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Bergoglio ha sostituito Cristo con il Migrante

Mi scrive un amico: “‘Anche Gesù fu profugo… Le migrazioni sono un arricchimento per le nostre comunità…”. Non l’ho sentita al bar, ma mi viene data come affermazione del Papa… Ho imparato un’altra Storia, ma mi vengono i dubbi: ho avuto cattivi maestri? Non ho capito nulla? Soccorrimi! Buona giornata comunque”. In realtà Giuseppe, il mio amico, è stato tempestivo nella sua richiesta. È colpa mia se l’ho tirata in lungo con la risposta perché ormai tendo a pensare che su Bergoglio sia stato detto tutto e che, comunque, sarebbe salutare ignorarlo. Salutare per la salvezza del corpo e per la salvezza dell’anima.

Però la questione dell’immigrazione di massa, che pochi chiamano con il vero nome di “invasione”, non si può trascurare. Riscossa Cristiana ne ha parlato in una lunga e documentata inchiesta di Mario Di Giovanni mettendo in evidenza il disegno ideologico e geopolitico che la governa. Ma la richiesta di Giuseppe sposta l’argomento su un piano ulteriore, perché coglie nelle cronache del fenomeno migratorio la lettura neoreligiosa che ne fa la neochiesa, un po’ serva e un po’ padrona dei poteri mondialisti cui sta tanto a cuore l’invasione del Vecchio Continente. È nei Sacri Palazzi romani che opera silente e indisturbato il motore immobile della narrazione fondativa circa la natura salvifica della Grande Migrazione e il Migrante come Nuovo Messia.

NON È L’ONU, È LA NEOCHIESA In effetti, Giuseppe non ha sentito parlare al bar in questi termini dell’invasione migratoria, ma lo ha letto nelle varie presentazioni del volume Luci sulle strade della speranza, che raccoglie i numerosi interventi di Bergoglio in materia. Nella prefazione a se stesso, il vescovo di Roma dice che le migrazioni “pur generando sfide e sofferenze, stanno arricchendo le nostre comunità, le Chiese locali e le società di ogni continente. (…) Spostarsi e stabilirsi altrove con la speranza di trovare una vita migliore per se stessi e le loro famiglie: è questo il desiderio profondo che ha mosso milioni di migranti nel corso dei secoli. E poi ancora: “Il viaggio dei migranti non è sempre un’esperienza felice. Basti pensare ai terribili viaggi delle vittime della tratta. Anche in questo caso, però, non mancano le possibilità di riscatto, come accadde per il piccolo Giuseppe, figlio di Giacobbe, venduto come schiavo dai fratelli gelosi, il quale in Egitto divenne un fiduciario del faraone”.

Non serve andare oltre. È più interessante notare che il volume è stato pubblicato dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Per chi non sia addetto ai lavori, è bene precisare che si tratta effettivamente di un dicastero vaticano, perché con una simile denominazione potrebbe essere scambiato per una sezione dell’Onu o per un gruppo di volontariato di qualche loggia massonica. Errore in cui potrebbe incorrere anche gente avvezza alla nomenclatura clericale se solo scorresse certi titoli dei documenti emessi dal DSSUI:“Messaggio del prefetto del Dicastero in occasione della Settimana Mondiale per l’uso consapevole degli antibiotici”, “Messaggio del prefetto del Dicastero per la Giornata Mondiale del Turismo 2018”, “Messaggio del prefetto del Dicastero in occasione della giornata dedicata alla Domenica del Mare”, “Messaggio del prefetto del Dicastero in occasione della Giornata Mondiale della Vista”. Ebbene sì,“Vista” e non “Vita”, ma forse è meglio così.

Gi amanti del genere avranno notato le maiuscole compitate nel perfetto e inviolabile stile onusiano che, come le frequentazioni dei miliardari filantropi, pare essere gradito al Prefetto firmatario dei “Messaggi”, cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson. Dato anche come papabile alla vigilia dell’ultimo conclave, il cardinale gahanese è l’uomo voluto da Bergoglio al Dicastero eretto da Bergoglio con il motu proprio Humanam Progressionem il 17 agosto 2016 firmato da Bergoglio. Un vero e proprio centro di potere, più che di servizio, in cui sono confluite le competenze del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, del Pontificio Consiglio Cor Unum, del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti e del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. Al suo interno sono state costituite la Commissione per la Carità, la Commissione per l’Ecologia e la Commissione per gli Operatori Sanitati. Il DSSUI è inoltre competente nei confronti della Caritas Internationalis, mantiene rapporti con la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e collabora con la Segreteria di Stato anche partecipando alle delegazioni della Santa Sede in incontri intergovernativi.

L’elenco è lungo, persino estenuante, ma significativo. Eppure questo, per quanto inquietante, è solo l’aspetto esteriore, essoterico. Come ogni vero centro di potere il DSSUI ha un suo sancta sanctorum, un centro esoterico celato nella sezione che, dice il sito del Vaticano, “si occupa specificamente di quanto concerne i migranti, i profughi e vittime della tratta, seguendo con la dovuta attenzione le questioni attinenti alle necessità di quanti sono costretti ad abbandonare la propria patria o ne sono privi. Questa sezione è posta ad tempus sotto la guida del Sommo Pontefice che la esercita nei modi che ritiene opportuni con l’aiuto di due Sotto-Segretari”.

L’OPERA AL NERO CHE DIVINIZZA IL MIGRANTE Questo atto di governo è colpevolmente passato in secondo o terzo piano rispetto alla vera o presunta guerriglia in atto nei Sacri Palazzi che appassiona tanto i vaticanisti. La Segreteria di Stato contro il cerchio magico di Sua Santità, i giri di valzer di prefetti, segretari e nunzi, il periodico riaffiorare della questione tradizionalista con relativa soppressione della commissione Ecclesia Dei, persino il cardinale Segretario di Stato Parolin comicamente spacciato come antagonista di Bergoglio e papabile in un prossimo conclave restauratore… Tutta roba buona per un paginone con un richiamo in prima, ma è fiction. Intanto, ed è una novità vecchia come il mondo, il vero potere si esercita altrove.

Sua Santità è venuta dalla fine del mondo per qualcosa molto più grande di un rimpasto di governo. È qui per un’opera al nero che trasformi il Migrante in un neosalvatore capace di sostituire Cristo. A questo scopo, dal sancta sacntorum romano vengono indirizzate Urbi et Orbi la pastorale, la dottrina e la scienza liturgica che costituiscono il cuore pulsante del neomagistero bergogliano e hanno come scopo, rispettivamente, l’accoglienza, la dogmatizzazione e il culto del Migrante. L’immigrazione di massa di cui Sua Santità è uno dei maggiori fautori non è un fine, ma un mezzo.

Nel dicembre scorso, la Santa Sede ha presenziato al vertice delle Nazioni Unite di Marrakech per la firma del “Global Compact”, il patto Onu sull’immigrazione. Ed è stato il cardinale Parolin a illustrare nell’occasione le linee guida comuni alla strategia onusiana e all’approccio pastorale della neochiesa in materia di migrazioni: “accogliere, proteggere, promuovere e integrare”. Il Segretario di Stato ha anche detto che la Santa Sede condivide i principi informatori del “Global Compact”, incentrati sulla “priorità della persona, la sua inalienabile dignità e lo sviluppo integrale, che è la reale aspirazione di ogni essere umano”. Ha aggiunto che è necessario “adottare unapproccio inclusivo nell’affrontare le esigenze dei migranti” e che tale inclusione deve essere istituzionalizzata”. Naturalmente, sua eminenza ha poi ribadito l’impegno della neochiesa contro le narrazioni fuorvianti che generano percezioni negative dei migranti”. Se il fine è sommo, il mezzo deve essere all’altezza.

LA SIMBOLOGIA DI LAMPEDUSA Era già tutto scritto l’8 luglio 2013 nelle cronache del primo viaggio compiuto dal vescovo di Roma dopo la sua elezione, quello a Lampedusa. Più tardi, il 5 novembre 2016, lo ha sottolineato lui stesso parlando ai rappresentanti dei movimenti popolari convenuti nell’aula Paolo VI in Vaticano: “Nel Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale di cui è responsabile il cardinale Turkson c’è una sezione che si occupa di queste situazioni. Ho deciso che, almeno per un certo tempo, quella sezione dipenda direttamente dal Pontefice, perché questa è una situazione obbrobriosa, che posso solo descrivere con una parola che mi venne fuori spontaneamente a Lampedusa: vergogna”. Nell’intervista che apre il libro di Andrea Tornielli In viaggio, Bergoglio dice: Il primissimo viaggio è stato quello a Lampedusa. Un viaggio italiano. Non era programmato, non c’erano inviti ufficiali. Ho sentito che dovevo andare”. La risposta a una chiamata, dunque, che nella sua estemporaneità è riuscita a dire tutto attraverso i simboli, sempre più eloquenti ed efficaci dei discorsi e dei documenti.

È difficile scordare le immagini della neomessa celebrata su una barca adibita ad altare con l’ambone composto da tre timoni provenienti dai barconi degli immigrati e la corona di fiori gettata in mare in omaggio alla memoria dei morti durante la traversata dall’Africa all’Europa. Che cosa volessero dire quei segni con cui si inaugurava il pontificato bergogliano lo si comprende se si pensa a cosa sia l’altare secondo la dottrina e la liturgia cristiane.

QUANDO L’ALTARE RAPPRESENTAVA CRISTO Nel rituale di consacrazione, il vescovo versa l’olio santo sulla pietra, mentre si canta l’antifona: «Giacobbe fece della pietra un altare versandovi olio». Poi si recita «Discenda il tuo Santo Spirito, Signore, su questo altare, per santificare le nostre offerte». La pietra dell’altare è dunque associata ritualmente all’altare di Giacobbe, eretto là dove il patriarca posava la testa durante il sogno in cui vide la Scala degli angeli che mette in comunicazione Cielo e Terra.

L’altare cristiano diventa dunque il centro del mondo, luogo di manifestazione divina. Non solo rappresenta Gesù Cristo, ma si identifica con Lui, fin dalla più pura tradizione patristica. San Giovanni Crisostomo scrive: “Il mistero di questo altare di pietra è stupendo. Per sua natura, la pietra è solo pietra, ma diventa sacra e santa per il fatto della presenza di Cristo. Ineffabile mistero senza dubbio, che un altare diventi in un certo modo Corpo di Cristo”. Sant’Ignazio di Antiochia: «Accorrete tutti a riunirvi nello stesso tempio di Dio, ai piedi dello stesso altare, cioè in Gesù Cristo». Sant’Agostino: “Il tempio e l’altare è lo stesso Cristo”. Sant’Ambrogio: “l’altare è l’immagine del Corpo di Cristo”.

Nell’antica liturgia siriaca, prima della consacrazione, il sacerdote agita il grande velo al disopra delle offerte del pane e del vino e dice: « Voi siete la pietra dura che si è aperta per lasciare sgorgare dodici ruscelli d’acqua e che offre da bere alle dodici tribù di Israele». Sempre nel rito siriaco, a conclusione della celebrazione, il sacerdote bacia l’altare e lo saluta con un inno di rendimento di grazie per la nuova alleanza del Cristo più eloquente del sangue di Abele: “Rimani nella pace, altare santo del Signore. Io non so se mi sarà dato di ritornare da te, ma il Signore mi conceda di rivederti nell’assemblea dei primogeniti scritti nei cieli; poiché in quest’alleanza io ripongo la mia fiducia. Rimani nella pace, altare santo e santificatore. Il corpo e il sangue che ho ricevuto da te mi ottengano la remissione dei peccati e la sicurezza davanti al tremendo tribunale del nostro Signore e Dio, per sempre. Rimani nella pace, altare santo di Dio, mensa della vita. Intercedi per me, perché io non lasci di pensare a te, ora e nei secoli dei secoli. Amen”.

Oltre a questo, fin dai primi secoli, l’altare cristiano è stato associato alle reliquie dei martiri secondo un legame suggerito dal libro dell’Apocalisse“Quando l’agnello aprì il quinto sigillo, vide sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della Parola di Dio e della testimonianza che avevano resa”. Così trova origine l’antifona che recita “Santi di Dio, voi che avete preso posto sotto l’altare di Dio, intercedete per noi. I santi saliranno nella gloria e si riuniranno nelle loro dimore” e che Origene commenta scrivendo: «Felicissime sono quelle anime che la Scrittura ci mostra poste sotto l’altare di Dio e che hanno così potuto seguire Cristo fino a pervenire a questo altare in cui si trova lo stesso Signore Gesù, Pontefice dei beni futuri”.

Forse basta per comprendere che cosa si voglia dire quando si parla di un sacerdote “innamorato dell’altare”. O quando si pensa che, nel corso dei secoli, il solo sfiorare con timore un altare è stato segno di una conversione, di un patto, di un’entrata in religione, di un giuramento che nulla avevano di revocabile. Perché l’altare cristiano è Cristo.

IN GINOCCHIO DAVANTI A UN SALVATORE CHE NON SALVA Ma ormai, ci ha detto chiaramente la simbologia di Lampedusa, l’altare rappresenta altro da Cristo, è altro da Cristo. La barca sui cui ha celebrato la neomessa il vescovo venuto dalla fine del mondo rappresenta misticamente il Migrante. Idealmente, al suo interno, vi sono racchiuse le reliquie dei migranti morti durante la traversata in mare, cementate in nuova pietra sacra evocata da una narrazione a cui pare che nessuno, o quasi, si sappia sottrarre.

Intanto, le anime sono preda di una falsa chiesa che promette salvezza senza averne, che adora un salvatore incapace di risorgere, che distribuisce un pane e un vino senza ombra di divinità. Caro Giuseppe, non so se è una buona giornata comunque.


Alessandro Gnocchi (riscossacristiana.it