Il valore di questo rito non dipende da chi ne pronuncia le parole o da coloro che che vi assistono, ma deriva da colui che è l'unico sommo sacerdote e vittima sacrificale, Gesù Cristo nostro Signore. Ci uniamo con lui nonostante la nostra piccolezza: in quel momento, in un certo senso, perdiamo la nostra individualità e uniamo intimamente con Cristo il nostro intelletto e la nostra volontà, il nostro cuore e la nostra anima. In questo modo il Padre celeste non vede più noi, con tutti i nostri difetti, ma ci considera coma parte del Figlio diletto di cui si compiace. La Messa è quindi il più importante evento della storia del genere umano, l'unico atto santo che nasconde la collera di Dio per un mondo pieno di peccato, ponendo la croce tra il Cielo e la terra, ridando vita a quel decisivo momento in cui la nostra triste e tragica umanità si levò improvvisamente verso la pienezza della vita soprannaturale.
È importante, a questo punto, avere il giusto atteggiamento mentale nei confronti della Messa e ricordare un fatto importante: il sacrificio della croce non è qualcosa che successe tanto tempo fa, ma qualcosa che sta ancora accadendo. Non si tratta di un evento passato, ma di un dramma costante sul quale il sipario non è ancora calato. Non si creda che, poiché avvenne tanto tempo fa, il sacrificio di Cristo non ci interessi più di qualsiasi altra cosa accaduta nel passato. La Passione appartiene a tutti i tempi e a tutti i luoghi.
Per questo, quando il nostro Signore benedetto salì l'altura del Calvario, venne opportunamente svestito dei suoi abiti: egli avrebbe salvato la nostra terra senza gli ornamenti di un mondo effimero. I suoi vestiti appartenevano al tempo, lo limitavano a un luogo preciso e lo identificavano come un abitante della Galilea. Quando si liberò di questi e si spogliò delle cose terrestri non apparteneva più alla Galilea o a una provincia romana ma al mondo intero. Cristo assunse l'universale povertà propria degli uomini del mondo, non di un solo popolo, ma di tutta l'umanità.
Per esprimere ulteriormente l'universalità della redenzione, la croce venne innalzata nel punto focale della civilizzazione, nel luogo di incontro fra le tre grandi culture di Gerusalemme, Roma e Atene, nel nome delle quali venne crocifisso.
La croce fu quindi mostrata agli occhi degli uomini per frenare l'indifferenza, per appellarsi ai negligenti, per risvegliare coloro che erano assorti nelle cose mondane. Fu inevitabile che le culture e le civiltà di quell'epoca non potettero resistergli. Anche oggi noi non possiamo resistergli: è inevitabile.
Le persone presso la croce raffiguravano tutti quelli che crocifiggono. Anche noi eravamo là attraverso i nostri rappresentanti. Ciò che noi oggi stiamo facendo al Cristo mistico, essi lo fecero al Cristo storico. Se siamo invidiosi del bene altrui, allora anche noi eravamo là tra gli scribi e i farisei; se abbiamo timore di perdere qualche vantaggio terreno abbracciando completamente la divina verità e il divino amore, allora eravamo là in Pilato; se confidiamo nelle forze materiali e cerchiamo di essere vittoriosi nel mondo anziché nello spirito, eravamo là in Erode. Così per tutti i peccati che vi sono nel mondo, che ci rendono cechi di fronte al fatto che Cristo è Dio.
C'era quindi un certo grado di necessità nella crocifissione: gli uomini, che erano liberi di peccare, erano anche liberi di crocifiggere. Finché ci sarà peccato nel mondo la crocifissione sarà una cosa reale.
Noi eravamo là, quindi, durante quella crocifissione. Il dramma si era compiuto per quanto riguardava Cristo, ma non si era ancora dispiegato su tutti gli uomini, in ogni tempo e in ogni luogo. Nostro Signore sulla croce vide nella sua mente eterna l'intero dramma della storia, la storia di ogni anima individuale, e cosa sarebbe accaduto come reazione alla sua crocifissione. Tuttavia, benché egli vedesse ogni cosa, noi non potevamo sapere come avremmo reagito di fronte alla croce finché la morte di Cristo non si fosse dispiegata nel teatro del tempo. Non avevamo idea di essere presenti al Calvario quel giorno, ma lui sapeva della nostra presenza. Oggi noi possiamo conoscere il ruolo che avevamo nella vicenda del Calvario dal modo in cui viviamo e agiamo sulla scena del nostro secolo.
Ecco perché il Calvario è ancora attuale, ecco perché la croce è la crisi, ecco perché in qualche modo le ferite sono ancora aperte e perché gocce di sangue cadono ancora sulle nostre anime come stelle cadenti. Non è possibile sfuggire alla croce, neppure negandola come i farisei, neppure svendendo Cristo come fece Giuda, neppure crocifiggendo Gesù come fecero i suoi carnefici. Tutti noi non possiamo che vederla, sia che ci avviciniamo a essa per essere salvati, sia che ce ne allontaniamo spingendoci verso l'infelicità.
Ma in che modo la croce è visibile? Dove sarà perpetuato il Calvario? Lo troveremo rinnovato, riprodotto e ripresentato nella Messa.
Messa e Calvario sono una cosa sola perché in entrambi c'è lo stesso sacerdote e la stessa vittima. Le ultime sette parole di Cristo (in croce) corrispondono alle sette parti della Messa. La prima: “Perdona” evoca il Confiteor; la seconda: “Oggi in Paradiso” richiama l'Offertorio; la terza: “Ecco tua madre” si chiude nel Sanctus; la quarta: “Perché mi hai abbandonato?” ci porta alla Consacrazione; la quinta: “Ho sete” è la Comunione; la sesta: “Tutto è compiuto” è l'Ite, missa est; l'ultima: “Padre, nelle tue mani” è il vangelo conclusivo.
Immaginate quindi Cristo, sommo sacerdote, lasciare la sacrestia del Paradiso per salire l'altare del Calvario. Ha già preso la forma della nostra umana natura, si è vestito del manipolo delle nostre sofferenze, della stola del sacerdote, della pianeta della croce. Il Calvario è la sua cattedrale, la roccia del Calvario è la pietra dell'altare, il sole che diviene rosso è la lampada del santuario, Maria e Giovanni sono viventi altari laterali, l'ostia è il suo corpo, il vino è il suo sangue. È in piedi come sacerdote ma, insieme, prostrato come vittima. La Messa sta iniziando.
Mons. Fulton J. Sheen (1895-1979)