Il Matrimonio, come ci insegna la dottrina cristiana, è il Sacramento che unisce l’uomo e la donna indissolubilmente, come sono uniti Gesù Cristo e la Chiesa sua sposa, e dà loro la grazia di convivere santamente e di educare cristianamente i figli.
Esso venne istituito da Dio al momento della creazione dell’uomo (Gen. 1,27-28): “Dio li creò maschio e femmina, e li benedisse, dicendo: crescete e moltiplicatevi”. Gesù Cristo stesso in San Matteo conferma, in risposta ai farisei, come il matrimonio sia istituito divinamente: “Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo lascerà l’uomo suo padre e sua madre e si unirà con sua moglie e i due saranno una sola carne? Perciò essi non sono più due, ma una sola carne. Non divida dunque l’uomo quello che Dio ha congiunto”. (Mt. 19,6)
In queste due citazioni si possono già notare i due principali fini del matrimonio, ossia la procreazione e la reciproca assistenza degli sposi.
Procreazione: primo e più importante fine del matrimonio, è il comando di Dio alla coppia, come abbiamo visto, ossia la continuazione della specie umana. Alla procreazione è naturalmente associata l’educazione dei figli, secondo gli insegnamenti della Chiesa, affinché cresca sempre più il popolo eletto di Dio e la Sua Chiesa si riempia di “concittadini santi e familiari di Dio” (Pio XI, Casti Connubi). Lo stesso Papa riporta altrove nell’enciclica: “Ambedue poi i coniugi riguarderanno questi figliuoli ricevuti con animo pronto e grato dalla mano di Dio, quale un talento loro affidato da Dio, non già per impiegarlo solamente a vantaggio proprio o della patria terrena, ma per restituirlo poi col suo frutto nel giorno del conto finale”.
Reciproci amore ed assistenza degli sposi: secondo fine del matrimonio, esso comanda agli sposi un’unione fondata nella Carità divina, un’unione cioè che sia sempre rivolta verso il fine ultimo dell’esistenza, cioè la salvezza eterna, e dunque l’amore che devono provare gli sposi non dev’essere solo quella forza che permette loro di compiere l’atto coniugale al fine di procreare, ma anche e soprattutto quella forza che vuole il bene dell’altro, cioè la sua salvezza, poiché i coniugi si amano per amore di Dio. La reciproca assistenza infatti, prevede proprio l’impegno dei coniugi a santificarsi, in modo da essere innanzitutto di esempio verso i figli, e, una volta assolto il dovere di crescerli ed educarli, di dedicarsi più profondamente al servizio di Dio.
La bellezza e ineffabilità di tale unione viene paragonata da Cristo nella Sua unione con la Chiesa: Cristo e la Chiesa sono un unico corpo, di cui Cristo è il capo, allo stesso modo i coniugi sono un’unica carne il cui capo è l’uomo. Il matrimonio sacramentale dev’essere poi specchio di tale unione con un amore santo e puro, qual è quello di Cristo. L’intera quinta lettera agli Efesini di San Paolo descrive il matrimonio: “Le donne siano soggette ai loro mariti, come al Signore, perché l’uomo è capo della donna come anche Cristo è capo della Chiesa (…) E voi, o mariti, amate le vostre mogli, così come Cristo amò la Chiesa e diede Se stesso per lei (…) i mariti devono amare le loro mogli come i propri corpi; chi ama sua moglie ama se stesso(...)”.
Al secondo fine è strettamente legato il rimedio contro la concupiscenza, ed è necessario dal momento che l’uomo, dopo il peccato originale, ha perso il controllo perfetto sul proprio corpo, il quale diventa fonte principale di tentazione. Sappiamo che la concupiscenza è sottomessa alla ragione attraverso l’esercizio della virtù della temperanza, la quale è indicata appunto per attenuare le pulsioni principali dell’uomo. Tra queste, vi è la sessualità, la quale è legittima nel matrimonio, poiché finalizzata alla procreazione, ma i coniugi devono stare attenti a non lasciarsi trasportare da questa pulsione, anteponendo il proprio piacere al desiderio di avere dei figli.
Benché il matrimonio sia un’istituzione divina, anche la volontà umana dà il suo contributo, in quanto l’unione è determinata dal consenso di entrambi gli sposi, che volontariamente assumono questo stato di vita e accettano i doveri che esso comporta, ottenendo così i “beni” stabiliti da Dio, ovvero la prole, la fede e il sacramento (Sant’Agostino).
La prole, come abbiamo visto, occupa il primo posto nel matrimonio, e questo, come dice sempre Pio XI, è voluto da Dio non solo perché gli uomini crescano e occupino la terra, ma “assai più perché ci siano cultori di Dio, lo conoscano e lo amino, e lo abbiano poi infine a godere perennemente nel cielo”. Dio nella sua onnipotenza non aveva certo bisogno dell’aiuto degli uomini per moltiplicarsi ed occupare la terra, tuttavia, nella sua infinita bontà, ha voluto il contributo degli sposi. Riporta ancora Pio XI, “Da ciò appare facilmente quanto gran dono della bontà divina e quanto egregio frutto del matrimonio sia la prole, germogliato per onnipotente virtù divina e con cooperazione dei coniugi.”
Per adempiere a quanto comandato da Dio, cioè per formare dei “cultori di Dio”, è assolutamente necessaria una buona educazione, formando nella famiglia un clima in cui vi sia la prontezza ad accogliere la volontà divina.
Il secondo bene è la fede, ovvero la fedeltà dei coniugi nell’adempimento del contratto matrimoniale, in termini di unità, amore, aiuto e ordine. Unità, perché dice il Concilio di Trento: “Cristo Signore insegnò più apertamente che con questo vincolo due sole persone si vengono strettamente a congiungere, quando disse: Non sono dunque più due, ma una sola carne”. Il vincolo proibisce dunque qualsiasi forma di poligamia o di poliandria, e in generale tutte quelle unioni che deturpano l’unione della coppia. L’amore che deve unire i coniugi è, come detto prima, lo stesso con cui Cristo ama la Chiesa, quindi santo e puro; l’aiuto vicendevole, affinché assieme gli sposi percorrano il cammino di perfezione fino alla morte, crescendo nelle virtù, sul modello di Cristo. L’ordine, infine, riguarda il rapporto tra il marito e la moglie, ed è spiegato bene da Leone XIII: “Il marito è il principe della famiglia e il capo della moglie; la quale pertanto perché è carne della carne di lui e ossa delle sue ossa, non deve essere soggetta e obbediente al marito a guisa di ancella, bensì di compagna; cioè in tal modo che la soggezione che essa a lui rende non sia disgiunta dal decoro né dalla dignità. In esso, poi, che governa ed in lei che ubbidisce, rendendo entrambi immagine l’uno di Cristo, l’altro della Chiesa, sia la carità divina la perpetua moderatrice dei loro doveri”. (lett. Enc. Arcanum).
Infine, il sacramento designa l’indissolubilità del vincolo e l’elevazione e consacrazione, fatta da Cristo, del contratto in segno efficace della grazia. Quanto all’indissolubilità, Cristo afferma: “Ciò che Dio ha congiunto l’uomo non separi” (Mt. 19,6) e “Chiunque ripudia la propria moglie e ne prenda un’altra, commette adulterio; e chiunque prende quella che è stata ripudiata dal marito, è adultero” (Lc 16, 18). Per quanto riguarda la grazia, essa è quel tesoro “ove attingere le forze soprannaturali occorrenti ad adempiere le proprie parti ed i propri doveri fedelmente, santamente, con perseveranza fino alla morte.” (Pio XI, Casti Connubi).
Elisabetta Tribbia