I preti vanno sempre più diminuendo, è un luogo comune; anche l'uomo della strada più indifferente alle questioni religiose ne è informato dal suo giornale a intervalli regolari. Ma la situazione è ancora più grave di quel che sembra. Bisognerebbe aggiungere: quanti preti hanno ancora la fede? E forse fare una terza domanda: certi preti ordinati in questi ultimi anni, lo sono veramente? Per dirla in altri termini, le ordinazioni, o quantomeno una loro parte, sono valide? Il dubbio è identico a quello che pesa sugli altri Sacramenti. […]
Ho qui il fascicolo di una ordinazione sacerdotale svoltasi qualche anno fa a Tolosa. Un “animatore” inizia la celebrazione presentando il candidato all'ordinazione, chiamandolo col solo nome C. e dicendo: “Ha deciso di vivere più a fondo (il dono totale fatto a Dio e agli uomini) consacrandosi interamente al servizio della Chiesa nella classe operaia...”. C. ha effettuato il suo “cammino”, cioè il suo seminario, in gruppo ed è questo gruppo che ora lo propone al vescovo: “Noi vi chiediamo di riconoscere, di autenticare il suo passo e di ordinarlo prete”. Il vescovo gli pone allora parecchie domande che han l'aria di sostituirsi alla definizione del sacerdozio: “Vuoi essere ordinato prete per essere, con i credenti, Segno e Testimonio di ciò che cercano gli uomini nei loro sforzi di Giustizia, di Fraternità e di Pace... per servire il popolo di Dio... per riconoscere nella vita degli uomini l'azione di Dio nella molteplicità di itinerari, di culture e di scelte... per celebrare l'azione del Cristo e assicurare il suo servizio? [...]”.
La materia del Sacramento è salva: è l'imposizione delle mani che ha luogo in seguito. E altresì la forma: sono le parole dell'ordinazione. Ma dobbiamo rilevare che l'intenzione non è molto chiara. Il prete viene forse ordinato ad uso esclusivo di una classe sociale e innanzitutto per instaurare la giustizia, la fraternità, la pace su un piano che oltretutto sembra limitato all'ordine naturale?
La celebrazione eucaristica che segue, in sostanza la prima Messa del nuovo prete, viene intesa in questo senso. L'Offertorio è composto per la circostanza: “Noi ti accogliamo, Signore, ricevendo da Te questo pane e questo vino che ci offri, vogliamo rappresentare con essi il nostro lavoro, i nostri sforzi per costruire un mondo più giusto e più umano che ci battiamo per realizzare affinché siano garantite migliori condizioni di vita...”. La preghiera sulle offerte è ancora più equivoca: “Guarda, Signore, ti offriamo questo pane e vino perché divengano per noi una forma della tua presenza”.
No, chiunque celebra in questa maniera non ha fede nella Presenza reale! Una cosa è certa: la prima vittima di questa ordinazione scandalosa è il giovane che si impegna per sempre senza sapere esattamente e per che cosa, o credendo di saperlo. L'ambiguità della sua missione gli diverrà palese: è ciò che si chiama “la crisi d'identità del sacerdote”. Il prete è esattamente uomo di fede; se non sa più quello che veramente è, perde la fede in se stesso e in ciò che costituisce il suo sacerdozio. La definizione del sacerdozio, data da S. Paolo e dal Concilio di Trento, ne esce radicalmente modificata. Il prete non è più colui che sale all'altare e offre a Dio un sacrificio di lode e per la remissione dei peccati. L'ordine della finalità è stato invertito: il sacerdozio ha un fine primario che è quello di offrire il sacrificio, e un fine secondario che è l'evangelizzazione.
Il caso di C. che non è certo l'unico giacché ne abbiamo molti, mostra sino a qual punto l'evangelizzazione prenda il sopravvento sul sacrificio e sui sacramenti. Tale grave errore ha conseguenze tragiche: l'evangelizzazione, divelta dal suo scopo, risulterà disorientata, cercherà dei motivi che piacciono al mondo, quali la falsa giustizia sociale, la falsa libertà che si bardano di nomi nuovi: sviluppo, progresso, costruzione del mondo, miglioramento delle condizioni di vita, pacifismo. Siamo ormai risucchiati nel linguaggio che conduce a tutte le rivoluzioni. Siccome il sacrificio dell'altare non è più la ragione principale del sacerdozio, ci vanno di mezzo tutti i sacramenti per i quali i responsabili del settore parrocchiale faranno appello ai laici, in quanto essi stessi sono troppo occupati in incarichi sindacali o politici, anzi spesso più politici che sindacali. […]
Un giorno spiegavo a un cardinale cosa facevo nei miei seminari, dove la spiritualità è orientata soprattutto verso l'approfondimento della teologia del Sacrificio della Messa e la preghiera liturgica. “Ma monsignore – rispose –, è esattamente il contrario di ciò che da noi desiderano oggi i giovani preti. Oggi il prete si definisce solo in funzione dell'evangelizzazione”. Ed io aggiunsi: “Quale evangelizzazione? Se essa non ha un rapporto fondamentale ed essenziale con il Santo Sacrificio, come volete figurarvela? Evangelizzazione politica, sociale, umanitaria?”. L'apostolo diviene un militante sindacalista e marxista quando non annuncia più Gesù Cristo. È normale. Lo si comprende benissimo. Egli ha bisogno di una nuova mistica e la trova in questo campo, ma perdendo quella dell'altare. […]
Non ci sono più vocazioni perché non si sa più che cos'è il Sacrificio della Messa. Di conseguenza non si riesce più a definire il prete. […] Quale straordinaria grazia per un giovane poter salire l'altare come ministro di Nostro Signore, essere un altro Cristo? Niente è più bello e più grande quaggiù sulla Terra. Vale proprio la pena abbandonare la propria famiglia, rinunciare a crearne una. Rinunciare al mondo, accettare la povertà. Ma se non c'è più questa attrattiva, allora, lo dico francamente, non ne vale più la pena, ed è per questo che i seminari sono vuoti. […]
Cos'è che fa la grandezza e la bellezza di un religioso o di una religiosa? È l'offrirsi come vittima all'altare con Nostro Signore Gesù Cristo. Altrimenti, la vita religiosa non ha più senso. La gioventù della nostra epoca è altrettanto generosa di quella delle epoche precedenti. Aspira a sacrificarsi. È la nostra epoca che è in crisi. Tutto è collegato; l'attacco alla base dell'edificio porta alla sua distruzione totale. Niente Messa, niente preti. […]
Una grande confusione si è diffusa a proposito del sacerdozio dei fedeli e del sacerdozio dei preti. Ora la grandezza del sacerdozio ministeriale (quello dei preti), nella sua partecipazione al sacerdozio di Cristo, differisce dal sacerdozio comune dei fedeli in modo non solamente graduale, ma essenziale. Pretendere il contrario riporta, anche su questo punto, ad allinearsi al protestantesimo. Dottrina costante della Chiesa è che il prete è rivestito di un carattere sacro indelebile: Tu es sacerdos in æternum. Ha un bel fare quel che vuole: davanti agli angeli, davanti a Dio, nell'eternità resterà prete. Getti pure la tonaca alle ortiche, porti un pullover rosso o di qualsiasi altro colore, commetta i maggiori crimini, non cambierà nulla. Il sacramento dell'Ordine l'ha modificato nella sua natura. Siamo ben lontani dal prete “scelto dall'assemblea per assumere una funzione nella Chiesa”, e ancor più dal sacerdozio a tempo limitato proposto da alcuni, al termine del quale il preposto al culto riprende il suo posto tra i fedeli. Questa visione desacralizzante del ministero sacerdotale conduce naturalmente a interrogarci sul celibato dei preti. Gruppi chiassosi di pressione reclamano la sua abolizione, nonostante i ripetuti richiami del magistero romano. […].
La questione non si porrebbe neppure, se il clero avesse conservato il senso della messa e del sacerdozio. No, perché la sua ragione profonda si presenta da sola quando si comprendono bene queste due realtà. È lo stesso motivo per cui la Santissima Vergine Maria è rimasta vergine: siccome aveva portato Nostro Signore nel suo seno, era giusto e conveniente che fosse tale. Così anche il prete, il quale mediante le parole che pronuncia alla Consacrazione, fa discendere Dio sulla terra. È talmente vicino a Dio, essere spirituale, spirito per antonomasia, da far risultare buono, giusto ed eminentemente conveniente che anche lui sia vergine e rimanga celibe.
Esistono in Oriente, qualcuno obietterà, preti sposati. Non facciamo confusione: sono solamente tollerati. I vescovi orientali non possono essere spostai e neppure coloro che esercitano funzioni di qualche importanza. Questo clero venera il celibato sacerdotale che fa parte della più antica Tradizione della Chiesa e che gli Apostoli hanno cominciato ad osservare dalla Pentecoste in poi; quelli che, come Pietro, erano sposati, pur continuando a vivere con le loro spose, non le “conobbero” più.
È caratteristico che i preti soccombenti al miraggio di una pretesa missione sociale o politica contraggano quasi automaticamente matrimonio. Le due cose vanno di pari passo. Ci vorrebbero far credere che i tempi presenti giustifichino qualsiasi tipo di abbandono, che sia impossibile nelle condizioni attuali di vita essere casti, che il voto di verginità per i religiosi e le religiose è un anacronismo. L'esperienza di questi anni dimostra che gli attentati portati al sacerdozio, sotto pretesto di adattarlo all'epoca attuale, sono mortali per il sacerdozio. Ora non possiamo neppure immaginare una “Chiesa senza sacerdoti”; la Chiesa è essenzialmente sacerdotale. Triste epoca, quella che vuole l'unione libera per i laici e il matrimonio per il clero! Se scorgete in questa illogicità apparente una logica implacabile che ha per oggetto la rovina della società cristiana, avrete, però, una chiara visione della situazione e potrete farvene un giudizio esatto.
Mons.Marcel Lefebvre - Lettera ai cattolici perplessi, cap. VII