Dicono che la dottrina cattolica escluda totalmente la felicità da questo mondo, che divida la condizione umana in due fasi nettamente contrastanti: la prima in questa valle di lacrime, la seconda nel regno della beatitudine eterna; quaggiù la semina nel pianto, lassù il raccolto nell'esultanza. Non è vero? Non è questo, si dice, il linguaggio della Chiesa?
E' vero fino ad un certo punto. Certamente è inesatto dire che non si nasce per essere felici. Al contrario, a noi cattolici è stato sempre insegnato che siamo creati per la felicità; che la felicità non solo ci è possibile, ma ci è perfino comandata. Per noi la felicità non è solo una aspirazione legittima, ma anche un preciso dovere. E' fuori dubbio che Dio ci voglia tutti salvi e felici. Certo salvi col nostro consenso, felici con la nostra cooperazione, non contro voglia, perché Dio rispetta la nostra libertà. E' vero che la felicità intera, sicura e perfetta sia soltanto lassù, ma è falso che non ve ne sia affatto quaggiù. Si tratta di volerla cercare dove esattamente si trova.
E' stato detto fino alla noia che la felicità non si trova nei milioni, non si identifica col piacere, non si conquista con la carriera, non si raggiunge con il potere. E invece gli uomini si intestardiscono a cercarla in quelle illusioni, seguendo non la coscienza, ma l'apparenza, non la ragione ma la passione. E' naturale che poi si rimanga delusi, che si piombi nella noia, che si gridi alla tristezza della vita, che si definisca l'esistenza una miseria inutile.
C'é da meravigliarsi che i gaudenti di ieri e di oggi siano tutti pessimisti? Non lo sono invece i veri cristiani. Perché pur riconoscendo che quaggiù non mancano lacrime e avversità, pur ammettendo che il dolore è il pane quotidiano del nostro cammino verso l'eternità, tuttavia la fede nei supremi destini e l'amore appassionato di Dio compensano talmente il cuore dei santi da farli esultare di gioia.
Anzi il dolore e le contrarietà contribuiscono ad affinare lo spirito e ad accrescere l'amore, e con l'amore cresce anche la gioia. La gioia spesso non è dove si ride, essa è sempre dove si ama.
Così nella varietà dei santi voi potrete trovare, il santo dotto e quello ignorante, il santo immerso nella solitudine e il santo impegnato nella vita pubblica, il santo cui bastava una minuscola cella e il santo cui non bastava il mondo intero, il santo consumato dalla tisi e il santo divorato dallo zelo; ma un solo tipo di santo non troverete mai: il santo triste e malinconico. Non c'è, non ci sarà mai. Perché la vita vissuta nell'amore di Dio è un inizio di vita eterna.
San Francesco riempì di gioia le valli dell'Umbria, San Filippo Neri folleggiava per le vie di Roma, ebbro di gioia cristiana. La vita è un deserto senza Dio, ma con Dio è una miracolosa Primavera. I santi sono i più intelligenti: si godono la vita di qua e di là; mentre i cosiddetti furbi sono in realtà i più insipienti, perché stanno male dentro di loro di qua e poi di là. Non tristezza della fede, ma tristezza del vizio, non pessimismo dei santi, ma pessimismo dei cattivi. Come l'inferno incomincia di qua per i malvagi, così il paradiso inizia di qua per i giusti e i santi.
(Fonte: GIOVANI.PROGREDIRE.net)