessaria non solo l’Incarnazione, ma anche la Redenzione).
La fede che scaturisce dalla ragione emancipata dalla Rivelazione o dal sentimento dettato dall’io non può che essere una fede puramente umana, che copre il sostanziale relativismo con dei veli costituiti di sentimenti e azioni auto valutati come buoni e giusti.
Negazione ariana
Esclusa dall’orizzonte la Redenzione, Gesù Cristo avrebbe sacrificato se stesso per dare un esempio di come si possa amare il prossimo fino all’estremo limite. Non più Figlio di Dio, ma (bontà loro) uomo sublime, esemplare nella solidarietà e nella misericordia, apice dell'umanità, in quanto esempio di svuotamento di sé verso l'altro (dottrina della kenosis condannata da Pio XII - enciclica Sempiternus Rex Christus, 1951).
Negazioni mariane
Di Maria Ss.ma si negano tutti gli onori che a Dio piacque donargli, dall’Immacolata Concezione alla gloriosa Assunzione, fino al potere di Mediatrice e alla sovranità sui due regni.
Se Le si concede una qualche perfezione come donna è solo per abbassarLa a tutte le altre, negando la sua verginità.
Per sostenere queste tesi il passo di Matteo che ricorda Isaia (Matteo 23, “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio”) viene declassato a propaganda volta a confermare la divinità di Gesù Cristo, mentre il racconto di Luca sarebbe leggendario e causato anche dalla poca dimestichezza del greco Luca con l’aramaico.
Sfarinamento della dottrina
Uno dei punti chiave del modernismo è il rifiuto del dogma, velato dalla spiritosa invenzione della sua riformabilità che prevede che “le definizioni dei Pontefici e dei Concili possano essere modificate o ignorate da futuri Papi o futuri Concili: concetto distorto dell’infallibilità che è la negazione stessa di ogni infallibilità (sostituita da un’infallibilità a tempo)”.
Corollario dell’antidogmatismo è la negazione di qualsivoglia dottrina saldamente definita, che viene vista come ideologia ingessata, sorpassata dalla Storia, soffocante nei confronti dello spirito.
In questa fuga dal soprannaturale le verità divine sono sostituite ad intra da elaborazioni umane, ad extra superate dall’affratellamento ecumenico.
ad intra:
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con lo storicismo la verità si evolve nel tempo, dovendo tener conto dei progressi della cultura ed adattarsi alla vicende mutevoli della storia (e del potere).: “la fedeltà alla verità di ieri consiste esattamente nell’abbandonarla, assimilandola alla verità di oggi”(card. Ratzinger, Les principes de la théologie catholique, Saint-Céneré, 2005).
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con il localismo (da non confondere con l’inculturazione del cristianesimo, di cui le reducciones dei gesuiti tra i Guarany furono un fulgido esempio) la verità muta nello spazio, dovendo tener conto da una parte delle culture ancestrali, dall’altra del grado di emancipazione (i.e. di ateismo) raggiunto dalla particolare popolazione.
ad extra:
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le differenti religioni vengono elevate - dalla ragione emancipata o dallo spirito illuminato - a manifestazioni parallele di un unico dio, come facce diverse di un unico poliedro. La religione che fu cattolica diventa una delle tante vie alla divinità da percorrere camminando insieme nella diversità (è questa l’antilingua modernista).
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in tal modo si spiana la strada verso una futura unificazione, in cui ogni credo rinuncia ad una parte, fino ad una possibile fusione di tutte in una sovra-religione universale (irenismo che non si fa scrupolo di prescindere dal Verbo divino, i cui presupposti sono che la Fede divida – come dimostrerebbero le guerre di religione - mentre la Carità unisca e che l’Unità sia un bene più prezioso della Verità).
Mentre per il pietista illuminato nessuna religione può dirsi veramente falsa, per l’iperrazionalista nessuna è veramente vera.
Dal punto di vista dottrinale il modernismo è “antimetafisico e ateoretico”: quando rifiuta una verità non lo fa per contrapporne un’altra“ma per negarla e sprofondare in un vortice nichilista” (Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, Anche per oggi, niente happy end, Il Foglio, 11 dicembre 2013).
Sfarinamento dell’etica, desacralizzazione della liturgia
L’albero della cristianità è reciso alla radice: come avvenuto per la dottrina, davanti al razionalismo scettico ed al soggettivismo spiritista nessun precetto etico, nessun rito rimane immune dal sospetto di superstizione o di soffocante sovrastruttura.
Cosa resta della Chiesa?
In entrambe le vie moderniste, in analogia al protestantesimo, il ruolo della Chiesa come mediatrice tra mondo naturale e SS.ma Trinità svanisce del tutto. La Chiesa sarebbe così una sovrastruttura non necessaria alla fede, costituirebbe anzi un intralcio alla autocomprensione e all’autoilluminazione della libera coscienza. In sostanza una rocca i cui bastioni sono da abbattere (von Balthasar), un castello kafkiano segmentato dai “muri divisori che separano le chiese”, contenente i detriti di “cerimoniali residui, leggi e controversie passate” (Cantalamessa).
L’essenza del modernismo, che ora parrebbe limitarsi a chiedere un po’ cdi ollegialità e ad auspicare (come non volerla?) l’unione ecumenica, in realtà è in antitesi totale con l’esistenza di una Chiesa, tanto più se (orrore!) essa è gerarchica e addirittura piramidale (con a capo un papa-despota).
L’azione disgregatrice del modernismo, penetrato nella Cattolica con il Concilio Vaticano II, produce gli effetti perversi ormai sotto gli occhi di tutti.
Persi i concetto di peccato originale e di peccato mortale (e quindi l’idea stessa di stato di Grazia), il Sacramento della Penitenza è stato a poco a poco emarginato oppure snaturato a colloquio e/o seduta psicologica. In alcune diocesi comincia a non essere necessario per la Prima Comunione, quasi dappertutto (anche per il fenomeno delle assoluzioni di gruppo) ritenuto non indispensabile per accostarsi all’Eucaristia.
Con la Messa di Paolo VI, il modernismo è riuscito ad eliminare uno dei significati del rito (l’offerta sacrificale), a espungere dalle letture domenicali alcuni vangeli non graditi alle potenze di questo mondo, ad introdurre preghiere amorfe, a sostituire la bellezza degli inni e del gregoriano con l’insignificanza dei canti oggi imperanti. Gli abusi, ampliamente documentati sul web, non si contano; molti si configurano ormai come sacrilegi veri e propri.
B - Il neomodernismo annidato nella Chiesa
Lo sgretolamento dell’edificio bimillenario costituisce infatti l’azione dissolutoria, la pars destruens, ma vi è anche, e più perniciosa, una pars construens.
Si è gradatamente andata costituendo all’interno della Chiesa Romana una comunità di eletti, formata da coloro che avrebbero capito gli errori del passato e che per questo si sono posti come guide per il futuro.
Questa comunità è andata espandendosi, grazie all’occupazione dei seminari e delle facoltà teologiche, fino a formare oggi un corpo a se stante, autoreferenziale, da taluni chiamata chiesa riformata conciliare (Crc). Non si contrappone al cattolicesimo, pretende, al contrario, di esserne l’inveramento in questi tempi storici. E perciò opera alla luce del sole all’interno della struttura, rivendicando il suo diritto di essere riconosciuta come il credo ufficiale della Chiesa Cattolica, in quanto erede legittima del Concilio. Il Vaticano II è da essa considerato come l’unico reale fondamento (non dimentichiamo che a Giovanni Paolo II – per l’elezione a pontefice – venne richiesto un giuramento di fedeltà al Vaticano II) della prassi ecclesiale cui far riferimento ,sia per la dottrina (per l’assunto che quella che è ancora viva ed utile vi è tutta riassunta) sia per la nuova e aggiornata pastorale (che non deve condannare ma venire incontro a tutte le situazioni esistenziali).
Questa neo-chiesa cresce come un corpo estraneo, come un tumore, all’interno dell’organismo della Cattolica e lentamente la sta scarnificando e dissanguando.
Vediamone alcuni tratti caratteristici.
Al suo centro, al posto della Rivelazione divina, vi è l’Uomo con le sue esigenze concrete e i suoi diritti. La Crc si pone come un’organizzazione umana volta a soddisfare il suo bacino d’utenza, guardandosi bene dal travalicare i confini invadendo quelli di pertinenza altrui. Come fornitrice di servizi e di aiuti nella sfera dei bisogni materiali, la neo-chiesa tende a focalizzarsi sul povero e l’immigrato, trascurando l’uomo medio occidentale. A quella caricatura di uomo medio occidentale, forgiata nelle logge e divenuta sorgente inesauribile di nuovi e impensati diritti, la Crc offre invece tutto il suo sostegno, andando incontro con benevolenza alle più strampalate richieste, dalla comunione ai divorziati al riconoscimento delle unioni saffiche e di quelle sodomitiche. Nell’attesa di nuovi e più avanzati equilibri (la marcia del progresso deve proseguire radiosa sino al punto omega, dove l’Uomo è dio) che tengano conto di altre e più periferiche situazioni esistenziali.
La dottrina, come detto, non è importante. Ciò che importa è che la fede sia adeguata alle esigenze della vita umana che si manifestano nelle contingenze dell’epoca presente. In pratica la verità diventa mobile e si fa ancella della carità, di una carità-compassione tutta orizzontale, indipendente dalla fede in Nostro Signor Gesù Cristo (che sarebbe divisiva). Questa carità che tutto copre rende il cristiano adulto capace di accogliere le scintille divine sparse nelle altre religioni e nelle filosofie ateistiche (è questo un principio base della Cabala ebraica).
Il lieto annuncio è che non vi è colpa originale, che i peccati sono coperti dalla misericordia, che tutti sono salvi, si tratta solo di renderli consapevoli.
La missione non è più quella di convertire alla dottrina cattolica (sarebbe proselitismo, peccato da sempre denunciato da tutte le Massonerie), ma - secondo l’antilingua clericale corrente - fare l’esperienza di un cammino comune in amicizia.
Di più. Vi è una missione rivolta al proprio interno, il cui obiettivo è conformarsi (aprirsi...lo chiamano nella loro neolingua orwelliana) al Mondo in tutti i suoi aspetti, comandamenti e seduzioni (Nella loro ansia di aprire i prelati modernisti denotano l’entusiasmo dei neofiti: caratteristica comune a tutti è il mostrarsi perennemente sorridenti e soddisfatti).
Di più ancora. Missione suprema pare essere quella di una marcia ecumenica verso la desistenza di tutte le fedi nell’ottica di una pacificazione ed unificazione.
In cosa consista il culto della neo-chiesa lo sappiamo già oggi, guardando i comportamenti delle frange più estreme di preti che usurpano la qualifica di cattolico.
I sacramenti sono visti come retaggi ormai inservibili di una religiosità magico-sacrale e quindi radicalmente negati.
Tutto quanto sopra comporta evidentemente che la figura del sacerdote sia del tutto estranea al modernismo, cui è sufficiente un presbitero, con funzione di moderatore.
La desistenza nel campo della fede ha il suo corrispettivo nell’accondiscendenza nel campo dell’etica. In nome della carità è vietato giudicare quei comportamenti viziosi e perversi, che oggi il mondo esalta, mentre è doveroso affiancarsi al potere scagliandosi contro i suoi nemici (mafiosi, corrotti, evasori fiscali, razzisti, ecc.), ai quali - in antitesi al Vangelo - è perfino negata la possibilità di pentimento e redenzione: il codice penale come sostituto del decalogo.
La morale modernista è simile a quella del quietismo secentesco: essenziale è solo abbandonarsi al l’impulso dello spirito, non c’è necessità di lottare contro gli istinti. La lussuria, sparita dall’orizzonte etico o perché se ne ignora l’esistenza o perché non è più considerata peccaminosa, è riaffiorata nelle forme più turpi fra gli stessi chierici.
Il sistema di valori inculcato comporta virtù che non sono suffragate dalla Rivelazione – ad esempio la misericordia a prescindere dalla conversione. Con sprezzo del ridicolo i neo-teologia e i prelati che li seguono si ergono come più buoni del Creatore, che ci ha dato la Legge, e di Gesù Cristo, che non ne ha mutato uno iota.
Delle virtù tradizionali si salvano solo quelle rivolte al prossimo.
Il pantheon dei nuovi santi, è ristretto ad una unica lista ripetuta monotonamente dall’ultima parrocchia alle emittenti di respiro planetario: vi trovano posto 2-3 neo-teologi, Balducci, don Milani, Turoldo, Martini oltre ad alcuni saggi non cristiani, come Gandhi. A costoro vanno aggiunti i papi conciliari. Non appena eletto, Giovanni XXIII fu subito acclamato dai media come il "Papa buono". Una definizione in evidente contrapposizione con gli altri Papi ed in sé antievangelica. il Maestro Divino aveva ammonito il giovane ricco: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo” (Mc. 10, 18).
Ed ecco che, alla fine, la religione neoterica si esplica in una religiosità ancorata nell’umano con aperture verso un sovrasensibile indefinito, veicolata da una terminologia solo apparentemente cristiana.
La neo-chiesa, nel professare questo suo naturalismo immanentista, si presenta essenzialmente come una comunità di solidarietà e di assistenza materiale ai bisognosi.Al centro non c’è più Dio, ma l’uomo e l’uomo che evolve, si emancipa e reclama che i suoi nuovi desideri abbiano lo status di diritti sanciti dallo Stato e benedetti dalla Chiesa.
Prassi della neo-chiesa conciliare
Una volta datosi un corpo, la Crc è passata all’azione.
Per l’azione si è dotata di due armi formidabili: un nuovo, rivoluzionario concetto di Tradizione e lo scioglimento della Pastoralità dai legami con la Verità dottrinale.
La Tradizione, nell’interpretazione di Benedetto XVI non coincide più con la trasmissione del Depositum fidei; è un “fiume vivo” (Benedetto XVI, udienza generale del 26 aprile 2006) che nell’epoca attuale si manifesta con il Magistero del pontefice o del collegio apostolico.
La Verità non è più un qualcosa di sovratemporale, coincide invece con l’insegnamento impartito attualmente dal Magistero in essere, unico deputato a decretare ciò che è contenuto nella Tradizione. Non vi è contraddizione nel negare precedenti formule, perché – modernisticamente – il dogma evolve con le esigenze dell’epoca. La nuova Roma può quindi smentire se stessa senza tema di perdere la sua indefettibilità: è l’amena concezione dell’infallibilità che è riservata ai soli detentori viventi del potere ecclesiastico, tolta loro alla morte e negata ai predecessori (infallibilità del Magistero vivente).
La Pastoralità, sciolta dalla Verità e innalzata a criterio sommo dell’agire, è un vuoto dottrinario rivestibile a piacere, un idolo “informe e crudele che fa a meno non solo della Rivelazione ma anche del principio d'identità e di non contraddizione, un feticcio collegato all'irenismo, alla relativizzazione dei valori, al prevalere esistenzialistico dell'esperienza e dell'incontro”. In sostanza è una licenza data ai guardiani della rivoluzione di esercitare il proprio arbitrio, senza vincoli. Essa dà il potere di “accusare l'innocente e di assolvere il colpevole L'accusa di attività anti-pastorale è l'equivalente dell'accusa di attività contro-rivoluzionaria nei regimi comunisti”.
Forte di queste due armi la neo-Chiesa procede secondo tre dire strategie: denigrazione del passato, demolizione del presente, proiezione di un futuro dottrinale e precettistico di origine aliena.
1 – Denigrazione del passato
Peculiare dell’ideologia modernista è il suo rapporto con i duemila anni della Chiesa Cattolica.
Roma non viene attaccata in toto, come accadde con Lutero. I modernisti, al pari di tutti i rivoluzionari, si limitano a gettare una luce negativa solo su alcuni segmenti secolari (Chiesa tridentina) o millenari (Chiesa costantiniana) della storia dell’Istituzione Romana. Come se in quei segmenti non fosse all’opera la medesima Chiesa che Gesù Cristo fondò e cui assicurò sempiterna assistenza.
Dopo il Vaticano II i neomodernisti sono poi incredibilmente giunti a mettere sotto accusa l’intera entità ecclesiale bollando come Chiesa pre-conciliare quanto va dai tempi post-apostolici fino al 1965. D’un colpo sono stati rigettati due millenni di storia con le relative elaborazioni dottrinarie e teologiche, forme cultuali e canonizzazioni.
E mentre le avanguardie rivoluzionarie denigravano storia e distruggevano la memoria di secoli, la gerarchia ha iniziato ad ignorare i concili, le esortazioni e le condanne accaduti precedentemente al fatidico superconcilio, specie quelli che contraddicono il nuovo modo di porsi. Un silenzio glaciale è calato sul patrimonio dottrinale e culturale che ha forgiato la vita dei fedeli per due millenni.
Nella Chiesa-ospedale da campo sono banditi le dottrine intolleranti e divisive della Rivelazione, superati i dogmi, specie “Extra ecclesiam nulla salus”. Si va verso una Chiesa inclusiva nelle credenze e non ossessionata dai temi etici come aborto e divorzio.
Vale, oggi più che mai, ciò che disse Paolo VI: “tutte le chiese si equivalgono” e “devono tutte convergere verso l’unica chiesa futura che ancora non esiste” (Jean Guitton, Paolo VI segreto, Milano, 1985).
Ora il rifiuto del dogma dell’esclusività petrina è una presa di posizione gravissima, in antitesi ai comandi di Nostro Signor Gesù Cristo; contro di essa Pio IX ha pronunciato una condanna solenne (Pio IX, Il Sillabo, pubblicato con l’Enciclica Quanta cura, 1864). L’inclusivismo religioso manifesta infatti l’adesione al progetto delle logge, che vuole unire tutte le religioni (salvo la cattolica!) sotto l’alto patronato della sinagoga e che si realizza trasformando il cattolicesimo in una religione priva di pretese veritative, umile e sottomessa ai comandi del mondo.
In questo progetto non c’è ovviamente posto per i cattolicesimo “integralista”, pietra d’inciampo alla costruzione del Nuovo Ordine Mondiale: il rabbino capo Di Segni ha detto “Se la pace con i lefebvriani significa rinunciare alle aperture del Concilio, la Chiesa dovrà decidere: o loro o noi!” (intervista rilasciata in occasione della "Giornata della memoria", Apcom, 26 gennaio 2010). Questo inconcepibile ricatto è figlio dei cedimenti della gerarchia all’ebraismo talmudico, palesata in documenti (a partire da Nostra Aetate), atti e dichiarazioni, fino ad essere definitivamente sigillata col riconoscimento dell’autonoma via di salvezza riservata ai seguaci della religione giudaica. Una delle conseguenze è stata la rinuncia all’apostolato verso gli ebrei, i quali - contro il comando evangelico - non sono più destinatari della predicazione cristiana. Davanti ai rabbini ormai saliti in cattedra i papi si prostrano recitando mea culpa, ascoltando moniti e veri e propri ordini (ogni passo avanti viene dal nuovo sinedrio regolarmente giudicato importante ma non sufficiente: le richieste ovviamente non si fermeranno fino a che il nuovo sinedrio non avrà ottenuto dalla Crc il ripudio di Gesù Cristo e il riconoscimento dell’unico messia-Israele).
Nella Chiesa latitudinaria c’è posto solo per cristiani senza Cristo, dediti ad accogliere gli immigrati e a gettare ponti (a costo di accantonare alcune verità) verso scismatici, eretici, ebrei, mussulmani, pagani, atei e capaci di chiedere la “riconferma del battesimo” ad una reverenda metodista o di farsi imporre le mani sul capo da un pentecostale.
Ultimamente è iniziato il tiro a bersaglio contro il cattolico di tradizione o meglio contro una immagine caricaturale e deformante dello stesso.
Il vescovo di Roma lo ha additato come ideologico, eticista, affetto da “neopelagianesimo autoreferenziale”, chiuso in un “elitarismo narcisista” (J.M. Bergoglio, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, paragrafo n. 94, 24 novembre 2013), responsabile di barriere dottrinali ed etiche che “impediscono a Gesù” di entrare nella casa dei lontani.
Le avanguardie rivoluzionarie dipingono il cattolico come un nostalgico attaccato al latino, all’incenso, ai pizzi e merletti, unospecialista del Logos, un cripto-lefebvriano, un rigorista ancora legato alla Legge.
2 - Demolizione del presente
persecuzioni
Al vescovo di Roma va dato il grande merito di aver spazzato via il fragile tentativo posto in atto da Benedetto XVI di presentare il Vaticano II come un evento in continuità con la storia della Chiesa Cattolica Romana. Per Bergoglio la questione non si pone: il Concilio è l’unico e solo punto di partenza, la nuova pietra angolare.
Al doppiamente incredulo Scalfari ha dichiarato: il Vaticano II è stato "un servizio al popolo" consistente in “una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea … la dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell'oggi che è stata propria del Concilio è assolutamente irreversibile” (intervista rilasciata a E. Scalfari, Repubblica, 1 ottobre 2013).
Secondo il vescovo di Roma qualcosa da allora è stato fatto (libertà religiosa, ecumenismo), moltissimo deve ancora essere realizzato, a partire dalla collegialità. Sono dichiarazioni in linea con i gesuiti De Lubac e Martini, entrambi discepoli di Teilhard (una bella famiglia di confratelli in perfetta armonia).
Con queste premesse tutto ciò che può mettere a rischio il nuovo corso, riportando indietro le lancette della storia, va annientato senza pietà: la mannaia si abbatte su quanto - delle forme datate pre-1965 - è sopravvissuto sino al presente.
Da principio ci fu la chiusura verso mons. Lefebvre.
Ora assistiamo alla brutale disintegrazione dei Francescani dell’Immacolata (dispersi i religiosi, chiuso il seminario, proibite le Messe Vetus Ordo, eliminate le pubblicazioni, sequestrati i beni; il tutto con rimborso delle spese a carico dei perseguitati!), proseguita senza tener in alcun conto né delle critiche di autorevoli giornalisti né della petizione, firmata da migliaia di fedeli, che chiedeva la rimozione del commissario.
Si ha la netta sensazione che si sia voluto dare un esempio a futura memoria: non si tollerano refrattari nostalgici che osino guardare con favore la fede precedente con le sue modalità liturgiche, i suoi dogmi, la sua precettistica.
Tra le colpe imputate spicca quella di non “sentire cum Ecclesia”. Si tratta di un nuovo comandamento: liberati dal giogo del dogma, i fedeli dovranno piuttosto preoccuparsi di indovinare il sentimento del papa regnante per poi uniformarsi senza chiedere spiegazioni o motivazioni. Cancellata l’autorità si piomba in un assolutismo capriccioso privo di autorevolezza e di legittimità, è l’arbitrio della Pastoralità descritto sopra.
A fronte della malvagità dimostrata dai persecutori, vi è chi con quattro mesi di ritardo si è chiesto turbato: ma il papa lo sa? Eppure era agli atti che il commissariamento promosso dal cardinale brasiliano João Braz de Aviz aveva ottenuto l’approvazione ex auditu direttamente dal vescovo di Roma. Come era noto che gli articoli critici e la petizione erano caduti nel vuoto. Finalmente la foto di Bergoglio, il misericordioso, sorridente in mezzo ai 5 frati dissidenti (coloro che si sono resi responsabili della dissoluzione del loro ordine), ha sigillato coram populo l’avallo papale alla persecuzione.
Ora analoghi soprusi sono in corso contro l'Istituto del Buon Pastore, sempre a causa delle Messe VO.
Come ha ben spiegato don Alberto Secci, “in ogni dittatura bisogna censurare il passato. Nessuno deve sapere come era una volta, prima della dittatura che pretende di dare vita nuova al mondo”.
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La distruzione dell’esistente può avvenire con modalità meno brutali e più graduali, ad esempio togliendo l’ossigeno o scoraggiando le iniziative non in linea con il nuovo sentire.
Dionigi Tettamanzi, già indulgente verso i black block, da arcivescovo di Milano si è segnalato (oltre per le sue preoccupazioni filo islamiche) per le riunioni curiali in cui la messa VO veniva posta all’ordine del giorno come problema da tenere sotto controllo.
Alla demolizione delle strutture e all’abbattimento delle forme che possono richiamare l’antica fede, si affianca l’occupazione sistematica del potere, con la rimozione dalle posizioni di prestigio dei refrattari, colpevoli di sembrare abbarbicati all’ortodossia cattolica, anziché aderire totalmente al Concilio.
Il modernismo installato ai vertici non soffre alcuna opposizione.
Il cardinale Raymond Burke, difensore della S. Messa, nemico dell’aborto e in prima linea contro l’azione omosessualista, in dicembre è stato rimosso dalla Congregazione dei vescovi.
Il cardinale Mauro Piacenza, da sempre legato a Giuseppe Siri è stato rimosso da prefetto della congregazione del Clero.
Queste rimozioni sono state salutate con compiacimento da giornalisti liberal come Amy Robach (Burke: “è stato rimosso un conservatore”) e da modernisti come Alberto Melloni (Piacenza: “emblema di un mondo conservatore che sta morendo”), i quali così indirettamente confermano essere in atto una guerra ad oltranza tra due modi di concepire la Chiesa.
Da dove viene questo accanimento? L’esistenza di cattolici di tradizione per il modernista è un segno di contraddizione: come i comunisti egli pensa che chi non è con lui (e col progresso) debba giocoforza avere dei problemi psicologici.
3 – Futuro dottrinale e precettistico
I recenti eventi indicano che sta per cadere l’impostura inscenata inizialmente dal modernismo, la sua pretesa cioè di porsi come una versione del cristianesimo ad un tempo più fedele alle origini e più consona ai tempi. Il modernismo, abbandonate le prudenti reticenze, si rivela finalmente per quello che è, vale a dire non una semplice variante del cattolicesimo, più accettabile ai poteri forti, ma un inganno diabolico che ha lo scopo di diffondere una religiosità alternativa, una vera e propria contro-religione. Questo "cristianesimo nuovo " che non ha e non vuole avere nulla a che fare con quello tradizionale è un’altra cosa proprio perché ha voluto – coscientemente o meno – operare con il passato una cesura netta.
In sostanza il fenomeno davanti ai nostri occhi non è quello di un sistema eretico strutturato (con il suo credo da contrapporre a quello cattolico), nemmeno è riducibile solo alla “sintesi di tutte le eresie” (San Pio X, Enciclica Pascendi, 1907) come ai suoi inizi. Il neo-modernismo è veicolo di una religiosità alternativa, che ha radici aliene dalla Rivelazione.
I pastori di questa comunità incistata nel Corpo Mistico prescindono dalla dottrina di Gesù Cristo, quale è stata rivelata e poi consolidata in 2000 anni di lotte contro le eresie e contro i tentativi di soggiogarla e di annientarla da parte dei poteri di questo mondo; essi si presentano semplicemente come realizzatori dello spirito del Concilio (entità mitica di difficile collocazione, come l’ araba fenice), araldi di una Chiesa, giovane e senza rughe (ha solo cinquant’anni), liberata dagli orpelli e da pretese veritative esclusiviste, ricettiva e tollerante riguardo alle nuove situazioni. In definitiva una Chiesa a misura d’uomo, in linea con i tempi, che cammina nel senso della storia.
Detto in altri termini, il modernismo è un agente capace di dissolvere nel nulla non solo il cattolicesimo, ma qualsiasi fede, sulle cui macerie può facilmente innestare il socialismo opzionalmente accompagnato da uno spiritismo di stampo new age.
Tra le fonti ispiratrici del movimento modernista ritengo si debba annoverare la Fabian society, organizzazione al cui interno hanno operato marxisti utopisti, teosofi (Annie Besant) e occultisti (Crowley). L’obiettivo era quello di realizzare in maniera graduale un sistema economico socialista, la strategia era quella del generale romano Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, vale a dire il logoramento progressivo del nemico. Simbolo eloquente della Fabian society è il lupo travestito d’agnello.
L’accelerazione impressa dal vescovo di Roma
La sostituzione della dottrina, del culto e dei dettami etici in essere nella precedente modalità ecclesiale, con virtù, riti e ideologie di nuova ed aliena origine, dapprima graduale, ora sta avvenendo in modo incalzante, con una fretta inusitata, quasi i novatori siano in lotta contro il tempo.
Questa ansia di chiudere in fretta ogni questione col passato si è fatta evidente con l’elezione di Bergoglio a vescovo di Roma, una persona lontana anni luce dalla ricerca di compromessi con gli elementi dottrinali, etici e liturgici preconciliari.
Il conclave di marzo ha scelto un amico di entrambe le correnti neo-moderniste – la razionalista e l’illuminatica - come testimoniano da una parte i legami dell’ex arcivescovo di Buenos Aires con il movimento carismatico dall’altra l’insofferenza dimostrata in questo scorcio di pontificato per dottrine e precetti (v. oltre).
Papa Francesco basa il suo pontificato solo su “l’irreversibile Concilio Vaticano II”. E perciò, come dichiarato con esultanza da mons. Enrico dal Covolo, vescovo e rettore della Pontificia Università Lateranense, egli “rappresenta una figura di discontinuità rispetto al Pontificato precedente”, mettendo la parola fine al tentativo di rabberciare una indimostrata continuità tra Chiesa Cattolica Romana e il Concilio.
Tra i principi alieni che animano il pensiero e gli atti del vescovo di Roma Bergoglio ci sembrano particolarmente indicativi e forieri di tempeste
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“la prospettiva immanentista-storicista”: “visione progressista della storia la quale procede sempre avanti e mai deve indietreggiare che mal si concilia invece con l’economia della salvezza” (Tommaso Scandroglio). “La nostra non è una fede-laboratorio, ma una fede-cammino, una fede storica. Dio si è rivelato come storia” (intervista rilasciata da J.M. Bergoglio ad Antonio Spadaro S.I., direttore de La Civiltà Cattolica, 19 agosto 2013).
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il primato dell’agire sull’essere, della prassi sulla speculazione, della pastorale sulla dottrina. “L’importante è l’azione, il fare … La nostra vita non ci è data come un libretto d’opera in cui c’è tutto scritto, ma è andare, camminare, fare, cercare, vedere …” (intervista rilasciata da J.M. Bergoglio ad Antonio Spadaro S.I., direttore de La Civiltà Cattolica, 19 agosto 2013). Va detto con forza che questo rovesciamento della dinamica della Rivelazione è proprio di tutte le scuole rivoluzionarie (a partire dal marxismo) e moderniste (v. filosofia dell’azione di Blondel)
Da questi due principi alieni discende l’idiosincrasia di papa Francesco verso la dottrina (“Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza”; il Vangelo “non si annuncia a colpi di bastonate”; non bisogna “ossessionare” con la “trasmissione disarticolata di dottrine”; “chi tende in maniera esagerata alla ‘sicurezza’ dottrinale […] ha una visione statica e involutiva”).
Dal Concilio, sua pietra d’angolo, il papa ha derivato l’ecumenismo latitudinario facendone discendere una personalissima nuova visione della missione.
È noto che ha equiparato l’evangelizzazione al proselitismo, che, a suo dire, è “una sciocchezza” che “non ha senso”. Infatti “vai a convincere un altro che si faccia cattolico? No, no, no! Vai ad incontrarlo, è tuo fratello! E questo basta”, più che tentar di convertire è meglio accostarsi e camminare insieme. Con queste premesse la prassi apostolica va rivoltata: “la pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così” (J.M. Bergoglio, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, paragrafo n. 33).
Vale la pena ricordare che proselitismo è una delle accuse pretestuose alla Chiesa Cattolica brandita da secoli dalla massoneria e dagli ambienti collegati.
Tralasciando l’inondazione quotidiana di frasi facilmente equivocabili o semplicemente banali, il comparire improvviso di enunciati che ai nostri orecchi suonano come semieresie, la riscrittura della scala di gravità dei peccati, chiudiamo questa lamentazione con il dispiacere di non udire dalla suprema cattedra tempestive prese di posizione e condanne nei confronti delle inique leggi contro la famiglia e la libertà di espressione emanate o in via di emanazione in tutto l’occidente. Del resto sin dal suo insediamento il Papa ha cancellato i valori "non negoziabili" dall'agenda del mondo cattolico.
Il mondo, esattamente come fece con Giovanni XXIII, sbandiera il suo compiacimento per il nuovo corso.
I chierici privi di formazione si ritengono soluti dal credere a tutti i dogmi e dall’osservare certi precetti.
I normalisti assicurano che c’è continuità (un’altra araba fenice). I cattolici conservatori serrano le schiere mostrando il bastone (non c’è continuità, ma il papa ha sempre ragione).
Voglia Nostro Signor Gesù Cristo, tramite i pastori a lui fedeli, illuminarci su ciò che stiamo vivendo e darci la forza per sostenere la prova.
(26/04/2014)
Oreste Sartore