Nei tempi in cui si parla tanto di Francesco colpiti i FI, che vivono in maniera radicale la Regola

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Lo scrittore inglese Chesterton spesso diceva che la chiave di lettura per capire la realtà sono i paradossi, non perché alla paradossalità corrisponda la logica, tutt’altro, bensì perché attraverso la dimensione paradossale diventa più facile evidenziare ciò che è nel senso delle cose: un po’ come si può capire l’ordinario attraverso lo straordinario e viceversa.

Ovviamente ci sono paradossi e paradossi. Ci sono paradossi che in un certo qual modo sigillano il senso della realtà per cui questa (la realtà), proprio attraverso il paradosso, diviene più comprensibile; ma ci sono paradossi che contraddicono la realtà in quanto tale, facendola diventare ancora più incomprensibile.

Diciamolo francamente, nei nostri tempi a dominare è proprio questo secondo tipo di paradosso. Ci si intenerisce per le foche in estinzione in Alaska e poi si afferma che il non riconoscimento pieno della possibilità di abortire è una grave offesa ai diritti fondamentali dell’uomo. Nelle scuole si fanno accanite campagne contro il fumo di sigarette (preciso di non essere un fumatore per cui non c’è nessun “conflitto d’interesse”), ultimamente lo si è proibito finanche nei cortili (quindi all’aperto), si tolgono, sempre nelle scuole, le bibite gasate e le brioscine dai distributori automatici perché prodotti indiziati di favorire l’obesità nei ragazzi… e poi si parla, sempre ai ragazzi, di uso terapeutico delle droghe leggere. E di paradossi-paradossi si potrebbe ancora continuare.

Dunque, siamo nei tempi del “chiodo solare”. Qualcuno – penso – si ricorderà quel famoso film di Totò nel deserto allorquando un suo compagno di sventura, al sole, iniziava a vaneggiare, mentre, all’ombra, rinsaviva. Insomma sembrano essere i tempi di trionfo della dissociazione.

Ne mancava un altro di paradosso, un altro che non sta facendo né farà mai il giro dei giornali: sotto un pontificato di un papa che si chiama Francesco (primo papa a chiamarsi così), sotto un pontificato di un papa che spesso esalta la figura del grande Santo di Assisi, sotto un pontificato di un papa che ha indicato e indica la povertà come elemento essenziale della vita cristiana… ad essere attaccato è proprio un ordine francescano. Attenzione, non un ordine francescano che vive riprendendo in maniera moderata la regola di san Francesco, bensì un ordine francescano che nacque agli inizi degli anni ’90 proprio vivere il francescanesimo nella maniera più radicale. È un paradosso.

Ovviamente i “problemi” che si addebitano ai Francescani dell’Immacolata (così si chiama l’Ordine in questione) non sono di questo tipo: la povertà, la radicalità, ecc., ma sono “problemi” che conseguono alla scelta della radicalità del francescanesimo.

I Francescani dell’Immacolata vengono accusati di non sentire “cum Ecclesia”. Il testo della lettera del Commissario nominato, il cappuccino padre Fidenzio Volpi, dice testualmente così: «l’ecclesialità è una dimensione costruttiva della vita consacrata, dimensione che deve essere costantemente ripresa e approfondita nella vita. La vostra vocazione è un carisma fondamentale per il cammino della Chiesa, e non è possibile che una consacrata e un consacrato non “sentano” con la Chiesa».

Dietro questo non sentire “cum Ecclesia” ci sarebbe l’uso dell’antica liturgia e certe posizioni di alcuni (sottolineo “alcuni”) membri in merito ad alcuni (sottolineo “alcuni”) passaggi del Concilio Vaticano II.

Calma & gesso e… ragioniamo. Iniziamo con la questione della liturgia antica. Io conosco bene i Francescani dell’Immacolata. Nessuno di loro si è mai azzardato a celebrare la Messa Tridentina prima del motu proprio “Summorum Pontificum" emanato da Benedetto XVI, né nessuno di loro già approfittò dell’allora indulto emanato dal beato Giovanni Paolo II, nessuno. Ma poi: non sono certo gli unici. Ci sono congregazioni come la Fraternità San Pietro, L’Istituto Gesù Sommo Sacerdote, e altri che utilizzano integralmente la liturgia antica senza alcuna accusa di non completa ecclesialità.

Passiamo alle questioni teologiche. Anche qui non se ne capisce il motivo. Non ho mai ascoltato nessun sacerdote o teologo dei Francescani dell’Immacolata rifiutare il Concilio Vaticano II, piuttosto – questo sì – di leggerlo sotto quella prospettiva di ermeneutica della continuità ampiamente caldeggiata e indicata da Benedetto XVI fin dall’inizio del suo pontificato(vedi discorso alla Curia romana del dicembre 2005). Qualcuno si è spinto a sottolinearne il carattere pastorale (ci sono tanti teologi di altissimo livello che ne parlano, primo fra tutti il decano della Lateranense monsignor Brunero Gherardini) o a discutere su alcune singole formulazioni che andrebbero chiarite (lo stesso Benedetto XVI fece capire che ciò sarebbe ampiamente legittimo allorquando si parlava di un possibile riconoscimento canonico della Fraternità Sacerdotale San Pio X).

Allora qual è il vero problema? A mio parere non ne è uno solo, ma due.

Il primo è umano, il secondo no: è innominabile.

Il primo è che i Francescani dell’Immacolata, così come anche altre realtà legate alla Tradizione (che non è una cattiva parola), offrono una formazione sacerdotale che nella Chiesa oggi non è più di moda. Il modello sacerdotale di riferimento, per loro, non è, per fare un esempio molto famoso, il don Gallo della situazione tutto concentrato nel seguire il mondo arrivando a gloriarsi di aver accompagnato alcune prostitute ad abortire (nessuno ha mai detto nulla a riguardo); né, per fare un esempio più alto, un don Filippo Di Giacomo, celebre vaticanista di Radio Uno nonché –dicono – celebre canonista, il quale, intervistato da Luca Telese sulla 7 a proposito della Comunione data dal cardinale Bagnasco al noto transessuale Luxuria in occasione dei funerali di don Gallo, ha detto chiaramente che anche lui avrebbe fatto lo stesso, che la Chiesa deve essere inclusiva e che l’importante è solo essere battezzati (alla faccia del grande canonista!).

No, per i Francescani dell’Immacolata il modello di sacerdote è il Santo Curato d’Ars, è san Pio da Pietrelcina, tutto altare, confessionale e corona del Rosario per indicare ai fedeli la strada del Paradiso e non quella del mondo, del “politicamente corretto”, delle organizzazioni non governative e quant’altro…

E veniamo al secondo problema, quello non-umano. Prima ho citato san Pio da Pietrelcina. Ebbene, pochi sanno che di fatto l’Ordine dei Francescani dell’Immacolata è nato sulle ginocchia del Cappuccino Stigmatizzato. Il fondatore dei Francescani dell’Immacolata è padre Stefano Maria Manelli, nato da due famosi, nonché servi di Dio, figli spirituali di Padre Pio, Settimio e Licia Manelli (genitori di ben 21 figli!). Padre Stefano, all’età di cinque anni, ricevette la Prima Comunione da San Pio e alla sua scuola è cresciuto, alla sua scuola ha scoperto la vocazione e la sua missione di francescano mariano. Un sacerdote, padre Stefano, che ha suscitato tantissime vocazioni (preciso che tra i Francescani dell’Immacolata per il rigore di vita non basta la vocazione, occorre una vocazione nella vocazione), dicevo: padre Stefano ha suscitato tantissime vocazioni che riempiono case maschili e femminili in tutto il mondo.

Ma è mai possibile che non si capisce una cosa molto semplice?  Mentre Dio è pieno di fantasia, basta vedere quanti santi e con quanti carismi è riuscito a suscitare e susciterà ancora nella storia, mentre per generare la bellezza occorre tanta creatività, per il male no: è sempre la stessa tecnica, calunniare i buoni.

Il demonio, a differenza di Dio, è noioso, non ha fantasia, agisce sempre allo stesso modo. Basta che qualcuno gli rompa le uova nel paniere e zac… lo attacca con i soliti sistemi. La vita di tanti santi e di tante grandi congregazioni lo attestano; basta pensare ai vari sant’Ignazio di Loyola, sant’Alfonso Maria de’ Liguori, san Pio da Pietrelcina… e la lista è lunghissima. Come a sant’Alfonso, anche a padre Stefano hanno tolto l’Ordine alla fine della vita.

Io mi onoro di conoscere padre Manelli e posso garantire che è un uomo di Dio, di preghiera e… di obbedienza. Un uomo che sta accettando tutto nella completa sottomissione alla Chiesa e al Santo Padre. Il suo maestro, san Pio da Pietrelcina, diceva che la Chiesa quando colpisce, colpisce sempre dolcemente: è come la dolce mano della mamma.

Padre Stefano, nella sua santità di vita, ne è convinto e su tale convinzione dona anche in questi giorni un esempio di martirio e fedeltà.

 

Corrado Gnerre (ILGIUDIZIOCATTOLICO.com)


Documento stampato il 23/11/2024