La disumana (e ricca) industria della fecondazione artificiale

Home / Archivio articoli ex sezione "Attualità" / Archivio anni 2011/2012/2013 / La disumana (e ricca) industria della fecondazione artificiale

Sindy ha gli occhi a mandorla e anni fa aveva bisogno di soldi. Così rispose all’annuncio di un’agenzia che cercava ragazze carine e alla fine dell’avventura, con un migliaio di dollari in tasca, ci aveva quasi rimesso la pelle. Alexandra l’annuncio lo aveva trovato sul giornale dell’Università di Stanford, dove faceva la ricercatrice in biologia, e le sembrava meraviglioso aiutare un’altra donna a diventare madre.

Alla fine ha perso la possibilità di avere figli lei stessa e si è ammalata due volte di tumore al seno prima di compiere 35 anni. Come è andata a Jessica deve raccontarlo sua madre, perché lei, che da studente “donò” i propri ovuli per due volte, se l’è portata via il cancro a 30 anni. Sono alcune delle storie delle “donatrici di ovuli”, giovani e spesso sprovvedute vittime di un commercio omertoso e pericoloso, raccontate in un documentario in uscita in America. 

Il titolo è “Eggsploitation”, un gioco di parole fra “sfruttamento” e “ovuli”, l’idea è della direttrice del Center for Bioethics and Culture americano, Jennifer Lahl, e la trama spiega che cosa c’è davvero dietro la fecondazione eterologa, quella in cui le coppie infertili usano gameti esterni alla coppia, che in Italia è vietata dalla Legge 40. Ovvero un’industria che soltanto negli Stati Uniti vale 6,5 miliardi di dollari e che tratta le donne come galline da batteria a scapito della loro salute. 

Da noi l’ultima primipara attempata a far discutere è stata Gianna Nannini, incinta a 54 anni, ma, nell’accapigliarsi fra il diritto assoluto a essere madre e quello del bambino a non trovarsi nel grembo di una nonna, in pochi si sono ricordati delle ventenni che si sottopongono a bombardamenti ormonali per dare a un’altra la possibilità di avere un figlio. Studenti squattrinate o donne dei paesi più poveri, attirate dai soldi o da altruistico desiderio, di solito non hanno idea dei rischi che corrono. 

Fino a pochissimo tempo fa sul tema non si trovava nemmeno una pagina di letteratura scientifica, da sempre le cliniche rassicurano le donatrici sul fatto che i malesseri post-trattamento sono soltanto un disturbo da niente. Eppure “donare” i propri ovuli è un calvario e a leggere le conseguenze sembra di stare in una puntata trash di Doctor House. Per cominciare le under30 sane assumono sostanze che causano una menopausa indotta, poi devono iniettarsi sulla pancia dosi fortissime di ormoni, perché il loro giovane corpo naturalmente produce uno o due ovuli a ciclo, mentre le cliniche ne vorrebbero migliaia. Il lavoro si conclude con un intervento chirurgico per asportare gli ovuli e l’assegno per il disturbo. 

Per molte i problemi iniziano a questo punto, per altre già alle prime punture. “Per le cliniche sono ovaie che camminano”, dice Suzanne Parisian, ex dirigente medico della Fda. Perché i centri della fertilità si limitano a offrire denaro in cambio di ovuli dietro un patto con regole ferree, senza preoccuparsi di raccontare realmente gli effetti collaterali della procedura. E spesso senza essere in grado di gestirli. Il primo rischio è l’emorragia dopo l’intervento, perché le pareti delle ovaie diventano fragilissime. 

Poi ci sono sindromi come quella da iperstimolazione ovarica, perdita di coscienza, disfunzioni ormonali e danni anche permanenti. Infine arrivano i tumori aggressivi, gli infarti, il coma. Eppure da nessuna parte c’è notizia delle donne morte, sui giornali si legge soltanto quanto è bello poter avere un bambino grazie all’eterologa e su Facebook arrivano gli inviti a “donare i tuoi ovuli a una donna più sfortunata”. Fra le protagoniste di “Eggsploitation” qualcuna ha rischiato di morire sul pavimento della cucina, qualcuna convive con la chemioterapia, qualcuna ancora dovrà adottare i suoi bambini dopo aver dato a un’altra, per qualche dollaro, la possibilità di averne di propri. 

“E’ un mercato dei corpi spinto dalla lobby scientifica – dice Josephine Quintavalle, femminista a capo del think tank britannico Comment on Reproductive Ethics – E’ triste vedere donne mature che sfruttano le giovani soltanto perché hanno i soldi e possono comprarsi ciò che vogliono, come se si trattasse di una merce”. Come possiamo, chiede il documentario, fare tanto i fissati con il cibo biologico e poi permettere che delle ragazze si imbottiscano di schifezze ormonali? “Come donne più vecchie, possiamo in coscienza chiedere alle giovani di rinunciare alla loro fertilità futura per il nostro desiderio di essere madri? Se siete giovani e state pensando di donare i vostri ovuli, ripensateci, non ne vale la pena”.

Valentina Fizzotti 

 

(Fonte: dal quotidiano IL FOLGIO del 28/8/2010)


Documento stampato il 22/11/2024