Aforisma
"E' sempre l'amore che ti ha costretto e ti costringe a crearci a tua immagine e somiglianza, e a farci misericordia, donando smisurate e infinite grazie alle tue creature, che sono dotate di ragione. O Bontà sopra ogni bontà!"
La vita
È davvero impossibile raccontare tutte le opere stupende, i doni singolari e i privilegi particolari che riguardano la vita di questa grandissima Santa: pertanto, cercheremo di narrare i fatti della vita che più si ricordano di santa Caterina.
Nella città di Siena, nell'anno 1347, nacque da Jacopo Benincasa e da Lapa sua moglie la piccola Caterina, assieme alla sua gemella, di nome Giovanna, che Dio chiamò a Sé poco dopo aver ricevuto il Battesimo.
L'inclinazione dimostrata da Caterina fin dalla più tenera età alla pietà e alle altre virtù cristiane, fece sì che gli abitanti di Siena la soprannominassero “piccola Santa”. Appena ebbe imparata la preghiera della salutazione angelica, la piccola Caterina amava recitarla spesso scendendo la scala in ginocchio, ripetendola con grande affetto ad ogni gradino. Tutto il piacere e il divertimento lo prendeva nella preghiera, e si può dire che la sua orazione avesse prevenuto l'uso della ragione. Da questo indicibile affetto, nacque nella fanciullina un desiderio ardentissimo di consacrarsi tutta a Gesù: all'età di otto anni, fece voto di verginità, non volendo altro sposo che il suo Gesù.
Per custodire intatta la sua purezza, Caterina si ritirava spesso in solitudine, praticava il digiuno e l'astinenza continuamente, si mortificava inventandosi le più ingegnose penitenze, adoperandosi affinché nessuno, se non il suo Sposo diletto, si accorgesse delle opere che faceva di nascosto.
Ma la madre di Caterina, vedendo le belle qualità della figlia, iniziò a desiderare per lei un matrimonio vantaggioso: costrinse la figlia ad abbigliarsi e a coltivare le sue doti naturali. Una sorella di Caterina, in particolar modo, la rimproverava in continuazione più della madre per la sua negligenza nella cura dell'aspetto, e la sollecitò in tal maniera che Caterina, vinta da così tanti richiami, si convinse ad arricciarsi i capelli secondo la moda; ma che? Poco dopo ne concepì un tale dispiacere per il disgusto dato a Dio, che per tutta la vita rammentò questo suo errore e ne pianse in continuazione.
Nonostante l'incolto portamento di Caterina, le sue belle qualità risplendevano in modo che un gentiluomo finalmente la chiese in matrimonio. Tutta la famiglia, i parenti e amici applaudirono al lieto evento; solo la giovane Caterina si intristì dell'avvenimento, e per scongiurare ogni piano di nozze, decise di rasarsi la testa, e si pose in testa un velo, decisa a dimostrare a tutti che non voleva altro sposo che Gesù Cristo.
Un tale rifiuto fece inasprire i rapporti tra Caterina e i suoi genitori, i quali pensarono di farle cambiare idea dandole come punizione la cura della famiglia e i lavori più umili, più servili e più faticosi di tutta la casa. Ma Caterina accettò allegramente il laborioso esercizio, e si rassegnò alla volontà di Dio, lamentandosi solo di aver perduta quella bramata solitudine che tanto le era a cuore per raccogliersi in preghiera. Allora il suo Sposo le parlò interiormente, e Caterina capì che Gesù voleva che lei si fabbricasse una solitudine nel proprio cuore: in tal modo, Caterina cominciò a non perdere mai di vista Dio in mezzo alle sue faccende domestiche. La molteplicità delle sue occupazioni non interruppe più la sua orazione, e il suo volto era sempre ridente, perché il suo cuore era in pace. Tale condotta inaspettata disingannò i genitori, che videro chiaramente i divini disegni che operavano sulla loro figlia; così, la lasciarono libera di seguire la sua vocazione.
Caterina non tardò ad attenersi alla sua intenzione di rendersi simile alle sorelle della Penitenza del terz'ordine di S. Domenico. Si privò assolutamente dell'uso del vino e delle carni, e iniziò a mangiare esclusivamente erbe crude senza pane. Due tavole rozze senza coperta le servivano da letto, da tavolo, da sedia. Una catena armata di punte prese il posto di un duro cilicio. A diciotto anni diede inizio ad un continuo digiuno e ad un'aspra penitenza. Si fatica a credere come una fanciulla di quell'età, di salute debole, ci costituzione delicata potesse togliersi quasi tutto il sonno della notte per impiegare il tempo nella preghiera, e praticare tre volte al giorno crudeli e innocenti penitenze.
L'ardente desiderio di ritirarsi dal mondo fece sì che Caterina si ammalasse, e la madre, che l'amava teneramente, ne fu incredibilmente addolorata; un giorno, la Santa le disse che la sua salute dipendeva dal permesso di poter entrare nella congregazione della Penitenza. Nonostante la madre fosse contraria a tale decisione, tuttavia non vi si oppose, e le donò il suo consenso. In breve tempo, Caterina si riprese e, guarita, entrò nel luogo santo e vestì il sacro abito. Vestita come sposa di Cristo, liberata da tutti gli ostacoli esultò, e sin dall'inizio si impose un silenzio di tre anni, durante il quale parlava solo con il suo confessore, e non usciva di cella se non per andare in chiesa; perseverando in questa penitenza, già si diceva continuamente che ella vivesse per un continuo miracolo.
Quali fossero le delizie celesti che a torrenti inondavano il cuore della Santa, non è possibile dirlo. Quando Dio per provare la fedeltà di Caterina permise che nell'anima di lei insorgesse un'orribile tempesta di mille abominevoli fantasmi, di oscene immaginazioni, di terribili tentazioni, la Santa raddoppiò le sue orazioni, le sue penitenze e cercò di estinguere con le sue lacrime questo fuoco impuro; ma non ebbe tregua finché una visione di Gesù e di Maria distrusse quella terribile prova, e riconducendo così nell'anima purificata della santa una tenera pace.
Una tenerissima pace! Perché iniziarono molti episodi di estasi, le rivelazioni frequenti, le intime comunicazioni con Dio, i colloqui con i Santi, la familiarità particolare con Maria Santissima e con il suo dolce sposo, Gesù Cristo, il quale volle premiarla della sua fedeltà di sposa donandole un ricco anello: questo gioiello la Santa lo descrisse al Padre Raimondo di Capua, generale dei Domenicani e suo confessore, e poi scrittore della sua vita, e gli disse che ogni giorno lei lo portava nel dito, ma l'anello era invisibile a tutti gli altri.
Dopo questa insigne grazia, e dopo essere stata sepolta nella sua solitudine per così lunghi anni, Dio le fece comprendere che la carità esigeva da lei che si facesse vedere nel mondo. Cominciò allora a servire due povere inferme, l'una tutta lebbrosa, l'altra afflitta da una pestifera cancrena nel petto, le quali tutte e due erano abbandonate da chiunque per l'insoffribile puzza che emanavano. Animata Caterina dalla sua carità, le visitava due volte al giorno, le medicava con incredibile amore, le aiutava in tutto nei loro bisogni e in tutto le soccorreva con tale giovialità, tenerezza e assiduità, che le stesse inferme si stupivano nel vedersi assistite in tal maniera. Eppure, a poco a poco le due malate ricambiarono le cortesi gentilezze della Santa con ingiurie e villanie, e la licenziavano quasi fosse stata una vilissima schiava; arrivarono a tal punto da infangare la fama e l'onore di Caterina, insieme anche con l'aiuto di una donna nominata Palmerina, che mentiva così bene da saper convincere con le sue parole non solo i libertini, ma persino molte persone perbene.
Ma Caterina continuò a servire le due donne con lo stesso amore e la stessa perseveranza fino all'ultimo respiro della prima, e continuando a servire docilmente la seconda, sino a baciare l'orribile piaga di lei per vincere la naturale ripugnanza, senza mai proferire una sola parola per difendersi dalle calunnie, lasciando il suo onore nelle mani di Dio; il Signore pose fine a quelle menzogne facendo sì che le due donne conoscessero il loro errore, e pubblicassero loro stesse l'innocenza della Santa, rimangiandosi le loro calunnie.
Il Signore donò alla Santa nuovi favori. Caterina perse il gusto e l'uso degli alimenti, e non viveva che dell'Eucarestia: il pane degli angeli divenne il suo solo cibo, passando dall'inizio della Quaresima fino al giorno dell'Ascensione tutti i giorni senza prendere nessun alimento fuori della Comunione. Un giorno disse al suo confessore che il suo Sposo le aveva tolto il proprio cuore per metterle il Suo, e che con una grazia speciale le aveva impresse le stimmate, provandone un continuo dolore senza che però apparisse alcun segno esteriore, come lei aveva pregato il Signore che facesse.
Le sue opere, e specialmente le molte lettere scritte ai papi, ai cardinali, ai principi, sono prove della sua intelligenza, sapienza e discernimento. Ella fu spedita a Gregorio IX dai fiorentini per ottenere dal Pontefice la pace e la riconciliazione e assoluzione dalla fulminea scomunica, come infatti lei ottenne. Stava a cuore a Caterina il ritorno dei papi a Roma, i quali da ormai settant'anni avevano stabilito la loro residenza ad Avignone. Un giorno, riprendendo un certo vescovo Gregorio perché non risiedeva nella sua diocesi, il prelato le rispose: “Lo faccio ad imitazione dei pontefici, che da sì lungo tempo ne stanno assenti”. Benché la risposta fosse poco rispettosa, il sommo Pontefice ne rimase tanto commosso che fece voto internamente a Dio di ristabilire la santa sede a Roma. Di ciò domandò il parere alla Santa. Rispose ella: “Ah santo Padre! Perché consigliarsi sopra ciò, che di già vostra santità promise a Dio?”. Il papa, meravigliandosi della suprema cognizione della Santa, non pensò ad altro che all'esecuzione del suo voto. Partì da Avignone il 13 settembre del 1376 e fece il suo ingresso a Roma il 17 gennaio dell'anno seguente.
Il papa volle con sé la Santa sino alla sua morte, dopo la quale seguirono due anni da cui nacque uno scisma infelice. Caterina si adoperò con tutto il suo spirito affinché venisse riconosciuta l'autorità di Urbano VI per legittimo pastore universale; fu chiara la grande opinione che la Santa nutriva per il papa, ammirandone il talento, l'eloquenza, il coraggio e le sue capacità.
Dopo tante fatiche sostenute per la gloria di Dio e della Chiesa, la Santa si ammalò e soffrì con somma pazienza dolori atroci per il tempo di quattro mesi, dopo i quali la sua preziosa morte fu simile alla sua santa vita.
La sua dolce agonia fu accompagnata da sospiri, da trasporti di affetto, da elevazioni di spirito e consumata dall'ardore dell'amore morì all'età di 33 anni nella città di Roma nell'anno 1380. Il suo corpo venne lasciato per qualche giorno esposto alla venerazione del pubblico, e poi fu sotterrato nella chiesa di Minerva, dove Dio manifestò con nuovi miracoli la santità della sua Sposa, per i quali fu canonizzata dal pontefice Pio II nell'anno 1461, con tutta la solennità che esigeva la venerazione e fiducia che tutti i popoli nutrivano per questa grande Santa.
Riflessioni
Due sono le lezioni che possiamo trarre da questo racconto della vita di S. Caterina.
La prima, riguarda la preziosa virtù della carità. Quando la carità usata verso il prossimo trova corrispondenza e gratitudine, se non si diminuisce il merito, certamente diminuisce la fatica nel praticarla; ma quando la carità viene corrisposta con calunnie e ingiurie, e nonostante ciò essa continua ad essere fervorosa e costante verso gli ingrati, allora tale virtù può dirsi veramente perfetta. Come è la nostra carità? Ricordiamoci dell'esempio di Caterina con le due inferme, per servircene durante le opere della nostra giornata.
Il secondo insegnamento, riguarda la solitudine del cuore. Il raccoglimento interiore non è incompatibile con il nostro stato e i nostri impegni: si può stare in solitudine nel bel mezzo delle più impegnative occupazioni. Bisogna imparare a ritirarsi nella cella del nostro cuore di quando in quando, per fare compagnia a Dio, che ci chiama e ci aspetta.
Un solitario può vivere nel deserto col corpo, ma con il cuore essere distratto da mille pensieri. E perché un cristiano vivendo nel mondo non potrà col cuore ritirarsi in solitudine, unendosi a Dio? Quando si cerca Dio, quando Lo si ama, dappertutto Lo si trova. Cerchiamo anche noi di mettere in pratica questo prezioso insegnamento che Gesù stesso diede a Caterina, quando era tutta presa da mille occupazioni.
Veronica Tribbia