Si parla troppo di Cristianesimo e troppo poco di Cristo. Su giornali, riviste, rotocalchi, in discorsi politici, in conferenze accademiche, nell'attività pastorale, si possono ascoltare o leggere considerazioni, studi sulla morale cristiana, sulla sociologia cristiana, sulla filosofia cristiana, sull'arte e sulla civiltà cristiana. Ora tutto questo va bene, ma a un patto, che sia collegato alla fede in Cristo; se no, va male, molto male.
Perché tutte queste cose stanno in piedi se c'è quel fondamento di cemento armato che è la certezza della divinità di Cristo, diversamente diventano delle enormi sfasature, delle verità deragliate, della vuota retorica.
E la prova l'abbiamo esattamente in quei giornali, in quelle riviste, in quei discorsi che, volendo presentare un Cristianesimo avulso dalla fede, finiscono per offrircene invece una parodia, o quasi.
Alcuni presentano, infatti, il Cristianesimo come la prima forma di socialismo, altri invece come una forma di alienazione; vi è chi lo definisce un abietto servilismo e chi lo presenta come un tipo di anarchia. Tutta questa confusione è inevitabile quando si vuole prescindere dall'imprescindibile. Così perfino Benedetto Croce non ha potuto non dirsi cristiano. Ma il Cristianesimo è essenzialmente Gesù Cristo, è credere nella sua identità divina, credere alla sua professione di unico Salvatore dell'umanità.
Cristianesimo è non soltanto ammirare e accettare la verità della sua dottrina, ma affermare che Gesù Cristo è la Verità in persona, e che fuori di Lui tutto è polvere e ombra; che Lui è l'assoluto e tutto il resto è relativo. Sicché non un qualunque filosofema è l'assoluto, non un qualunque sistema sociologico, non un qualunque sistema scientifico; no, l'assoluto è Lui.
Il punto di partenza non è, come purtroppo ripetono stupidamente anche alcuni cristiani, la rivoluzione francese, né la rivoluzione industriale, né quella sociale; l'unica rivoluzione è avvenuta duemila anni fa, quando il Verbo si fece uomo ed elevò l'uomo fino a Dio.
Il punto di partenza non è Kant, Hegel, non è Newton, né Einstein, non è Marx né Gandhi, il punto di partenza è l'Incarnazione del Verbo. In quel giorno si è levato il sole della storia ed è iniziata l'era nuova. Tutto il resto è vicenda. Che sarebbe la storia senza Cristo? Shakespeare ha risposto per tutti: sarebbe una favola narrata da un pazzo.
Cos'è la morale Cristiana senza Cristo? Un funerale della vita o un formalismo farisaico. Non la pensano così gli uomini senza fede? Dal loro punto di vista essi hanno ragione, perché le rinunce, che la morale impone, fatte per amore di Dio sono una gioia, ma fatte per amor di rinuncia sono un suicidio. La sottomissione per amor di Dio è comprensibile, ma la sottomissione per la sottomissione è ripugnante, è etica da caserma, è disciplina da reclusorio. La morale per la morale potrà essere il risultato di un funambolismo cerebrale, non sarà mai una norma di vita. Il bene si fa per amore o non si fa. Se lo si fa per forza, è ipocrisia, e se lo si fa per l'utile è egoismo. Inutile dunque insegnare la morale se non si insegna ad amare Cristo; inutile predicare la Legge se non si predica Cristo.
[...] Finché la gente si limiterà a considerare Cristo un personaggio storico, nutrendo solo ammirazione, per tale gente il Cristianesimo sarà soltanto un rudere. Se vogliamo farne invece una fede viva, occorre mettere in moto anche il cuore.
(Fonte: GIOVANI.PROGREDIRE.net)