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La religione dopo il Concilio/6: dall’ordinamento gerarchico al centralismo democratico – collegialità e devoluzione

 

Tra le ventate primaverili di aria fresca provenienti dal Concilio vi è stata anche la volontà di inserire massicce dosi di democrazia nel corpo ecclesiale.
Le due vie primarie seguite dai novatori sono state l’imposizione della collegialità e la pressione per una devoluzione progressiva dei poteri del Sommo Pontefice. Il risultato è una configurazione ecclesiale di tipo nuovo, in cui anche il ruolo del papa è ridisegnato.

Collegialità

La collegialità, elemento estraneo alla divina costituzione della Chiesa di cui non vi è traccia nel Vangelo e nella Tradizione, dai novatores pre e post conciliari fu brandita come un totem che garantiva la virtù dei suoi sostenitori.
In Lumen gentium, ove – per designare l'episcopato – si ricorre per 28 volte al termine "collegio" (parola anch’essa estranea al Magistero pre-conciliare), il concetto di “collegialità” (v. il n.23) agì da punto di appoggio per sancire (ai nn.19, 22 e 25) il principio straniante di un potere bicefalo, costituito dal Sommo Pontefice e dal collegio episcopale in comunione con lui. Con queste premesse il Collegio dei Vescovi (entità sconosciuta alla dottrina cattolica precedente) è diventato titolare, accanto al Pontefice, della pienezza del potere su tutta la Chiesa – non solo sub Petro ma anche cum Petro [1].

Il nuovo potere del Collegio dei Vescovi è rimasto peraltro puramente teorico, dato che non si è mai reso presente ed operativo.

Quello di concreto che in nome della collegialità è stato realizzato dai provvedimenti postconciliari è stata la ridistribuzione del potere papale in senso orizzontale in favore sia del singolo vescovo sia di organi assembleari (Conferenze Episcopali nazionali e continentali, Sinodi dei Vescovi universali e territoriali). Alcuni organismi sono stati creati ex novo, altri – già esistenti – sono stati rilanciati secondo modalità nuove.

Conferenze Episcopali

Le assemblee di vescovi di una stessa nazione già presenti in alcuni paesi [2] sono state rese obbligatorie con il decreto conciliare Christus Dominus (1965, 28 ottobre, nn. 37-38).

Trattasi di organismi di carattere permanente prive di un "territorio proprio", ai cui insegnamenti i fedeli loro sottoposti “sono tenuti ad aderire con religioso ossequio dell’animo” (Codice di Diritto Canonico, n. 753).

Pensate come segno istituzionale del vincolo di collegialità, esse rappresentano il prototipo del nuovo modo di governare la Chiesa per far fronte alle esigenze della società moderna [3].

In pratica, i vescovi riuniti nelle Conferenze Episcopali locali formano il parlamento di una Chiesa modellata come monarchia costituzionale tendendo a diventare i rappresentanti legali se non delle esigenze dei cittadini, certamente delle stravaganze sponsorizzate dal potere politico di turno. Ed in effetti da questi organismi di origine umana le risposte ai crimini delle attuali democrazie totalitarie sono state praticamente inesistenti o peggio.

Mentre in teoria non dovrebbero sussistere differenze dottrinali tra le varie componenti della Chiesa, succede che l’una o l’altra Conferenza prenda le distanze dagli insegnamenti ufficiali (sulla fecondazione assistita, sulla comunione ai divorziati, sul matrimonio e la pastorale familiare e così via). Fino a rivendicare a nome della Conferenza Episcopale tedesca che “ogni conferenza episcopale sia responsabile della cura pastorale nella propria cultura annunciando il Vangelo nel suo modo unico” [4]. Fino a rivendicare una totale indipendenza nella traduzione in lingua vernacolare delle formule liturgiche (cosa in totale contrasto con il documento Liturgiam authenticam di Giovanni Paolo II del 28 Marzo 2001, con cui – a parziale contenimento della autonomia in campo liturgico attribuita alle Conferenze Episcopali – veniva ribadita la necessità di una recognitio da parte romana dei testi liturgici emanati dalle stesse.

Forti di questi nuovi poteri, i raggruppamenti di vescovi diventerebbero indipendenti quanto a dottrina e morale.
Sarebbe una modalità che, evidentemente, dissolverebbe l'universalità della Catholica e una rottura del suo legame con la trascendenza. La Chiesa si ancora all’uomo, ai suoi diritti e alle sue transeunti istituzioni politiche invece di trarre linfa e nutrimento dalla sempre viva sorgente divina.
Una chiesa cattolica di tal fatta sarebbe solo un insieme di chiese nazionali, i cui capi eleggono a presidente della federazione colui che un tempo era chiamato papa, Sommo Pontefice, Vicario di Cristo, ecc.

Siccome non ci si muove abbastanza in fretta in questa direzione, il Grande Liquidatore nella Evangelii Gaudium al n.32 esorta: “Ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale”.
Per amore di verità era stato preceduto da Giovanni Paolo II che, nella Lettera Apostolica Apostolos Suos del 21 maggio 1998 al n. 7 aveva affermato: «Il Sinodo, pertanto, ha avanzato la raccomandazione che venga più ampiamente e profondamente esplicitato lo studio dello status teologico e conseguentemente giuridico delle Conferenze dei Vescovi e soprattutto il problema della loro autorità dottrinale, tenendo presente il n. 38 del Decreto conciliare Christus Dominus». Sulla cui scia, Carlo Maria Martini, in un’intervista rilasciata al quotidiano Il Tempo, il 7 aprile 2004, aveva avanzato, al solito, una proposta ancor più innovativa che legherebbe ancor più il papa ai suoi referenti: “potrebbe essere ragionevole rappresentare meglio le Conferenze Episcopali con la presenza, in Conclave, dei Presidenti delle stesse Conferenze”.

Concili Episcopali Provinciali

I Concili Provinciali che riuniscono i vescovi delle diocesi suffraganee di un'arcidiocesi metropolitana sono retti dagli stessi statuti e dalla stessa logica.

Consigli Episcopali sovranazionali

Le considerazioni fatte valgono anche per le riunioni di rappresentanti delle conferenze nazionali in ambito regionale allargato o continentale.

Il Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM) fu fondato nel 1955, mentre più recente (1971) è il Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa. (CCEE) che ha sede a San Gallo ed è ora presieduto dal Cardinale Angelo Bagnasco.

Proprio San Gallo è la città dove dal 1996 tenevano riunioni private diversi vescovi e cardinali, tra cui Carlo Maria Martini e Walter Kasper. Recentemente il cardinale belga Godfried Danneels ha pubblicamente ammesso di fare parte del gruppo di San Gallo che egli ha scherzosamente definito una “mafia clericale”. Il gruppo si batte per una maggiore collegialità, è favorevole alla comunione dei divorziati mentre è contrario al celibato sacerdotale [5].

Sinodo dei vescovi

Il Sinodo dei Vescovi fu istituito da Paolo VI nel 1965 come segno del vincolo di collegialità.

È un’assemblea che può venire convocata dal papa, cui spetta stabilire le questioni da trattare e dirigere l'ordine dei lavori.
Ad ogni indizione di assemblea sinodale, i membri – che rappresentano l'intero episcopato– vengono di volta in volta eletti dalle Conferenze Episcopali delle diverse regioni del mondo.

Pur dotato di una segreteria generale permanente, la sua funzione è solo consultiva (e la sua operatività intermittente), anche se alcuni lo pensano come uno strumento operativo del Collegio Episcopale universale.
Di qui il pericolo chela sinodalità, da forma eccezionale e consultiva, diventi una forma permanente rendendo effettiva la diarchia prefigurata dalla collegialità.

Nei fatti, specie con l’avvento al Soglio del gesuita argentino, i Sinodi lungi dall’essere strumento dei vescovi, preceduti e seguiti da dichiarazioni del papa e di teologi e vescovi amici, si sono rivelati come un mezzo per far dire ad altri ciò che qualcuno non osa direttamente affermare e come un veicolo per avvicinare ancor più la chiesa al mondo secolarizzato.

Nuovo ruolo del Papa

L’indebolimento del papato è frutto anche di altre logiche, connesse alla volontà stessa di chi occupa la suprema cattedra. Una volontà di annichilimento esplicata tramite la devoluzione delle competenze ad entità altre, la desacralizzazione del ruolo, la fattiva opera di demolizione dell’ufficio petrino.

Devoluzione ai vescovi

Con due mosse ben calibrate papa Francesco ha dato inizio ad un processo di devoluzione ai vescovi di alcune delle prerogative del pontefice.

-I due motu proprio del 2015, Mitis iudex (27 giugno) e Mitis et misericors Jesus (15 agosto) conferiscono al vescovo l'onere di fare da giudice unico a riguardo delle richieste di nullità dei matrimoni, semplificando l’iter per dichiarare nullo il Matrimonio sacramentale e varando nei fatti il divorzio alla maniera cattolica.

-L'Esortazione Apostolica Amoris Laetitia (2016, 19 marzo) affida ai vari vescovi del mondo (o meglio, a ogni contesto culturale) la facoltà di scegliere per il matrimonio, l’adulterio e l’accesso alla Comunione, la linea da loro ritenuto più opportuna. Il pontefice, al n.3, fornisce una sorta di giustificazione: “non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero... in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali. Infatti, ‘le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale […] ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato’”, ove la parte finale, in un gioco di specchi, è una citazione desunta dal suo discorso a conclusione del Sinodo dei Vescovi 2015 (24 ottobre). In quella prolusione il papa si era spinto ancora più in là: “al di là delle questioni dogmatiche ben definite dal Magistero della Chiesa – abbiamo visto anche che quanto sembra normale per un vescovo di un continente, può risultare strano, quasi come uno scandalo, per il vescovo di un altro continente; ciò che viene considerato violazione di un diritto in una società, può essere precetto ovvio e intangibile in un’altra; ciò che per alcuni è libertà di coscienza, per altri può essere solo confusione”.

Il risultato? a Philadelphia e in Polonia i vescovi hanno optato per un atteggiamento conservatore, mentre a Chicago, in Germania e Argentina hanno intrapreso una liberalizzazione di stampo progressista.
I processi sono ormai innescati; dal conflitto tra tesi ed antitesi lo Spirito ci guiderà con nuove sorprese. La lettera dei quattro benemeriti cardinali e le proteste del cardinale Müller da sole non basteranno certo a fermarli.

Devoluzione ai teologi

Prima ancora di questi innovativi passi bergogliani c’era stato il fenomeno della devoluzione del Magistero ai teologi.

Scimmiottando le chiese protestanti, all’interno delle quali i teologi detengono l’autorità effettiva, la Chiesa Cattolica dopo il Concilio ha aperto il campo alle speculazioni dei teologi.
Inseriti nelle varie Commissioni vaticane, essi hanno prodotto documenti che pur privi di valore magisteriale sono diventati punti di riferimento per sviluppi ulteriori.
Ad esempio i lavori della Commissione per il dialogo con i Luterani hanno nella prassi sostituito i decreti e le definizioni del Concilio di Trento (come dimostrano le inaudite dichiarazioni di Bergoglio a Lund del 31 ottobre scorso).

Una delle ragioni del maggior spazio ottenuto dai teologi è stata l’ambiguità dei documenti ecclesiali.
I testi conciliari – anche a detta dei papi – sono passibili di interpretazioni sia in linea con il Cattolicesimo sia in rottura con esso [6].
Ora i teologi sono in maggior parte di fede progressista (modernista), e si fondano in primis sulle novità conciliari, da essi considerate alla stregua di dogmi irreformabili.
Inutile quindi chiamarli in causa per sbrogliare le ambiguità dei testi conciliari. Essi sono del tutto disinteressati a dare interpretazioni in linea con la fede cattolica autentica (pre-conciliare).

Anche le esternazioni di Bergoglio si prestano ad opposte interpretazioni.
Walter Mayr ha affermato che papa Francesco mira ad “attenuare i precetti centrali della Fede Cattolica per lasciare ai Vescovi e sacerdoti locali il compito di interpretarli” (Der Spiegel, 23 dicembre 2016).
Naturalmente i teologi modernisti si precipitano a giubilare per le aperture, mentre quelli conservatori si arrampicano sugli specchi per salvare la cattolicità dei documenti papali (senza per questo evitare reprimende o persecuzioni: nell’epoca del Terrore resta in piedi solo il più giusto e spietato).

La dottrina conciliare e quella cattolica sul papato 

Il Concilio Vaticano I ha stabilito de fide che Cristo ha dato a Pietro e ai suoi successori un primato non semplicemente di onore, ma di giurisdizione: un potere ordinario supremo, pieno, immediato e universale, per il governo e la guida della Chiesa Cattolica (spetta a lui l’ultima parola in materia di fede). Tale potere non deriva da una sorta di presidenza del collegio episcopale, ma direttamente dal fatto di essere stato eletto a capo supremo.

Per i teologi modernisti alla Hans Küng, che interpretano in modo rivoluzionario il n. 22 di Lumen gentium, al Papa dovrebbe al più essere riconosciuto un primato onorifico. Quale presidente del Collegio dei vescovi e delle varie conferenze episcopali egli agirebbe alla stregua di un monarca costituzionale, limitandosi a ratificare gli atti deliberativi dei suoi parlamenti e parlamentini.

Ridefinizione dell'ufficio papale

A definire un ruolo diverso del papa ci sta pensando il Grande Liquidatore.

Il suo programma rivoluzionario lo ha messo in chiaro il 25 maggio 2014: «Desidero […] trovare una forma di esercizio del ministero proprio del Vescovo di Roma che, in conformità con la sua missione, si apra ad una situazione nuova e possa essere, nel contesto attuale, un servizio di amore e di comunione riconosciuto da tutti (cfr. Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 1995)» [7].

Un primo passo concreto è l’istituzione della figura del papa emerito: «sessanta o settant’anni fa, il vescovo emerito non esisteva. Venne dopo il Concilio. Oggi è un’istituzione. La stessa cosa deve accadere per il Papa emerito» [8].

Una grave ferita inflitta al Corpo Mistico e al ruolo pontificale è la nota domanda “se uno cerca il Signore, chi sono io per giudicare?”. Con essa il vescovo argentino rifiuta il munus specifico di Pontefice – il carisma petrino di confermare i suoi fratelli nella fede – e rassegna le dimissioni da custode del depositum fidei e da responsabile del Magistero.

Da abile comunicatore e da cultore del primato della prassi, Bergoglio esplicita la sua idea di abbassamento del papato con atti plateali di stampo liberal americano.

Ha cominciato in quel fatidico 13 marzo 2013 col rifiutare i paramenti pontificali definendole “carnevalate”, salutando la folla con un borghese “buonasera”. Ha proseguito privando i giornalisti della benedizione e lasciando vuota la sedia al concerto programmato in onore di Benedetto XVI.

Rifiuta l’identità papale, rinuncia ad abitare nell’appartamento pontificio, non si firma p.p. (“pater patrum”), non si serve del “noi” apostolico, non indossa l’“anello piscatorio”, veste con una semplice talare bianca priva delle insegne pontificali. Si autodefinisce semplicemente “vescovo di Roma”.

Amarecitare la parte di “persona qualunque”, “uno come tanti”, “uno della porta accanto”,. Si serve della mensa dei dipendenti del Vaticano, in fila come tutti. Telefona a gente comune, pretendendo che gli si rivolgano con il "tu". Gioca con la folla mascherandosi con nasi da clown, copricapi vari e scambiando lo zucchetto con gli astanti.

Tutto concorre a privare la sua figura di un rimando al divino. Il Bergoglio uomo prevale sul Vicario di Cristo e contemporaneamente il ruolo pontificale si riduce ad ufficio profano, con grave nocumento alla Istituzione di Cristo che il papa è tenuto a tutelare.

Ciò che la Massoneria ha sempre sognato e per cui tanto ha tramato – umanizzare il Papa togliendogli qualsiasi segno di sacralità – sta per realizzarsi.

Giova ricordare che a spianare la strada alla rivoluzione bergogliana hanno contribuito gli atti di progressiva spoliazione delle prerogative papali operati dai predecessori.

La cosa più umiliante per un cattolico penso sia la fisima bergogliana di richiedere a tutti di benedirlo.
Nel 2006 a Buenos Aires si inginocchiò per ricevere la benedizione di un ministro pentecostale. Da papa lo ha chiesto alla folla in piazza San Pietro il giorno della sua proclamazione. L'ha chiesto il 1 giugno 2014 nello stadio olimpico di Roma gremito di militanti del Rinnovamento nello Spirito, cattolici e protestanti. Più gravemente il 16 giugno si è fatto benedire dall’Arcivescovo di Canterbury e primate anglicano Justin Welby.

Non si commetta però l’errore di addebitare solo a Bergoglio i tentativi ecumenici di ridisegnare il ministero del successore di Pietro. La sua opera non è altro che la realizzazione di ciò che auspicavano e per cui hanno brigato i suoi predecessori.

Le tossine della Collegialità 

La nuova dignità conferita ai vescovi dalla collegialità discende da una deviazione non piccola dalla dottrina di sempre: secondo questa nuova concezione, il potere episcopale di insegnare, santificare e governare (il potere di giurisdizione) deriva direttamente dall’Ordinazione e non più da un mandato esplicito del Papa.

Papato indebolito

La collegialità indebolisce il ruolo, il carisma e l’ufficio del papato.
Logica infatti vuole che, se il potere deriva solo dal sacramento, Papa e vescovi siano sullo stesso piano. Il primato petrino rischia di ridursi ad un primato solo d’onore (non di governo) che egli, primus inter pares, deve esercitare in comunione con le assemblee create dal sommovimento vaticanosecondista.
Come ha opportunamente osservato Cesare Baronio le nuove forme sinodali hanno favorito la progressiva desistenza del potere del Romano Ponteficeil quale “ha via via abdicato ad alcune proprie prerogative, prima consentendo a queste assemblee di esprimere un proprio voto con valore consultivo, poi lasciando che certe decisioni fossero assunte direttamente e limitandosi a ratificarle”.

In quest’ottica il Papa guiderebbe la chiesa non come capo supremo con i vescovi sotto di lui, ma come centro di aggregazione e di ufficializzazione degli indirizzi etico-dottrinali consigliati o decisi dagli organi permanenti che lo attorniano. Il tutto in vista di una confederazione ecumenica di chiese diverse nella fede, una ONU delle religioni con il papa nel ruolo di presidente.

La deformazione vaticansecondista

Tutta la storia della Chiesa testimonia che la suprema giurisdizione è stata sempre riconosciuta solo a Pietro e ai suoi successori.

Il Concilio Vaticano I aveva provveduto a definire dogmaticamente la dottrina del Primato del Papa, riconoscendogli “un’autorità giurisdizionale o di governo, piena, suprema, universale, immediata e ordinaria sia per quanto concerne la fede e i costumi sia per quanto riguarda la disciplina”.

È stato il Vaticano II a depotenziare la forma stabilita da Nostro Signor Gesù Cristo, sostenendo [senza appoggi scritturali] che Egli “'costituì gli Apostoli a modo di collegio o gruppo stabile” (Lumen Gentium, n. 19).
Ora, come afferma don Curzio Nitoglia, l’affermazione che il Corpo dei vescovi sia un ceto stabilee permanente che con Pietro e sotto Pietro ha il supremo potere di magistero ed impero è un’idea del tutto estranea alla divina costituzione della Chiesa.

Conflitti con Roma e dipendenza politica

Tutte le forme nate in funzione della collegialità – Concili Provinciali, Conferenze Regionali, Conferenze Episcopali nazionali e di area geografica, Sinodi dei Vescovi – concorrono a trasformare la Chiesa da società perfetta di origine divina gerarchicamente strutturata ad organismo con più punti di comando geograficamente sovrapposti, sorgenti di potenziali conflitti di competenza.

Gli organismi collegiali – scimmiottamenti cattolici degli analoghi luterani – lungi dal rafforzare l'unità, favoriscono piuttosto la dipendenza dai poteri di questo mondo.
Le Chiese locali tendono infatti a privilegiare l’essere in sintonia con le loro realtà politiche culturali piuttosto alla obbediente osservanza dei precetti provenienti da Roma.
È una preoccupazione espressa da mons. Antonio Livi: «il Papa, pur affermando che non c’è alcun cambiamento nella dottrina,quando parla dei cambiamenti che ritiene necessari nella prassi delle diocesi e delle conferenze episcopali induce a credere che egli intenda per “pastorale” un’attività anarchica del clero che, una volta lasciata la “dottrina” in soffitta, assume come “regola pastorale” le opinioni “secolari” prevalenti nel proprio ambiente sociale».

I vescovi vedono la loro autorità nelle diocesi accorciata, dato che risulta loro arduo prendere strade altre da quelle deliberate nei collegi istituzionali.

Resa ai nemici

Come tutte le parole della rivoluzione la Collegialità è una parola innalzata a totem, un concetto astratto quasi spettrale, brandito come scure contro l’ordinamento naturale e cristiano, un nuovo spettro agitato dagli eterni nemici.

Come si minò il potere delle monarchie ponendo accanto al re il «parlamento» con il compito di «aiutarlo» nella direzione degli affari di Stato, così l’aumento di potere dei Vescovi ottenuto a scapito del Papa con la collegialità e la devoluzione viene raggiunto l’obiettivo secolare delle mene giudaico-massoniche, disgregare la direzione unitaria della Chiesa. E siccome i parlamenti sono istituzioni che si sono dimostrate [permeabili alla e] manovrabili dalla Massoneria, così i vari sinodi conferenze e consigli appaiono se non etero diretti certamente fin troppo sensibili ai pareri veicolati dai massmedia ed esposti alle macchinazioni degli affiliati alla setta infame.

Felici i Luterani per l’annichilimento della figura del papa, contenti gli Ebrei per una chiesa sottomessa ai dettami della sinagoga, soddisfatti i Massoni per la trasformazione della sposa di Cristo in agenzia pseudo-umanitaria al loro servizio.

I germi della Devoluzione

La devoluzione del potere petrino alle periferie teorizzata dalla strategia di inculturazione promossa a partire da Giovanni Paolo II, unita alla politica di decentramento di Bergoglio [9] è causa efficiente dell’indebolimento dell’unità ecclesiale e di una eventuale frammentazione della Chiesa.

All’affacciarsi di prassi opposte, basate su interpretazioni discordanti di documenti volutamente confusi, è ineludibile che si dovrà rispondere da Roma se esista ancora o meno una morale unica per tutta la Chiesa Cattolica.

Non è lontano il giorno in cui le periferie rivendicheranno anche una vera e propria indipendenza dottrinale. La Chiesa Cattolica [universale] si trasformerebbe in un agglomerato di entità diversificate nella fede, nell’etica e nella liturgia.

La realtà è che agli adepti del Modernismo che oggi occupano la gerarchia cattolica della dottrina non interessa nulla, primo perché non credono esista una verità assoluta, secondo perché ogni dottrina è, a loro dire, in sé divisiva e di ostacolo al dialogo con i fratelli minori, maggiori e muratori.

Conclusione

In vista di un Cristianesimo senza dottrina, senza sacerdozio, senza sacramenti, senza giurisdizioni, con un’etica ad assetto variabile a seconda delle situazioni, gli accoliti del clandestinum foedus modernista sono sul punto di realizzare il programma proprio di tutte le comunità di pneumatici, risvegliati ed illuminati, a partire dai Fratelli del Libero Spirito (⇒ v. ad esempio qui e qui): una chiesa non più società visibile, solo “spirituale”, comunione di eletti liberati da ogni vincolo profano.

Sta anche a ciascuno di noi, in quanto ci è possibile, pregare ed agire perché ciò non avvenga.

 

Oreste Sartore


NOTE

[1] La Costituzione Apostolica Sacrae disciplinae leges (Giovanni Paolo II, 25 gennaio 1983), nel promulgare l’attuale Codice di Diritto Canonico, ha trasformato la collegialità in legge: «Il Collegio dei Vescovi, il cui capo è il Sommo Pontefice e i cui membri sono i Vescovi in forza della consacrazione sacramentale e della comunione gerarchica con il capo e con i membri del Collegio, e nel quale permane perennemente il corpo apostolico, insieme con il suo capo e mai senza il suo capo, è pure soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale» (canone 336).

[2] La CEI nasce nel 1952 come coronamento delle Conferenze Regionali. Queste, a loro volta hanno un’origine sia rivoluzionaria (ad esempio l’assemblea dei vescovi del Granducato convocata nel 1787 dal granduca Pietro Leopoldo con l’intenzione di fondare una “Chiesa nazionale”) sia controrivoluzionaria, quale risposta cattolica alle rivoluzioni del 1848 e alla creazione dello Stato unitario nel 1861. La loro storia le vede in effetti oscillare tra rivendicazioni episcopaliste e mera trasmissione dal centro alle periferie delle delibere romane.

[3] È significativo a tal proposito che lo statuto CEI del 1985 richieda alle singole Conferenze Regionali di mantenere “rapporti con le autorità civili e con le realtà culturali, sociali e politiche delle regioni”

[4] Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga (Hildesheim 24 febbraio 2015)

[5] L’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio è stato presentato ai membri del gruppo, nel corso del Concistoro del 2001, da Carlo Maria Martini. La sua candidatura papale, respinta nel 2005, è risultata vincente nel 2013, grazie anche al gruppo di San Gallo che ha attivamente cospirato per sbarazzarsi di Benedetto XVI ed eleggere Bergoglio.
Cfr. di Austen Ivereigh:
Tempo di misericordia, Milano 2014 ed ancheThe Great Reformer: Francis and the Making of a Radical Pope”, Londra 2015.

[6] Una doppia interpretabilità che è aberrante, dato che l’insegnamento dovrebbe per sua natura essere chiarificatore

[7] Intenzione di comunione con solo primato d’onore al vescovo di Roma recepita con approvazione dal patriarca di Costantinopoli Bartolomeo nel corso dell’incontro del 30 novembre 2014

[8] v. intervista al Corriere della Sera, 5 marzo 2014

[9] Evangelii Gaudium, n. 16: «non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare “decentralizzazione”».

 

(Febbraio 2017)

 

⇒LA RELIGIONE DOPO IL CINCILIO/1: ORIGINE ED ESSENZA   

⇒LA RELIGIONE DOPO IL CINCILIO/2: ORIGINE ED ESSENZA  

⇒LA RELIGIONE DOPO IL CINCILIO/3: ECLISSE DEL SACRO 

⇒LA RELIGIONE DOPO IL CINCILIO/4: LA STAGIONE DEI MEA CULPA 

⇒LA RELIGIONE DOPO IL CINCILIO/5: DERIVE FILANTROPICO-ONUSIANE