“La carità nel suo duplice volto di amore per Dio e per i fratelli è la sintesi della vita morale del credente. Essa ha in Dio la sua scaturigine e il suo approdo” (”Tertio millennio adveniente” n. 50). Ciò che segue sono riflessioni su alcuni brevi pensieri dai discorsi di Newman sul tema dell’amore.
Fede e amore
Newman ripete spesso nei suoi discorsi che siamo stati creati per amare: “In fondo amiamo perché è la nostra natura, e appartiene alla nostra natura l’amare perché Dio, Spirito Santo, l’ha fatta così” (PS[1] IV, 310) L’amore dà senso e pienezza alla vita. “La nostra reale e vera felicità non è conoscere, influenzare o cercare, ma amare, sperare, gioire, ammirare, riverire, adorare. La nostra reale e vera felicità sta nel possesso di quegli oggetti nei quali il nostro cuore può riposare ed essere appagato” (PS V, 316).
Anche se Newman è cosciente della preminenza dell’amore, egli predica più frequentemente sulla fede che sull’amore. È convinto che la fede sia la strada per maturare l’amore cristiano. Fede e speranza sono due “bastoni” che ci aiutano a trovare la strada per amare e avanzare nell’amore. “La prima grazia è la fede, l’ultima l’amore; prima viene lo zelo, poi segue la tenerezza; prima viene l’umiliazione, poi segue la pace; prima viene la diligenza, poi segue la rassegnazione. Che possiamo imparare a portare a compimento tutte le grazie in noi; con timore e tremore, vigilanti e in continua conversione, perché Cristo viene; con gioia, gratitudine, senza timore del futuro, perché egli è venuto” (PS V, 71).
D’altra parte l’amore è il più nobile dei doni di Dio in quanto non finisce mai. Sotto questo aspetto, come Newman dimostra nel discorso Fede e amore(1838), l’amore supera anche la fede e la speranza. “La fede e la speranza sono virtù proprie di uno stato imperfetto, e quando questo cessa di essere, cessano anch’esse. Ma l’amore è più grande, perché esso è perfezione. La fede e la speranza sono grazie donateci fin quando apparteniamo a questo mondo, cioè per un tempo limitato; ma l’amore è una grazia che ci viene data in quanto figli di Dio, in questo mondo o altrove, e partecipi di una redenzione che durerà per sempre. La fede non ci sarà più quando verrà la visione; la speranza scomparirà quando ci sarà la gioia del possesso; ma l’amore (così noi crediamo) crescerà sempre più per tutta l’eternità” (PS IV, 309).
L’amore è la virtù che serve come “motore” interiore e forza trascinante per tutte le altre virtù. “Noi crediamo alla parola di Dio perché l’amiamo; e speriamo nel paradiso ancora perché lo amiamo. Non avremmo speranza o interesse per esso se non l’amassimo; e non avremmo alcuna fiducia e confidenza nel Dio del cielo, se non avessimo alcun amore per lui” (PS IV, 309). La fede e la carità devono pertanto essere sigillate e permeate dall’amore se vogliono rimanere davanti a Dio. Vivere di fede nel quotidiano non è sempre facile, spesso ci vuole il coraggio di “nuotare contro corrente” affrontando dolore e sforzo. Alcuni cristiani provano un certo disgusto per il sacrificio, l’abnegazione e il dovere. A chi si domanda il perché di tutto ciò, Newman dà questa semplice risposta: “Chiaramente perché non abbiamo l’amore” (PS V, 336).
Infine l’amore conduce alla meta del nostro pellegrinaggio terreno. Newman proclama, “che la fede può farci superare l’attrazione del mondo, l’amore ci porta dinanzi al trono di Dio; la fede ci può rendere sereni, ma l’amore ci rende felici” (PS IV, 317). L’amore genuino porta all’unità. “È l’eterna carità il vincolo di unione di tutte le cose in cielo e in terra; nella carità il Padre e il Figlio sono uno nell’unità dello Spirito Santo; per la carità gli angeli sono una sola cosa in cielo, i santi sono una sola cosa con Dio, la Chiesa è una sulla terra (PS IV, 318).
L’amore per il prossimo.
Il Cardinale Newman provava avversione per un concetto dell’amore che rimanesse teoretico e vago e desse importanza ai sentimenti e agli affetti. Nel discorso, Amore dei parenti e degli amici (1831), biasimava quanti parlano molto di amore ma trascurano il prossimo nei doveri di ogni giorno. Egli chiamava “follia”, quella di alcuni che “dichiarano con magniloquenza di amare tutta quanta la razza umana con un affetto onnicomprensivo, di esser amici di tutta l’umanità e cose simili. A che cosa pervengono queste vanagloriose professioni? Che questi tali hanno certi sentimenti di benevolenza verso il mondo - sentimenti e niente più - niente più che sentimenti instabili, la mera prole di una immaginazione assecondata, i quali vengono alla luce soltanto quando le loro menti sono sovreccitate e, senza fallo, vengono loro meno nell’ora del bisogno. Questo non è amare gli uomini, non è altro che cianciare di amore” (PS II, 55).
L’amore genuino per l’umanità si dimostra nel compimento di atti concreti, cominciando col prossimo, il nostro prossimo le cui energie e debolezze, meriti e eccentricità ci sono ben note. “Il vero amore per l’uomo deve provenire dalla pratica, e pertanto, deve cominciare con l’esercitarsi verso gli amici che ci stanno intorno, altrimenti non avrà alcuna esistenza. Cercando di amare i nostri congiunti ed amici, sottomettendoci ai loro desideri, anche se contrari ai nostri, sopportando le loro infermità, vincendo la loro occasionale riottosità con la gentilezza, soffermandoci sui loro meriti principali e cercando di imitarli; è così che si forma nel nostro cuore la radice della carità, la quale, anche se piccola dapprincipio, può, come il seme di senape, alla fine perfino coprire la terra con la sua ombra” (PS II, 55). Newman è convinto che “il culto degli affetti domestici”, cioè l’amore degli amici e dei parenti, è la fonte di un amore cristiano più esteso” (PS II, 57). Gli “affetti domestici” sono molto semplicemente una scuola di abnegazione che, adattandosi a una comunità concreta e vivendo giornalmente insieme con altra gente, richiedono a se stessi atti di abnegazione, rendendo l’amore forte e perseverante.
Newman prende l’Apostolo Giovanni, che più di qualsiasi altro mise l’amore al centro della sua vita e del suo lavoro, come esempio di carità matura. “Ora cominciò egli con qualche gran fatica ad amare su vasta scala? Non direi; egli ebbe l’indicibile privilegio di essere l’amico di Cristo. Fu così che imparò ad amare gli altri; dapprima il suo affetto fu concentrato, poi si espanse. In seguito ebbe l’incarico solenne e consolante di prendersi cura della Madre del nostro Signore, la Beata Vergine, dopo la sua dipartita. Non possiamo scorgere qui, le fonti segrete del suo amore eccezionale per i suoi fratelli? Poteva egli, che prima fu favorito con l’affetto del suo Salvatore, poi cui fu affidato il compito di figlio verso Sua Madre, poteva egli essere qualcosa di diverso di un ricordo perenne e un campione (per quanto lo possa essere un uomo) di amore, profondo, contemplativo, fervido, sereno, smisurato?” (PS II, 56).
Newman era fortemente contrario alle tendenze religiose in cui predominavano “i sentimenti”. Ciò non vuol dire, tuttavia, che egli proclamasse o coltivasse un amore arido, al contrario. Nel discorso “Il dono della simpatia di San Paolo” (1857) presenta la maniera con cui l’Apostolo delle genti era pieno di un sincero e appassionato amore per la gente e come precisamente attraverso l’amore poteva conquistare i loro cuori. Con il lavoro della grazia nella sua profondità, l’elemento umano non veniva soppresso ma piuttosto santificato, nobilitato e perfezionato.
Paolo è esemplare nella pratica della carità, un amore umano e nello stesso tempo divino. Lui, che viveva in profonda unione con Cristo, era anche pieno di un profondo amore umano per i suoi amici e collaboratori. Egli sospirava di vederli, soffriva con loro, era profondamente addolorato per le infedeltà di alcuni. Possedeva un delicata empatia che traspirava attraverso la sincerità dei suoi rapporti e la delicatezza di tatto nel suo comportamento. “In una parola, è il predicatore particolarissimo della grazia divina, ed è insieme l’amico singolare e intimo della natura umana. Rivela a noi i misteri dei decreti supremi di Dio, e al tempo stesso manifesta l’interesse più sviscerato per le singole anime” (OS, 116).
In una lettera al suo amico anglicano John Keble, Newman scrisse: “Il primo dovere della carità è cercare di entrare nella mente e nei sentimenti degli altri”[2].
Questo, naturalmente, è possibile solo quando i nostri rapporti verso gli altri sono pervasi di rispetto e riverenza. “Nessuno ama veramente un altro, se non sente una certa riverenza verso di lui. Quando gli amici trasgrediscono questa sobrietà di affetto, è possibile che continuino a stare insieme per un poco, ma essi hanno rotto il vincolo dell’unione. È il rispetto reciproco che rende durevole l’amicizia” (PS I, 304).
Amore e verità
Newman spiega la distorsione del concetto dell’amore attraverso il liberalismo religioso. Ai fini di questo è caratteristico, per esempio, il suo discorso, Tolleranza e errore religioso (1834), in cui procede dalla massima universale che quando poniamo noi stessi e non Dio al centro, facilmente tendiamo ad avere atteggiamenti unilaterali. “Anche se la nostra mente fosse la più celeste possibile, amorosa, santa, zelante, energica, pacifica, tuttavia se allontaniamo per un momento lo sguardo da Lui, e guardiamo verso noi stessi, immediatamente queste eccellenti disposizioni sono soggette a estremismi e a errori. La carità diventa indifferenza, la santità viene inquinata da orgoglio spirituale, lo zelo degenera in fierezza, l’attività assorbe lo spirito di preghiera, la speranza si erge a presunzione” (PS II, 279).
Newman è dell’opinione che sia relativamente semplice coltivare le singole virtù, particolarmente quando esse sono incanalate nella scia del tempo. Una di quelle che viene facilmente esercitata è la generosità, e certamente molti hanno grande stima di questa nobile virtù, ma dimenticano le virtù relative della fermezza di principio e fedeltà alla verità, assecondando così non solo la tendenza all’errore ma anche la tolleranza dell’errore. Nell’Apostolo Giovanni, l’amore per l’uomo e il fervore per la verità sono uniti in maniera esemplare e questo è il motivo per cui Newman lo pone davanti agli occhi dei cristiani come traccia e modello. “Così il suo fervore e l’esuberanza della carità erano tanto lungi dall’interferire con il suo zelo per Dio che anzi più amava gli uomini, più desiderava di portare davanti a loro le grandi e immutabili Verità a cui potevano sottomettersi, così che potessero vedere la vita, su cui una piccola debolezza li costringe a chiudere gli occhi. Egli amava i fratelli, ma ‘li amava nella verità’ (Gv 3,1) Li amava per amore della Verità Vivente che li aveva redenti, per la Verità che era in loro, per la Verità che era la misura dei loro traguardi spirituali. Amava la Chiesa con tanta onestà da esser duro con quanti le causavano disturbi. Amava il mondo con tanta saggezza da predicargli la Verità; eppure, se gli uomini la rifiutavano, non li amava tanto disordinatamente da dimenticare la supremazia della Verità, Parola di Colui che è al di sopra di ogni cosa” ( PS, 285 ssg.).
Newman vide realisticamente nel suo tempo che c’erano molti che seguivano Giovanni nella sua amabilità e amicizia, ma pochi che portavano dentro di sé il suo zelo per la fede. Si lamentava che questi cristiani riconoscevano Dio solo come “Dio di amore” e non, allo stesso tempo, come un “fuoco divorante” (Ebr 12,29). Questo è il motivo per cui non è raro” che essi si slacciano i fianchi e diventano effeminati; nessuna meraviglia che la loro nozione ideale di una Chiesa perfetta, è una Chiesa che lascia ognuno andare per la sua strada e rinunzia a ogni diritto di pronunciarsi su un’opinione invece che di infliggere una censura contro un errore di fede” (PS II, 289).
Questo concetto di carità, infetto di liberalismo religioso, che non si trova solo ai tempi di Newman, ma è molto diffuso anche oggi, non può, secondo Newman, andare d’accordo con la storia della salvezza. Contraddice all’amore con cui Dio ama l’uomo; contraddice all’amore con cui l’uomo è chiamato a rispondere all’amore di Dio. Newman esorta coloro che lo ascoltano: “Qui si trova la nostra debolezza oggi, per questo dobbiamo pregare,- che venga una riforma nello spirito e la potenza di Elia. Dobbiamo pregare Dio in modo ‘da ravvivare il suo lavoro in mezzo agli anni’; di mandarci una severa Disciplina, dell’Ordine di S. Paolo e S. Giovanni ‘proclamando la Verità nell’amore’ e ‘amando nella Verità, - … Solo allora i cristiani avranno successo nella lotta … quando … saranno amorevoli nella fermezza, nel rigore, nella santità” (PS, 289).
Carità e grazia
Newman era contrario a ogni discorso superficiale e unilaterale sull’amore. Ha dimostrato spesso che solo coloro che pongono atti concreti di fede e pregano con fervore per ricevere questo grande dono da Dio, crescono e maturano nel vero amore di Dio e del prossimo, perché solo la grazia già donata come seme nel Battesimo ci abilita ad amare veramente.
Per questo Newman prega: “Mio Dio, voi lo sapete più di me quanto poco io vi ami. La vostra grazia permise agli occhi dello spirito di vedervi. Fu la vostra grazia che rese il mio cuore sensibile alle attrattive della vostra bellezza. Chi potrà far cessare l’amore ch’io porto a voi, o mio Signore? O mio Dio, tutto quello che mi è più vicino di voi, le cose della terra, quelle verso cui naturalmente io mi sento portato, tutto questo m’impedirà di contemplarvi, se voi non mi soccorrete colla vostra grazia. Preservate i miei occhi, il mio cuore, d’una così terribile tirannia. Spezzate i lacci che tengono avvinta l’anima mia. I miei occhi siano sempre rivolti a voi, e la vostra adorabile visione accresca il mio ardente amore”[3].
John Henry Newman (THEINTERNATIONALCENTREOFNEWMANFRIENDS.org)
[1] Parochial and Plain Sermons (=PS I - VIII), Sermons Preached on Various Occasions (=OS), Christian Classics, 1966-1968.
[2] The Letters and Diaries of John Henry Newman, Vol. XXII, ed. Charles Stephen Dessain, London 1972,69.
[3] Meditations and Devotions, Christian Classics, Westminster 1975, 3.