La folla è la falsità
Søren Kierkegaard lo aveva visto e compreso al volo (cos’è che non aveva capito, questo gigante riservato e modesto che visse ingabbiato, semi-ignorato e semi-preso sul serio nella sua cittaduzza, Copenaghen, dove amava intrattenersi con la gente del popolo invece che coi baroni universitari?): la partita della modernità si gioca tra il Singolo e la Folla. Beninteso: la folla è sempre esistita e sempre esisterà; anche nel mondo antico essa era presente e svolgeva un ruolo, specie nelle epoche di tumultuoso cambiamento politico e sociale. Ma col XIX secolo, con la stampa – le gazzette, come le chiamava lui, spregiativamente; lui che ne fu il bersaglio, preso in odio da una giornalista femminista, la svedese Federica Bremer, e da un direttore ebreo, M. Goldschmidt – la folla era diventata la Folla, una entità potente e temibile, capace di esercitare una tirannia invisibile ma ferrea, e d’imporre il suo volere su tutto e su tutti. Certo, la Folla, per definizione, non comanda: non possiede un’anima, non possiede un cervello, e dunque nemmeno una strategia. È palese che la Folla esiste perché qualcuno ha l’interesse ad imbrancare il maggior numero d’individui e sciogliere la loro singolarità in un magma indifferenziato, dove non contano più idee e ragionamenti, ma solo istinti ed emozioni viscerali. Pertanto,dietro la dittatura della Folla bisogna individuare i veri padroni della situazione: che sono, in primo luogo, i creatori della cosiddetta opinione pubblica, giornalisti e proprietari di giornali. Poi, però, bisogna risalire ancora più a monte, e vedere chi siano i proprietari dei giornali, e quali le loro intenzioni. E che direbbe Kierkegaard, oggi, quando le gazzette sono state affiancate e surclassate dal cinema, dalla radio, dalla televisione, e infine dalla gigantesca ondata della rivoluzione informatica, e in particolare dai social network, grazie ai quali chiunque è in grado di raggiungere migliaia e milioni di persone, d’influenzarli senza neanche prendersi il disturbo di firmarsi, anzi, perfino simulando una identità completamente fittizia, dal sesso all’età anagrafica, alla lingua, alla nazionalità, le opinioni, insomma letteralmente tutto? E quando qualsiasi cosa può essere vista, ascoltata, registrata, fotografata, e un attimo dopo messa in rete, capovolgendo opinioni, distruggendo reputazioni, ricattando o spingendo alla disperazione chiunque sia preso a bersaglio, e innalzando fino al successo, la gloria e la ricchezza, individui peraltro totalmente insignificanti, bravi solo nello scegliere il vestito o nell’acconciarsi e tingersi i capelli, ma talmente spregiudicati e talmente ambiziosi da fare di ciò una piattaforma per la scalata alle maggiori altezze, naturalmente col sostegno dei padroni della rete?
La cosa più inquietante, che Kierkegaard aveva visto con millimetrica precisione, è che la Folla è la falsità, perché nessuno, in essa, osa prendersi il fastidio di cercare la verità, ma essa va a rimorchio delle opinioni più diffuse, dei sondaggi, della pubblicità, di quel che si dice, e ama ripetere senza riflettere, perché riflettere è una faccenda individuale, non collettiva. Solo il Singolo è capace di verità, perché solo chi si pone come un individuo, come una persona, sa assumersi responsabilità e possiede il timor di Dio. La Folla è un tutto indistinto e quel che fa, non porta responsabilità alcuna; perciò i suoi membri si sentono indotti a liberare e sfrenare i loro istinti peggiori, sapendo che non verranno chiamati a risponderne. Nella folla che dà l’assalto alla casa del vicario di provvisione non manca un vecchio malvissuto che, agitando chiodi e martello, vorrebbe addirittura crocifiggere il disgraziato; ma quanto più temibile e onnipotente, proprio perché priva di consistenza fisica, è la Folla al tempo di internet, quando si può insinuare qualsiasi cosa tramite la rete, colpire come dei vigliacchi e poi negare; oppure colpire mascherati, senza neppure metterci la faccia, come, bene o male, ce la mettono i milanesi nei tumulti per il pane del novembre 1628, sia che vogliano veder scorrere il sangue, sia che vogliano, come il buon Renzo Tramaglino, cercar di evitare almeno i peggiori eccessi. E ciò che più di tutto odia la Folla, è la verità soprannaturale: come si vide il giorno di Venerdì Santo, a Gerusalemme, quando essa gridava: Crocifiggilo! Pilato, come singolo chiedeva: ma che male ha fatto?; e la Folla indistinta replicava: Via, crocifiggilo!
Scriveva Søren Kierkegaard nella appendice a Il punto di vista della mia attività letteraria, intitolata Il Singolo (in: S. Kierkegaard, Scritti sulla comunicazione, a cura di Cornelio Fabro, Roma, Edizioni Logos, 1979, pp. 192-194):
La Folla, non questa o quella, la contemporanea o una di quelle scomparse, una folla di umili o di eminenti, di ricchi o di poveri ecc. – è nel suo concetto - la falsità. Infatti la Folla causa irresponsabilità e spregiudicatezza ossia essa svigorisce la responsabilità per il Singolo, riducendolo ad un frammento. Ecco, non c’era nessun soldato che osasse mettere le mani addosso a Caio Mario; questo era la verità. Ma ecco che tre o quattro donne – che pensavano o s’immaginavano di essere Folla e con la speranza che sarebbe stato impossibile a chiunque dire con precisione chi aveva cominciato – ebbero il coraggio di farlo: che falsità! La falsità consiste anzitutto ch’è la “Folla” a farlo, sia che lo faccia il Singolo nella Folla sia che lo faccia OGNI SINGOLO. Poiché la Folla è un astratto, che non ha mani: ogni Singolo ha di solito due mani e quando poi egli, un Singolo, mette le sue due mani su Caio Mario, si tratta delle due mani di questo Singolo, non del vicino e tanto meno della Folla che non ha mani. Qui la falsità è che la Folla ha avuto il “coraggio” di farlo, quando mai neppure il più vile di tutti i singoli sarebbe stato vile quanto lo è sempre la Folla. Infatti ogni Singolo, che s’imbrancava nella Folla e fugge quindi vilmente dall’essere il Singolo (che o ha il coraggio di mettere le mani su Caio Mario o di confessare di non averlo), egli contribuisce con la sua parte di viltà alla “viltà” ch’è la Folla. Prendi l’esempio più alto, pensa a Cristo – e a tutto il genere umano, a tutti gli uomini passati o futuri; la situazione è quella della singolarità, come il Singolo in un ambiente solitario, solo con lui, farsi avanti come Singolo – e sputargli in faccia – non è mai nato né mai nascerà l’uomo che abbia il coraggio o la sfrontatezza di farlo; questa è la verità. Ma quando essi divennero Folla, ebbero il coraggio di farlo (cfr. Mt., 27, 30) – che tremenda falsità!
La Folla è la falsità. Per questo non c’è nessuno che disprezza tanto l‘uomo quanto chi sta a capo della Folla. Quando a uno di costoro si presenta un singolo uomo – certo, a costui che gliene importa? Si tratta di troppo poco e con orgoglio lo manda via: dovrebbero essere almeno cento. E quando sono in mille, egli si profonde in inchini davanti alla “Folla”; inchini e salamelecchi: che falsità! No, è quando c’è un singolo uomo che si deve esprimere la verità dell’essere-uomo e se forse si tratta ch’egli è povero e misero, qui allora c’è il dovere d’invitarlo nella stanza migliore e di usare con lui le espressioni più amabili e amichevoli di cui si dispone: questa è la verità. Quando invece ci fosse un’assemblea di migliaia di gente o più ancora, e la “verità” venisse messa ai voti, allora il dovere è questo ossia si deve - a meno che non si preferisca di recitare in silenzio la preghiera del Padre nostro “liberaci dal male” - si dovrebbe esprimere con timor di Dio che la Folla, come istanza, è dal punto di vista etico e religioso la falsità, mentre è eternamente vero che ognuno può essere il solo. Questa è la verità.
La Folla è la falsità. Perciò Cristo fu crocifisso, poiché anche se si è rivolto a tutti, non ha voluto avere a che fare con la Folla, perché non ha voluto avere nessun aiuto dalla Folla, perché ha respinto assolutamente [tutto] a questo riguardo, non volle fondar partiti, non ammise votazioni, ma volle essere ciò ch’egli era, la Verità che si rapporta al Singolo. Perciò ognuno che in verità vuol servire la verità, “eo ipso” in qualche modo è martire; se fosse possibile che un uomo nel seno della madre potesse concepire la risoluzione di volere in verità servire la “verità”, allora anch’egli, qualunque del resto sarà il suo martirio, ancora nel senso materno egli è “eo ipso” martire. Infatti per conquistare la Folla non ci vuole poi una grande arte: per questo basta un po’ di talento, una certa dose di falsità e un po’ di conoscenza delle passioni umane. Ma a nessun testimone della verità – ahimè, ogni uomo, io e tu dovrebbe esserlo – è lecito compromettersi con la Folla. Il testimone della verità – che naturalmente non ha nulla a che fare con la politica e anzitutto deve badare con tutte le forze di non farsi prendere per un politico – l’opera ispirata al timor di Dio del testimone della verità è d’impegnarsi possibilmente con tutti, ma sempre uno alla volta, di parlare con ciascuno in particolare, per le strade ed i vicoli - per riuscire a spezzare ossia a parlare alla Folla, non per educare la Folla, ma perché qualche singolo lasci l’assemblea e torni a casa per diventare un Singolo. La Folla invece, quand’essa è trattata come istanza rispetto alla “verità”, quando il suo giudizio è preso come il giudizio, il testimone della verità l’abbomina più che la giovane ragazza onesta la sala da ballo. E coloro che parlano alla “Folla” come istanza, egli li considera strumenti di falsità. Infatti, per ripeterlo ancora una volta, ciò che nella politica e in campi similari può in parte ed alle volte avere interamente il suo valore, diventa falsità quando lo si trasferisce nella vita intellettuale, spirituale e religiosa. E, per una cautela di prudenza forse esagerata, con “verità” io intendo sempre la “verità eterna”. Ma la politica e cose simili non hanno a che fare con la “verità eterna”. Una politica che volesse introdurre nella realtà la verità nel senso della “verità eterna”, si mostrerebbe nello stesso secondo e nel grado più alto di essere la più “impolitica” che si possa pensare.
Nel clima follemente demagogico creato dall’avvento della Folla, i politici democratici fanno a gara nell’adularla, nel blandirla, nell’ossequiarla, per quanto in cuor loro la disprezzino e, soprattutto, non abbiano neppure un’ombra di rispetto per i loro elettori, né, tanto meno, per quella cosa ormai politicamente scorretta e quasi impronunciabile che è LA VERITÀ. Eppure, su qualsiasi questione, dal voto di condotta da assegnare a uno studente svogliato alla politica interna ed estera di un grande Stato, nulla può esser fatto che non si accordi coi voleri della Folla; la quale, a sua volta, vuole ciò che vogliono le agenzie che l’hanno creata, plasmata, indottrinata: la stampa, il cinema, la televisione, eccetera. La Folla non ha alcun potere reale, però ha l’illusione di esercitarlo e tanto le basta; di più non pretende, perché ciò richiederebbe uno sforzo intellettuale e morale di cui solo il Singolo è capace – se pure ne ha la volontà. D’altra parte, la Folla si è evoluta e ha ricevuto dai suoi burattinai delle patenti di nobiltà: è diventata Massa – le Masse, al plurale, nel linguaggio marxista sono state per decenni l’incarnazione di un mito di salvezza – e attualmente è l’Opinione Pubblica, certificata scientificamente (si fa per dire) da sondaggi d’ogni tipo, nonché dai risultati elettorali: e in democrazia, si sa, l’esito delle urne è sacro e inappellabile: vox populi, vox Dei. Tuttavia, con o senza sondaggi, l’Opinione Pubblica resta quello che la Folla è sempre stata: un’astrazione che qualcuno ha inventato per maneggiarla come una clava. E ciò è tanto più vero per la sua ultima versione, aggiornata e rivista, che è “il popolo di internet”. Il compito che abbiamo davanti, a questo punto, è chiaro: tornare ad essere dei Singoli, uscire dal branco della Folla, o della Massa, o dell’Opinione Pubblica, o del Popolo di Internet, o da qualsiasi altra ammucchiata di pecoroni, e riconquistare la nostra individualità di persone, ossia di soggetti con una propria identità, una propria sensibilità, una propria intelligenza, una propria memoria, una propria coscienza, che comprende il senso della responsabilità.
La Folla è irresponsabile, quindi può commettere i peggiori eccessi senza provare rimorsi né ripensamenti. E proprio perché priva di freni inibitori è portata agli eccessi, come se si muovesse in uno stato di perenne sovreccitazione, sempre a caccia di qualcosa su cui gettarsi per nutrire una smania malsana di novità, di rivelazioni, di scandali. E tutto questo solo per recitare un copione già scritto da altri: da quelli stessi che hanno creato la Folla moderna, cioè i padroni dell’informazione, dello spettacolo e, indirettamente, anche del sistema educativo e scolastico. I padroni dell’informazione manipolata prendono ogni tanto un volto della folla – per esempio, quello della quindicenne svedese Greta Thumberg, accesa sostenitrice della crociata per il clima mondiale – e ne fa un beniamino della Folla, distraendola da cose più immediate e urgenti (quanti sanno che Stoccolma, grazie all’immigrazione, è divenuta la capitale europea degli stupri?) e dando uno sfogo illusorio alla voglia di partecipazione della gente, anche benintenzionata. E così la grande finanza, arbitra dei nostri destini, può accreditare la favola della democrazia che dà spazio a tutte le voci, mentre è vero il contrario: che il cittadino non conta nulla, almeno finché abdica alla propria individualità e consente a imbrancarsi nella Folla. Ciascuno dovrebbe prendere a modello lo scrittore Léon Bloy, il quale, a un giornalista che gli chiedeva quale giornale leggesse abitualmente per tenersi informato, come fanno tutti, rispose: Scrivi, giovanotto, ed esigo che queste mie parole siano letteralmente riprodotte nel tuo giornale. Primo: Léon Bloy non è “tutti”. Secondo: Non legge mai i giornali. Terzo: quando desidera sapere le ultime notizie, legge S. Paolo e l'Apocalisse.
Francesco Lamendola (accademianuovaitalia.it)