La Passione costituisce il «Sancta Sanctorum» dei misteri di Gesù. Essa è il coronamento della sua vita pubblica, il vertice della sua missione quaggiù, l'opera verso la quale tutte le altre convergono o donde attingono il loro valore.
Ogni anno, durante la settimana santa, la Chiesa ne commemora in particolare le diverse fasi; ogni giorno, al sacrifizio della messa, ne rinnova il ricordo e la realtà per applicarcene il frutto.
A questo atto centrale della liturgia si riallaccia una pratica di pietà la quale, pur non appartenendo al culto pubblico ufficiale, organizzato dalla Sposa di Cristo, è divenuta tuttavia, per la copia di grazie di cui essa è sorgente, caramente diletta alle anime fedeli. Si tratta della devozione alla Passione di Gesù nella forma conosciutissima della Via Crucis.
La preparazione immediata che il Salvatore ha fatto alla sua offerta di pontefice sul Golgota consisté nel portare la croce dal pretorio al Golgota, schiacciato sotto le sofferenze e gli obbrobri.
La Vergine Maria e i primi cristiani avranno certamente in seguito rifatto più di una volta quell'itinerario, irrorando delle loro lacrime quei luoghi santificati dall'Uomo-Dio.
Voi sapete con quale slancio e quale fervore i fedeli di Occidente intraprendevano nel Medio Evo il lungo e penoso pellegrinaggio dei Luoghi Santi per venerarvi le tracce sanguinanti del Redentore: la loro pietà si alimentava a una sorgente feconda di grazie inestimabili. Ritornati alle loro case, avevano gran cura di conservare il ricordo dei giorni trascorsi a Gerusalemme nella preghiera.
A poco a poco si giunse, specialmente nel secolo XV, a riprodurre quasi dovunque i santuari e le «stazioni» della santa città. La pietà dei fedeli poteva così venir soddisfatta con pellegrinaggi spirituali rinnovati a volontà. In seguito, in epoca relativamente recente, la Chiesa ha arricchito questa pratica delle stesse indulgenze lucrate da coloro che percorrono a Gerusalemme tutta la serie delle «stazioni».
I. Perché la contemplazione dei dolori del Verbo Incarnato è sovranamente feconda per le anime: nessun particolare è trascurabile nella Passione di Cristo, Figlio di Dio, oggetto delle compiacenze del Padre; Gesù manifesta specialmente le sue virtù nel corso della sua Passione; sempre vive, e produce in noi la perfezione contemplata nella sua immolazione.
Tale contemplazione dei dolori di Gesù è oltremodo feconda. Io sono convinto, che, tranne i sacramenti e gli atti della liturgia, non vi è pratica più utile per le anime nostre della «Via Crucis» fatta con devozione. La sua efficacia soprannaturale è sovrana. Perché? Anzitutto perché la Passione di Gesù è la sua opera per eccellenza, tanto che tutti i suoi particolari furono vaticinati e non vi è altro mistero di Gesù, le cui circostanze siano state annunziate con tanta accuratezza dal Salmi sta e dai Profeti. E quando si legge nel Vangelo il racconto della Passione si rimane colpiti dalla cura che mette sempre Gesù nel «realizzare» quanto è stato annunziato di lui. Se permette la presenza del traditore all'ultima cena, è «perché sia verificata la parola della Scrittura» (Joan. XIII, 18). Egli stesso dice ai Giudei, i quali sono venuti per prenderlo, che egli si abbandona loro «affinché la Scrittura sia adempiuta» (Matth. XXVI, 56). Sulla croce, «tutto stava per essere compiuto», dice S. Giovanni, quando il Signore si ricordò che il Salmista aveva predetto di lui: «Nella mia sete essi mi abbevereranno di aceto» (Ps. LXVIII, 22). Allora, perché questa profezia, che riguardava un particolare, si adempisse, Gesù esclamò: «Ho sete» (Joan. XIX, 28). Nulla, in tutto questo, è piccolo o trascurabile, perché tutti questi particolari contrassegnano le azioni di un Uomo-Dio. Tutte queste azioni di Gesù sono oggetto delle compiacenze del Padre suo. II Padre contempla con amore il Figlio suo non solo al Tabor, quando Cristo è in tutto il fulgore della sua gloria, ma anche quando Pilato lo mostra al popolo, coronato di spine e divenuto il rifiuto dell'umanità. Egli avvolge il Figlio suo con sguardi di compiacenza infinita, tanto tra le ignominie della Passione come tra gli splendori della Trasfigurazione (Matth. XVII, 15). E perché? Perché Gesù, nella sua Passione, onora e glorifica il Padre in misura infinita non solo perché è il Figlio di Dio, ma anche perché si abbandona a tutto ciò che la giustizia e l'amore del Padre suo reclamano da lui. Se ha potuto dire, durante la sua vita pubblica, che «compiva tutto ciò che era accetto al Padre suo» (Joan. VIII, 29), ciò è vero particolarmente in quei momenti quando, per riconoscere i diritti della maestà divina oltraggiata dal peccato e salvare il mondo, si è abbandonato alla morte e morte di croce (Ibid. XIV, 31). «Il Padre lo ama di un amore senza limiti perché ha dato la vita per le sue pecorelle e perché, mediante le sue sofferenze, le sue soddisfazioni, ci merita tutte le grazie atte a restituirci l'amicizia del Padre suo» (Ibid. X, 17).
Noi dobbiamo amare la meditazione della Passione, perché in questa Gesù fa risplendere le sue virtù. Egli possiede tutte le virtù nella sua anima, ma l'occasione di manifestarle si verifica specialmente nella sua Passione. L'amore immenso per il Padre suo, la sua carità per gli uomini, l'odio al peccato, il perdono delle offese, la pazienza, la dolcezza, la forza, l'obbedienza alla legittima autorità, la compassione, tutte queste virtù risplendono in un modo eroico in questi giorni di dolore.
Quando contempliamo Gesù nella sua Passione, vediamo l'esemplare della nostra vita, il modello mirabile ed accessibile, di quelle virtù di compunzione, di abnegazione, di pazienza, di rassegnazione, di abbandono, di carità, di dolcezza che dobbiamo praticare per diventare simili al nostro Capo divino (Matth. XVI, 24; cf. Marc. VIII, 3-4; Luc. IX, 13; XIV, 27).
Vi è un terzo aspetto, troppo spesso dimenticato, e che è pure di capitale importanza. Quando contempliamo le sofferenze di Gesù, egli ei accorda, proporzionatamente alla nostra fede, la grazia di praticare le virtù che ha rivelate in queste sante ore. E in qual modo?
Quando Cristo viveva sulla terra, «una forza onnipotente emanava dalla sua persona divina che guariva i corpi, illuminava gli spiriti e vivificava le anime» (Luc. VI, 19).
Qualche cosa di analogo a questo avviene quando ci mettiamo in contatto con lui per mezzo della fede. A coloro che, con amore, lo seguivano sulla via del Golgota o assistevano al suo sacrifizio, Cristo ha certamente accordate delle grazie speciali: questo potere lo conserva tuttora e quando con spirito di fede, per commuoverci ai suoi dolori e imitarlo, lo seguiamo dal pretorio al Calvario e ci fermiamo ai piedi della sua croce, egli ci accorda le medesime grazie e ci largisce gli stessi favori.
Non dimenticate mai che Cristo non è un modello morto ed inerte; ma, sempre vivente, produce soprannaturalmente in coloro che si avvicinano a lui le disposizioni volute e le perfezioni che essi contemplano nella sua persona.
A ciascuna stazione il nostro divin Salvatore ci si presenta Con il suo triplice carattere di mediatore che ci salva con i suoi meriti; di perfetto modello di virtù sublimi; di causa efficiente, che può realizzare nelle anime nostre, con la sua onnipotenza divina, le virtù di cui ci offre l'esempio.
Mi direte che questi caratteri si ritrovano in tutti i misteri di Gesù Cristo. E' vero; ma con quanta maggiore pienezza si ritrovano nella Passione che è per eccellenza il mistero di Gesù! Se voi, ogni giorno, sospendendo per qualche momento i vostri lavori, lasciando in disparte le vostre preoccupazioni, facendo tacere nel vostro cuore gli sterili rumori del mondo, vi ponete ad accompagnare l'Uomo-Dio sulla via del Calvario, con fede, umiltà ed amore, con un vero desiderio d'imitare le virtù che rivela nella sua Passione, siate sicuri che le vostre anime riceveranno grazie di elezione che a poco a poco le renderanno sempre più somiglianti a Gesù e a Gesù crocifisso. Orbene, S. Paolo non riduce ogni santità a questa rassomiglianza? Basta, a raccogliere i preziosi frutti di questa pratica, come per lucrare le numerose indulgenze di cui la Chiesa l'ha arricchita, che ci soffermiamo a ciascuna stazione e vi meditiamo la Passione del Signore. Non è prescritta alcuna formula speciale di preghiera né è di obbligo alcuna forma di speciale meditazione, neppure quella del soggetto proprio della «stazione». Una completa libertà è lasciata al gusto di ciascuno e all'ispirazione dello Spirito Santo.
II. Meditazione sulle «stazioni» della Via Crucis.
Ed ora percorriamo insieme il cammino della croce; le considerazioni che vi presenterò a ciascuna stazione non hanno altro scopo (c'è forse bisogno di dirlo?) che aiutare la vostra meditazione. Ognuno prenda quelle considerazioni che meglio crede, ognuno le può variare a suo gradimento, secondo le sue particolari attitudini e i bisogni dell'anima sua.
Prima di cominciare, ricordiamoci la raccomandazione di S. Paolo: «Abbiate in voi i sentimenti che animavano Gesù Cristo... Egli si è umiliato facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Philip. II, 5-8). Più noi penetreremo in queste disposizioni che aveva Gesù nel percorrere la via dolorosa: amore verso il Padre suo, amore verso gli uomini, odio al peccato, umiltà ed obbedienza, più le anime nostre saranno ripiene di grazie e di lumi, perché l'eterno Padre vedrà in noi un'immagine più perfetta del suo divin Figlio.
Mio Gesù, voi avete percorso questo itinerario per amor mio portando la vostra croce. lo voglio farlo con voi e come voi, perché vogliate penetrarmi di quei sentimenti che prorompevano dal vostro cuore in quelle ore sante. Offrite per me al Padre vostro il sangue prezioso che voi avete sparso allora per la mia salute e la mia santificazione.
I. - GESÙ È CONDANNATO A MORTE DA PILATO.
«Gesù è in piedi davanti al governatore romano» (Matth. XXVII, 11). Egli è in piedi, perché, secondo Adamo, è il capo di tutto il genere umano che è sul punto di riscattare con la sua immolazione. Il primo Adamo aveva «col suo peccato meritato la morte» (Rom. VI, 23). Gesù innocente, ma carico dei peccati del mondo, deve espiarli con il suo sacrificio sanguinoso. I principi dei sacerdoti, i Farisei, il suo popolo «lo circondano come tori furiosi» (Ps. XXI, 13). I nostri peccati gridano strepitosamente ed esigono tumultuosamente la morte del giusto (Joan. XIX, 15). Il fiacco governatore romano «abbandona loro la vittima perché sia sospesa alla croce» (Ibid. 16). Che fa Gesù? Se, come dice S. Paolo, «rende testimonianza» (I Tim. VI, 13) alla verità della sua dottrina, della divinità della sua persona e della sua missione, tuttavia si umilia interiormente dinanzi alla sentenza pronunziata da Pilato, e gli riconosce un potere autentico (Joan. XIX, 11). In questa potenza terrestre, indegna eppur legittima, Gesù vede la maestà del Padre suo. E che fa egli? «Si consegna da sé, più che non sia consegnato» (I Petr. II, 23). Si umilia, obbedendo fino alla morte, accetta volontariamente la condanna di morte per renderci la vita (Is. LIII, 3). «Al modo stesso che la disobbedienza di un solo uomo, cioè d'Adamo, portò con sé la perdita di un gran numero, così l'obbedienza di un solo, di Gesù Cristo, li ricostituirà nella giustizia» (Rom. V, 19). Noi dobbiamo unirci a Gesù nella sua obbedienza ed accettare tutto quanto sembrerà al Padre nostro celeste d'imporci per il tramite di chicchessia, un Erode o un Pilato, se è legittima la loro autorità.
Accettiamo inoltre fin d'ora, ad espiazione dei nostri peccati, la morte con tutte le circostanze con cui piacerà alla Provvidenza mandarcela; accettiamola come un omaggio reso alla giustizia e alla santità divina oltraggiata dai nostri peccati. Unita a quella di Gesù, la nostra morte diventerà «preziosa agli occhi del Signore» (Ps. CXV, 15).
Mio divino Maestro, mi unisco al vostro Sacro Cuore nella sua sottomissione perfetta e nel suo completo abbandono ai voleri del Padre. Che la virtù della grazia vostra possa produrre nella mia anima quello spirito di sottomissione che mi abbandoni senza riserva e senza lamento al beneplacito dell'Alto e a tutto ciò che a voi piacerà di inviarmi nell'ora in cui dovrò abbandonare questo mondo.
II. GESÙ È CARICATO DELLA CROCE.
«Pilato abbandonò loro Gesù perché venisse crocifisso ed essi condussero lui portante la sua croce» (Joan. XIX, 17). Gesù aveva compiuto un atto di obbedienza, con l'abbandonarsi ai voleri del Padre, ed ora il Padre gli mostra quello che importa la sua obbedienza: la croce. Ed egli l'accetta come proveniente dalle mani del Padre con tutto ciò che essa implica di dolori e d'ignominie. In questo momento Gesù accettava tutto il complesso di dolori che quel pesante fardello apportava alle sue spalle già affrante nonché le torture inenarrabili con cui le sue membra verrebbero afflitte al momento della crocifissione; accettava gli amari sarcasmi, le odiose bestemmie con cui i suoi peggiori nemici, apparentemente trionfanti, lo avrebbero bersagliato non appena lo vedrebbero sospeso all'infame patibolo; accettava l'agonia di tre ore, l'abbandono del Padre... Noi non approfondiremo mai abbastanza l'abisso di strazi cui ha consentito il nostro divin Salvatore ricevendo la croce.
In questo stesso momento, Cristo Gesù, che rappresentava tutta la umanità e che stava per morire per noi, accettava la croce per tutti i suoi membri (Is. LIII, 4). Egli ha unito allora alle sue, tutte le sofferenze del suo corpo mistico, le quali in questa unione attingono il loro valore e il loro pregio. Accettiamo dunque la nostra croce in unione con lui e come lui per diventare degni discepoli di questo Maestro divino; accettiamola senza discutere e senza mormorare. Per quanto fosse pesante per Gesù la croce che il Padre gli imponeva ha forse essa attenuato il suo amore e la sua confidenza al Padre? Tutto il contrario. «Io berrò il calice di amarezza che il Padre mio mi offre» (Joan. XVIII, 11). Accada lo stesso di noi. «Se qualcuno vuol essere mio discepolo prenda la sua croce e mi segua». Non dobbiamo esser di quelli che S. Paolo chiama nemici della croce di Gesù (Philip. III, 18). Prendiamo invece la nostra croce, quella impostaci da Dio, e nell'accettazione generosa di questa croce troveremo la pace: nulla dà tanta pace all'anima che soffre come questo completo abbandono al beneplacito divino.
Mio Gesù, io accetto tutte le croci, tutte le contraddizioni, tutte le avversità che il Padre mi ha destinate: che l'unzione della vostra grazia mi dia la forza di portare queste croci con lo stesso abbandono che voi mi avete mostrato quando accettaste la vostra croce per noi. Che io non cerchi la mia gloria che nella partecipazione ai vostri dolori! (Galat. VI, 14)
III. GESÙ CADE LA PRIMA VOLTA.
«Egli sarà un uomo di dolori e conoscerà la debolezza» (Cf. Is. LIII, 3). Questa profezia d'Isaia si compie letteralmente. Gesù, esaurito per le sofferenze dell'anima e del corpo, soccombe sotto il peso della croce: l'onnipotenza cade, soccombe per debolezza. Questa debolezza di Gesù onora la sua divina potenza. Per essa egli espia i nostri peccati, ripara le ribellioni del nostro orgoglio, e «rialza il mondo impotente a salvarsi da sé» (Orazione della 2.a Domenica dopo Pasqua). Inoltre egli, in questo momento, ci meritava la grazia di umiliarci delle nostre cadute, di riconoscere le nostre colpe, di confessarle sinceramente; egli ci meritava anche la grazia di una forza sostenitrice della nostra fiacchezza.
Con Cristo prostrato dinanzi a suo Padre, detestiamo gl'inalberamenti del nostro amor proprio e della nostra ambizione, riconosciamo la nostra grande debolezza. Tanto Dio umilia i superbi quanto largheggia di misericordia con quelli che confessano umilmente la loro debolezza (Ps. CII, 13-14). Gridiamo misericordia a Dio nei momenti in cui ci sentiamo deboli in presenza della croce, della tentazione e dell'adempimento della volontà divina (Ibid. VI, 3). Proclamando umilmente la nostra debolezza splenderà allora in noi il trionfo della grazia, che sola ci può salvare (II Cor. XII, 3).
O Cristo Gesù, prostrato sotto la vostra croce, io vi adoro. «Forza di Dio» (I Cor I, 24) voi vi mostrate abbattuto dalla debolezza per insegnarci l'umiltà e confondere il nostro orgoglio. «O Pontefice, pieno di santità, che siete passato attraverso alle nostre medesime prove per rassomigliarci e aver compassione delle nostre infermità» (Hebr. IV, 15); non mi abbandonate a me stesso perché io non sono che debolezza; «che la vostra forza sia in me» affinché io non debba soccombere al male (II Cor XII, 9).
IV. GESÙ INCONTRA LA SUA SANTA MADRE.
E' giunto per Maria il giorno in cui si deve compiere perfettamente in lei la profezia di Simeone: «Una spada trapasserà la tua anima» (Luc. II, 35). Come ella si era unita a Gesù offrendolo altra volta nel tempio, così più che mai vuole essa penetrarsi dei suoi sentimenti e dividere i suoi dolori in quest'ora in cui Gesù è prossimo a consumare il suo sacrificio.
Ella si reca dunque al Calvario dove sa che suo Figlio deve essere crocifisso. Lo incontra sulla strada. Quale immenso dolore vederlo in così orribile stato! I loro sguardi s'incontrano e l'abisso delle sofferenze di Gesù chiama l'abisso della compassione della Madre sua. Oh, che cosa non farebbe essa per lui! Questo incontro fu e sorgente di dolore e principio di gioia per Gesù. Un dolore, constatando la profonda desolazione nella quale il suo stato pietoso immergeva l'anima della Madre sua; una gioia, al pensiero che le sue sofferenze avrebbero pagato il prezzo di tutti i privilegi di cui era e doveva essere colmata. Per questo appena si ferma. Gesù aveva il cuore più tenero: alla tomba di Lazzaro pianse, pianse anche sulle sventure di Gerusalemme. Mai un figlio amò sua madre al pari di lui e quando l'ha incontrata così desolata sulla via del Calvario, ha dovuto sentirsi fremere tutte le fibre del cuore. Tuttavia procede oltre, continua la sua strada verso il luogo del suo martirio perché tale è la volontà del Padre suo. Maria si associa a questi sentimenti perché sa che tutto deve compiersi per la nostra salute; ella prende una parte delle sofferenze di Gesù seguendolo fino al Golgota dove diverrà corredentrice.
Niente di umano deve trattenerci nel nostro cammino verso Dio: nessun amore naturale deve attraversare il nostro amore per Cristo: noi dobbiamo passar oltre per stargli sempre uniti. Chiediamo alla Vergine di associarci alla contemplazione delle sofferenze di Gesù e di farci partecipare alla compassione che essa gli attesta; attingeremo da tutto ciò un grande odio al peccato, che ha richiesto una tale espiazione. E qualche volta Iddio si è compiaciuto, per manifestare sensibilmente il frutto che produce la contemplazione della Passione, di imprimere nel corpo di alcuni Santi, come S. Francesco di Assisi, le stimmate delle piaghe di Gesù. Non dobbiamo desiderare questi segni esteriori, ma dobbiamo domandare che l'immagine di Cristo sofferente sia impressa nel nostro cuore. Sollecitiamo dalla Vergine questa grazia preziosa (Stabat Mater).
O Madre, «ecco il vostro Figlio»; per l'amore che gli portate fate che il ricordo delle sue sofferenze ci segua dovunque; ve lo domandiamo in suo nome; rifiutarci una tal cosa sarebbe lo stesso che ricusarla a lui, poiché siamo le sue membra. O Cristo Gesù, ecco la Madre vostra; per amar suo accordateci di sentire pietà per i vostri dolori e di divenire simili a voi.
V. SIMONE CIRENEO AIUTA GESÙ A PORTAR LA CROCE.
«Ora, nell'uscire, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone; e lo costrinsero a portare la croce di Gesù» (Matth. XXVII, 32; Marc. XV, 21). Gesù era stanco; ancorché sia l'onnipotente, vuole che la sua santa umanità, caricata di tutti i peccati del mondo, provi il peso della giustizia e della espiazione. Ma vuole che lo aiutiamo a portare la sua croce. Simone ci rappresenta tutti e a tutti noi Cristo domanda di prender parte alle sue sofferenze; non si è discepoli suoi che a questo patto. «Se qualcuno vuoI venire dietro di me prenda la sua croce e mi segua». L'eterno Padre ha voluto che una parte di dolori fosse lasciata al corpo mistico del Figlio suo e che una porzione di espiazione fosse subita dai suoi membri (Col. I, 24). Gesù pure lo vuole e appunto per significar questo decreto divino ha accettato l'aiuto del Cireneo.
Ma, al tempo stesso, ci ha meritato in questi momenti la grazia della forza per sostenere valorosamente la prova: ha messo nella croce l'unzione che rende sopportabile la nostra; poiché portando la nostra croce portiamo con ciò stesso la sua. Egli unisce i nostri dolori ai suoi conferendo loro, con questa unione, un valore inestimabile, sorgente di grandi meriti. «Come la mia divinità ha attirato a sé, diceva nostro Signore a S. Matilde, i dolori della mia umanità, li ha fatti suoi (è questa la dote della sposa), cosi io trasferirò le tue pene nella mia divinità, le unirò alla mia Passione, e ti farò partecipare a quella gloria che il Padre mio ha conferita alla mia santa umanità per tutte le mie sofferenze» (Il libro della grazia speciale, P. II.a, cap. XXXVI). Lo stesso ci fa intendere anche S. Paolo nella sua lettera agli Ebrei per incoraggiarci a sopportare tutto per amore di Cristo: «Corriamo con perseveranza nel cammino tracciato: mirando all'autore e consumatore della fede Gesù, il quale, proposto sì il gaudio, sostenne la croce, non avendo fatto caso dell'ignominia, ed ha meritato così di sedere alla destra del trono di Dio. Considerate attentamente colui che contro la propria persona sostenne tale contraddizione dai peccatori affinché non vi lasciate abbattere dallo scoraggiamento» (Hebr. XII, 1-3).
Mio Gesù, io accetto dalla vostra mano le particelle che voi distaccate per me dalla vostra croce, accetto tutte le contrarietà, le contraddizioni, le pene, i dolori che permettete o che vi piace di mandarmi, li accetto come parte di espiazione; unite quel poco che io faccio alle vostre inenarrabili sofferenze perché da queste acquisteranno le mie tutto il merito loro.
VI. UNA DONNA ASCIUGA IL VOLTO DI GESÙ.
La tradizione racconta che una donna, presa da compassione, si avvicinò a Gesù e gli porse un pannolino per asciugare il suo volto adorabile.
Isaia aveva predetto di Gesù sofferente che «egli non avrebbe più serbata né forma né bellezza, e che sarebbe diventato irriconoscibile» (Is. LIII, 1-2). Il Vangelo ci narra che i soldati gli dettero schiaffi insolenti e che gli sputarono in faccia. Inoltre l'incoronazione di spine aveva fatto colare il sangue su tutta la sua persona. Gesù ha voluto soffrire tutto questo pei nostri peccati; «ci ha voluto guarire con le contusioni» che ha subito il suo volto divino (Is. LIII, 5).
Essendo nostro fratello maggiore, sostituendosi a noi nella sua Passione, ci ha restituita la grazia che fa di noi i figli del Padre suo. «Noi dobbiamo essergli somiglianti perché tale è la forma stessa della nostra predestinazione» (Rom. VIII, 29). In che modo? Quantunque sfigurato dai nostri peccati, Gesù rimane anche nella Passione il Figlio diletto, l'oggetto delle compiacenze del Padre. Noi gli siamo somiglianti se conserviamo in noi la grazia santificante che è il principio della nostra somiglianza divina. Noi gli siamo pure somiglianti praticando le virtù che egli manifesta nella sua Passione, condividendo l'amore che porta al Padre suo ed alle anime, la sua pazienza, la sua forza, la sua mansuetudine, la sua dolcezza.
O Padre celeste, in ricambio delle lividure che vostro figlio Gesù ha sostenuto per noi, glorificatelo, innalzatelo, donategli quello splendore che si è meritato quando la sua faccia adorabile è stata sfigurata per la nostra salute.
VII. GESÙ CADE LA SECONDA VOLTA.
Consideriamo Gesù che soccombe una seconda volta sotto il peso della croce: «Dio ha posto sulle sue spalle tutti i peccati del mondo» (Is. LIII, 6). Sono i nostri peccati che lo schiacciano: egli li vede tutti nella loro moltitudine e nei loro particolari, li accetta come suoi fino al punto di non sembrar più, secondo la stessa parola di S. Paolo, che un peccato vivente (II Cor V, 21). Come Verbo eterno, Gesù è onnipotente, ma vuole provare tutta la debolezza di una umanità schiacciata: questa debolezza completamente volontaria onora la giustizia del Padre suo celeste e ci merita forza.
Non dimentichiamo mai le nostre infermità, non abbandoniamoci all'orgoglio; per quanto possiamo avere realizzati progressi grandi, restiamo sempre deboli per portare la nostra croce al seguito di Gesù (Joan. XV, 5). Solamente la virtù divina che discende da lui può diventare la nostra forza (Philip. IV, 13), ma essa non ci viene accordata se spesso non la invochiamo.
O Gesù, divenuto debole per amor mio, schiacciato sotto il peso dei miei peccati, datemi la forza che è in voi, affinché voi solo siate glorificato con le mie opere!
VIII. GESÙ PARLA ALLE DONNE DI GERUSALEMME.
«Gesù era seguito da una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e si lamentavano per lui. Volgendosi verso di loro, Gesù disse: Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figliuoli poiché verranno giorni in cui si dirà: Beate quelle che furono sterili, e gli uomini grideranno alle montagne: Cadete sopra di noi... Poiché se il legno verde è trattato in tal guisa, che si farà del legno secco?» (Luc. XXIII, 27-31).
Gesù conosce le esigenze della giustizia e della santità del Padre suo. Egli ricorda alle figlie di Gerusalemme che questa giustizia e questa santità sono perfezioni adorabili dell'Essere divino. Egli è un «pontefice santo, innocente, puro, separato dai peccatori»; (Hebr. VII, 26) egli non fa che sostituirsi ad essi; tuttavia guardate con quali terribili percosse lo colpisce la giustizia divina. Se questa giustizia esige da lui una espiazione cosi grande, quale non sarà la terribilità dei suoi colpi contro i colpevoli che avranno ostinatamente ricusato fino all'ultimo giorno di associare la loro parte di espiazione ai dolori di Cristo? (Hebr. X, 31). Quel giorno la confusione dell'umano orgoglio sarà così profonda, il supplizio di coloro che non hanno voluto saperne di Dio sarà cosi terribile che questi sventurati, rigettati per sempre da Dio, digrigneranno disperatamente i denti, domanderanno alle «colline di ricoprirli», come se esse potessero sottrarli agli strali infiammati di una giustizia di cui riconoscono, con evidenza la perfetta equità...
Imploriamo la misericordia di Gesù per il giorno terribile quando verrà non più come vittima che piega sotto il peso dei nostri peccati, ma come giudice sovrano a cui il Padre ha rimesso ogni potere (Cf. Matth. XXVIII, 18).
O mio Gesù, abbiate misericordia di me! O voi che siete la via, concedetemi di restare unito a voi con la grazia e con le buone opere, affinché dia frutti degni di voi, e non divenga per i miei peccati «un ramo morto, buono soltanto ad essere tagliato e gettato nel fuoco» (Cf. Joan. XV, 6).
IX. GESÙ CADE PER LA TERZA VOLTA.
«Dio, diceva Isaia, parlando di Cristo nella sua Passione, ha voluto spezzarlo con il dolore» (Is. LIII, 10). Gesù è schiacciato dalla giustizia. Non potremo mai, neppure nel cielo, misurare ciò che fu per Gesù l'essersi sottoposto ai dardi della giustizia divina. Nessuna creatura, neppure i dannati, ne ha portato interamente il peso. Ma la santa umanità di Gesù, unita a questa giustizia divina con un contatto immediato, ne ha subito tutta la potenza e tutto il rigore. Egli, vittima che si è abbandonata per amore a tutti questi colpi, è come spezzato dall'oppressione che fa pesare su di lui questa giustizia santa.
O mio Gesù, insegnatemi a detestare il peccato che obbliga la giustizia ad esigere da voi una tale espiazione! Concedetemi di unire alle vostre sofferenze tutte le mie pene per cancellare con esse i miei errori ed espiare su questa terra.
X. GESÙ VIENE SPOGLIATO DELLE SUE VESTI.
«Si sono divisi i miei vestiti ed hanno messo a sorte la mia tunica» (Ps. XXI, 19). E' la profezia del Salmista. Gesù è spogliato di tutto e lasciato nella povertà più assoluta e più nuda. Egli non dispone più neppure dei suoi vestiti; poiché dal momento che sarà innalzato sulla croce, i soldati se li divideranno e metteranno la sua tunica a sorte. Gesù, per un movimento dello Spirito Santo (Hebr. IX, 14), si abbandona ai suoi carnefici come vittima per i nostri peccati.
Nulla è così glorioso per Iddio e così utile per le anime nostre come l'associare l'offerta assoluta e incondizionata di noi stessi a quella fatta da Gesù al momento di abbandonarsi ai carnefici per essere spogliato delle sue vesti e sospeso alla croce, «per renderci con la sua morte le ricchezze della sua grazia» (II Cor VIII, 9).
Questa offerta di noi stessi è un vero sacrificio, questa immolazione alla divina volontà è il fondamento di ogni vita spirituale. Ma perché essa acquisti tutto il suo valore, dobbiamo unirla a quella di Gesù, perché «è appunto con questa offerta che ci ha tutti santificati» (Hebr. X, 10).
O mio Gesù, gradite l'offerta che vi faccio di tutto il mio essere, unite la a quella che voi avete fatta al vostro Padre celeste, nel momento in cui arrivaste al Calvario; liberatemi da ogni attacco alle creature ed a me stesso!
XI. GESÙ VIENE SOSPESO ALLA CROCE.
«Essi lo crocifissero, e due altri insieme a lui, uno per parte, e Gesù nel mezzo» (Joan. XIX, 18). Gesù si abbandona ai suoi carnefici come un agnello senza aprire bocca. La tortura della crocifissione delle mani e dei piedi è inenarrabile. Chi potrebbe descrivere i sentimenti del Sacro Cuore di Gesù tra questi tormenti? Egli doveva ripetere senza dubbio le parole che aveva già dette facendo l'ingresso in questo mondo: «Padre, voi non volete più olocausti di animali insufficienti a testimoniare la vostra santità... ma mi avete dato un corpo: Eccomi» (Hebr. X, 5-7; cf. Ps. XXXIX, 8).
Gesù guarda sempre la faccia del Padre suo, e con sentimento di amore incommensurabile, abbandona il suo corpo per riparare gl'insulti fatti all'eterna maestà. Lo crocifiggono tra due ladroni. E quale morte subisce? Mortem autem crucis (Philip. II, 8). Perché? Perché è scritto: «Maledetto colui che è sospeso al patibolo!» (Deut. XXI, 23; Gal. III, 13). Ha voluto essere «tra gli scellerati» (Is. LIII, 12; Marc. XV, 28; Luc. XXII, 37) per poter riconoscere i diritti sovrani della santità divina.
Egli si abbandona anche per noi. Gesù, essendo Dio, ci vedeva tutti in quel momento; si è offerto per riscattarci, perché il Padre ci ha affidati a lui, pontefice e mediatore (Joan. XVII, 9). Quale rivelazione dell'amore di Gesù per noi! (Ibid. XV, 13). Non avrebbe potuto fare di più. (Ibid. XIII, 1). E questo amore è anche l'amore del Padre e dello Spirito Santo poiché essi sono uno...
O Gesù, che, «obbedendo alla volontà del Padre e con la cooperazione dello Spirito Santo avete con la vostra morte data al mondo la vita, liberatemi, con il vostro corpo e il vostro sangue infinitamente santi, da tutte le mie colpe e tutti i miei mali: fate che aderisca inviolabilmente alla vostra legge e non permettete che mai mi separi da voi» (Ordinario della messa).
XII. GESÙ MUORE SULLA CROCE.
«E gridando con potente voce Gesù disse: Padre, io consegno nelle vostre mani l'anima mia. E dette queste parole spirò» (Luc. XXIII, 46). Dopo tre ore di sofferenze inenarrabili Gesù muore. «La sola offerta degna di Dio, l'unico sacrificio che riscatti il mondo e santifichi le anime è compiuto (Hebr. X, 14).
Gesù Cristo aveva promesso che «quando fosse stato innalzato sulla croce avrebbe attirato tutto a sé» (Joan. XII, 32). Noi gli apparteniamo per un duplice titolo: come creature uscite dal niente per opera sua, e come anime «ricomprate dal suo sangue» prezioso (Apoc. V, 9). Una sola goccia del sangue di Gesù Uomo-Dio sarebbe bastata a salvarci, perché tutto in lui ha un valore infinito; ma, tra tante altre ragioni, egli l'ha voluto spargere fino all'ultima goccia facendosi trapassare il suo Sacro Cuore, per manifestarci l'immensità dell'amor suo. Lo ha versato per noi tutti, in modo che ciascuno può dire con piena verità l'ardente parola di S. Paolo: «Mi ha amato e si è dato per me» (Galat. II, 20).
Domandiamogli che per virtù della sua morte sulla croce ci attiri al suo Sacro Cuore; domandiamogli di farci morire ai nostri amor propri, alle nostre brame, sorgenti di tante infedeltà e di peccati, e «di vivere sempre per lui che per noi ha voluto morire». Dal momento che dobbiamo la vita alla sua morte, non è giusto che viviamo per lui? (II Cor V, 15).
O Padre, glorificate il Figlio vostro sospeso sul patibolo. «Poiché egli si è umiliato fino alla morte e alla morte di croce, innalzatelo, e che il nome che voi gli avete dato, venga esaltato; che ogni ginocchio si pieghi davanti a lui, e che ogni lingua confessi che vostro Figlio Gesù vive oramai nella vostra gloria eterna!»
XIII. IL CORPO DI GESÙ VIENE CALATO DALLA CROCE E CONSEGNATO ALLA MADRE.
Il corpo pesto di Gesù è restituito a Maria. Non possiamo immaginare il dolore della Vergine in quel momento. Mai una madre ha amato suo figlio come Maria ha amato Gesù; il suo cuore fu modellato dallo Spirito Santo perché fosse atto ad amare un Uomo-Dio. Mai cuore umano palpitò con tanta tenerezza per il Verbo Incarnato quanto il Cuore di Maria, perché era piena di grazia, né mai l'amor suo trovava ostacoli al suo prorompere. Inoltre ella tutto doveva a Gesù; la sua concezione immacolata e i privilegi che fanno di essa una creatura singolare le erano stati concessi in previsione della morte del Figlio suo. Quale inenarrabile angoscia non fu la sua quando ricevé tra le sue braccia il corpo sanguinante di Gesù! Prostriamoci ai suoi piedi per domandarle perdono dei peccati che furono causa di tanti dolori: O Madre, sorgente di amore, fatemi conoscere la forza del vostro dolore, perché possa partecipare alla vostra angoscia; fate che il mio cuore sia infiammato di amore per Cristo, mio Dio, perché più non pensi che a piacere a lui (Stabat Mater).
XIV. GESÙ È DEPOSTO NELLA TOMBA.
«Giuseppe d'Arimatea, dopo avere calato dalla croce il corpo di Gesù, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in un sepolcro scavato nella roccia dove nessuno era stato mai seppellito» (Luc. XXIII, 53).
S. Paolo diceva che Cristo doveva essere a noi «simile in tutte le cose» (Hebr. II, 17). Anche nella sua sepoltura Gesù è come noi. «Lo seppellirono, dice S. Giovanni, al modo dei Giudei, con pannolini ed aromi» (Joan. XIX, 40). Se non che il corpo di Gesù unito al Verbo «non doveva soggiacere alla corruzione». Egli resterà solo tre giorni nella tomba; poi, per virtù propria, Gesù uscirà vittorioso della morte, sfolgorante di vita e di gloria, e «la morte non avrà più potere sopra di lui» (Rom. VI, 9).
L'Apostolo ci dice ancora che «per il nostro battesimo siamo stati seppelliti con Cristo per morire al peccato» (Ibid. 4).
Le acque del battesimo sono come un sepolcro dove dobbiamo lasciare il peccato e donde usciamo animati di novella vita, la vita della grazia. La virtù sacramentale del nostro battesimo permane sempre. Associandoci con fede ed amore a Cristo deposto nella tomba, noi rinnoviamo quella grazia «di morire al peccato per non più vivere che per Iddio» (Cf. Rom. VI, 11).
Signore Gesù, possa io seppellire nella vostra tomba tutti i miei peccati, tutti i miei errori, tutte le mie infedeltà: per virtù della vostra morte e della vostra sepoltura concedetemi di rinunziare sempre più a tutto quanto mi allontana da voi, a Satana, alle massime del mondo, ai miei amor propri; per virtù della vostra resurrezione, fate, che al pari di voi più non viva che per la gloria del Padre vostro!