Il protestantesimo con il suo principio del libero esame delle Sacre Scritture, trasformò la religione in un fattore puramente soggettivo e quindi privandola di qualsiasi influenza sulla vita politica; l’eredità di tale sovvertimento verrà raccolta dalla Rivoluzione Francese, che ne svilupperà i germi tanto da giungere al laicismo di stato con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino dell’agosto del 1789 che pone le basi di un nuovo ordinamento sociale e politico, diametralmente opposto a quello della civiltà cristiana.
Si afferma così che l’autorità non viene da Dio ma dal popolo, “dalla Nazione” (art. III). L’uomo diventa legge a sè stesso tramite l’espressione della volontà generale ed è quindi la maggioranza di coloro che hanno diritto al suffragio che determinerà ciò che è vero e ciò che è buono, senza nessun riferimento alla legge naturale e divina. (Art IV e VI).
Napoleone diffonderà questi princìpi rivoluzionari attraverso le sue conquiste in tutta Europa e questi continueranno ad essere, anche dopo la pseudo-restaurazione del 1815 successiva al congresso di Vienna, un punto di riferimento per tutti i liberali e per tutti coloro che volevano costruire un nuovo ordine socio-culturale meramente terreno basato sull’uomo distruggendo l’antico fondato nel cristianesimo.
I Papi condannarono sul nascere teli errori[1] e cercarono di combatterli con tutte le forze, cogliendo subito le conseguenze disastrose a cui necessariamente conducevano: se l’autorità non viene da Dio chi ne è investito non è più un semplice rappresentante di un potere più grande che lo sovrasta; se chi detiene l’autorità non deve più sottomettersi ad una legge superiore, che è base del vivere sociale, allora ci si espone ai peggiori soprusi. Viene aperta una breccia al dominio di chi ha i mezzi per manipolare le masse e quindi offerta la via libera alla dittatura dell’orgoglio dell’uomo e delle sue passioni più abiette, bassezze che cercherà di giustificare imponendole legalmente.
Le conseguenze morali a cui stiamo arrivando oggi non sono altro che l’esplicitazione di questi principi rivoluzionari. Quando la maggioranza decide per il voto in favore dell’aborto, allora l’omicidio di un bambino innocente nel seno di sua madre diventa legge di stato, finanziata dai contribuenti. Nel momento in cui chi ha in mano i mezzi di informazione riesce ad influenzare la moltitudine ad acconsentire all’espianto degli organi a cuore ancora battente, all’eutanasia, oppure alle unioni contro natura equiparandole al matrimonio con annesso diritto di adozione, allora ciò diventa lecito e morale, poiché non vi è altra legge che quella che decide il popolo.
La cosiddetta “teoria del gender” non è forse anch’essa una conseguenza di tali principi? L’uomo decide ciò che vuole essere: maschio o femmina, oppure semplicemente essere umano o animale[2], senza più tener conto in alcun modo della natura oggettiva che viene considerata come un’imposizione e quindi una limitazione della libertà di scelta: “Sono quello che decido di essere”.
Ma la propria natura si impone allo stesso modo della legge che la regola e se non la si segue si arriva all’autodistruzione.
I pontefici, nel combattere questi falsi princìpi e le loro conseguenze sociali e religiose, contrastarono fortemente quel movimento, detto cattolico-liberale, che cercava l’impossibile conciliazione fra il cattolicesimo ed i princìpi della rivoluzione, per far penetrare quest’ultimi nelle menti e nei comportamenti di un popolo che era ancora profondamente cattolico.
Molto spesso nella loro acuta percezione i Papi misero in guardia i pastori affinchè tutelassero il gregge loro affidato.
Gregorio XVI scriverà la sua enciclica Mirari Vos (15 agosto 1832) per condannare in maniera esplicita le tesi del cattolicesimo liberale, portate avanti da Felicité de Lammenais (1782-1854), sacerdote che si separerà poi dalla Chiesa. Il Papa parla di “cospirazione degli empi” che vogliono derubare e disperdere il santo deposito della fede.
Pio IX, nella sua Enciclica Quanta Cura denuncia le “nefande macchinazioni di uomini iniqui” che si sforzano di “sconquassare le fondamenta della religione cattolica e della società civile”; di seguito poi condanna senza mezze misure la cosiddetta “volontà del popolo” che per i suoi sostenitori costituirebbe “una legge sovrana, sciolta da ogni diritto umano e divino”.
Egli si scaglia infine contro i princìpi liberali applicati all’ambito religioso e, riprendendo l’insegnamento di Gregorio XVI, condanna come “delirio” la libertà di coscienza e dei culti, chiamandola “libertà di perdizione”. Termina poi la sua enciclica allegando un Sillabo di proposizioni condannate che segnano il punto di confine invalicabile fra il liberalismo ed il cattolicesimo nelle sue implicazioni religiose e politiche.
San Pio X, nella sua enciclica programmatica Esupremi apostolatus, parla di “guerra sacrilega che ora, forse in ogni luogo, si muove e si mantiene contro Dio” e si chiede se una tale “perversità di menti sia quasi un saggio e forse il cominciamento dei mali, che agli estremi tempi son riservati; che già sia nel mondo il figlio di perdizione, di cui parla l'Apostolo (cioè l’anticristo ndr)”. (II Thess. II, 5).
Con forza condannerà poi il modernismo, espressione più alta e insidiosa del pensiero rivoluzionario che si stava infiltrando nella Chiesa. Il decreto Lamentabili (3 luglio 1907) e sopratutto l’enciclica Pascendi (8 settembre 1907) rappresentano dei baluardi per la fede cattolica contro gli errori che la minacciano. Il Papa denuncia esplicitamente un attacco alla Chiesa dall’interno: “I fautori dell'errore già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma, ciò che dà somma pena e timore, si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista.” (N. 2).
Questa lotta contro gli errori moderni continuò alacremente fino al pontificato di Pio XII che con la sua enciclica Humani generis (12 agosto 1950), condannò la nuova teologia o neo-modernismo e con essa la diffusione di false teorie che minacciano di sovvertire i fondamenti della dottrina cattolica.
Il grande cambiamento avverrà sotto il pontificato di Giovanni XXIII e soprattutto con il Concilio Vaticano II da lui indetto.
Nel suo discorso di apertura[3], il pontefice inaugura un nuovo stile ecclesiastico ed attacca fortemente coloro che non saprebbero vedere che rovine e guai nei nostri tempi, quasi incombesse la fine del mondo, persone che egli chiama “i profeti di sventura”.[4]
Insistendo sull’indole “prevalentemente pastorale” del magistero conciliare, il Papa afferma che per andare incontro alle necessità odierne invece di abbracciare ”le armi del rigore” la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia, “esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando”. Questo perché le opinioni erronee, secondo il Pontefice, “contrastano così apertamente con i retti principi dell’onestà, ed hanno prodotto frutti così letali che oggi gli uomini sembrano cominciare spontaneamente a riprovarle”.
Predicazione quindi della verità in modo nuovo, senza più condannare gli errori come nel passato, perché l’uomo si sta rendendo conto da sè conseguenze nefaste di quest’ultimi.
Confrontando tale insegnamento con quello dei Papi che lo hanno preceduto non possiamo fare a meno di constatare un ingenuo ottimismo, fondato su una disconoscenza pratica delle conseguenze del peccato originale e della vera prassi della carità, compendiata nelle opere di misericordia che ci insegnano di ammonire i peccatori.
Quando si depongono così le armi contro il nemico gli viene dato libero corso per giungere ai suoi fini, ed il primo passo del liberalismo è proprio quello di dare diritto di cittadinanza all’errore e di farlo coesistere con la verità: infatti ogni dottrina che accetta questo princìpio si condanna al relativismo e a dissolversi essa stessa. Ciò è dimostrato in maniera eloquente dalle recenti affermazioni di Papa Francesco a Scalfari[5].
Per contrastare tale sovvertimento la sola via possibile è la predicazione integrale della verità cattolica in campo religioso e sociale e la condanna coraggiosa e pubblica degli errori che gli si oppongono, senza paura di sfidare il mondo mediatico e le opinioni comuni. Che Dio ci conceda oltre ai laici, anche numerosi ecclesiastici che abbiano questo coraggio.
Don Pierpaolo Petrucci
[1] Pio VI
[2] Dennis Avner, voleva trasformarsi in una tigre. Ha avuto 14 operazioni.
http://www.totalita.it/articolo.asp?articolo=2093&categoria=4&sezione=46&rubrica=
[3] Gaudet Mater Ecclesia, 11 ottobre 1962
[4] Alcuni, probabilmente non a torto, hanno voluto vedere in questo testo un’allusione al messaggio di Fatima e particolarmente al Terzo segreto che doveva essere svelato, secondo le parole di Lucia, al più tardi nel 1960 perché sarebbe risultato più chiaro. Giovanni XXIII lo lesse e decise di non renderlo pubblico.
[5] “Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene”. Intervista a Scalfari, 1 ottobre 2013