Poco dopo la caduta del comunismo europeo di vent'anni fa, l'allora Presidente ceco Vaclav Havel si rivolse alla Nazione parlando dell'importanza della responsabilità individuale in un sistema economico.
Sulla caduta del comunismo affermò: “Viviamo in un ambiente moralmente contaminato. Ci sentiamo malati moralmente perché ci siamo abituati a dire qualcosa di diverso da ciò che pensavamo. Abbiamo imparato a non credere in niente, a ignorarci l'un l'altro, a interessarci solo a noi stessi. […] Dobbiamo vedere questa eredità come un peccato che abbiamo commesso contro noi stessi. […] Se capiamo questo, la speranza tornerà nei nostri cuori”.
Oggi, con l'economia mondiale in una profonda recessione e con gli esperti e i politici che dibattono un'ampia serie di correzioni legali o tecniche, faremmo bene a ricordare le parole di Havel sulla responsabilità morale individuale come parte necessaria di qualsiasi soluzione reale.
Quando ha parlato, nel 1990, il mondo aveva appena assistito pietrificato alla caduta della Cortina di Ferro in Europa. Uno dei due sistemi politici e finanziari che avevano definito la maggior parte del XX secolo è scomparso quasi all'istante dal continente europeo.
L'idea del comunismo ateo come forza economica possibile era stata sfatata, portando almeno un commentatore a proclamare che “la fine della storia” era ormai prossima.
Come ha sottolineato Benedetto XVI in molti contesti, tuttavia, il trionfalismo è pericoloso.
Ora che affrontiamo una crisi economica di enormi proporzioni […] dobbiamo anche guardare a ciò che è andato storto […] e capire come rimediare.
L'importanza della capacità decisionale morale di ogni individuo sarà un aspetto fondamentale.
Nei giorni precedenti e in quelli immediatamente successivi al collasso del comunismo sovietico, c'era qualcuno abbastanza lungimirante da prevedere problemi per le economie occidentali se avessero ignorato l'aspetto morale. Le loro parole si sono rivelate estremamente importanti.
[…] Denigrando il “determinismo” del marxismo e il suo approccio ateo in un intervento del 1985 intitolato “Mercato, economia ed etica”, Benedetto XVI, l'allora Cardinale Joseph Ratzinger, avvertiva della possibilità di una crisi economica in Occidente. Ciò che lo preoccupava era il declino dell'etica nelle questioni economiche.
Un declino dell'etica “nato e sostenuto solo grazie a forti convinzioni religiose”, osservava, poteva “provocare il collasso delle leggi del mercato”.
Poco dopo l'inizio della caduta dei muri nel 1991, Papa Giovanni Paolo II, di cui è ampiamente riconosciuto il ruolo nel crollo del comunismo, metteva in guarda contro un'economia di mercato che escludeva i valori spirituali.
A suo avviso, un sistema che cercava di sostituire il marxismo con il consumismo - riducendo quindi “l'uomo alla sfera dell'economico e del soddisfacimento dei bisogni materiali” - finiva per commettere lo stesso errore e non rappresentava una soluzione adeguata ("Centesimus Annus" 19).
Sia Benedetto XVI che Giovanni Paolo II hanno sottolineato che ogni sistema economico che mette da parte Dio e la morale non si fonda sulla roccia, ma sulla sabbia.
Come ha affermato il Cardinale Ratzinger nel 1985, “anche se l'economia di mercato si basa sull'inserire l'individuo in una determinata serie di regole, non può rendere l'uomo superfluo o escludere la sua libertà morale dal mondo dell'economia. […] Questi poteri spirituali sono di per sé un fattore dell'economia: le regole di mercato funzionano solo quando c'è un consenso morale che le sostiene”.
Carl Anderson
(Fonte: ZENIT.org)