Gli scandali di Giovanni XXIII e Paolo VI

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Parlare delle malefatte dei papi conciliari che hanno preceduto Bergoglio a dei fedeli sempre più indottrinati dalla neopastorale del Concilio Vaticano II è del tutto simile ad una sorta di impresa suicida: sappiamo bene che di questi tempi è pressoché impossibile impedire che l'anestetico conciliare faccia il suo corso nell'animo di tanti fedeli che, ingenui o meno ingenui che siano, si sono resi oramai refrattari a porsi domande e a ricercare la Verità.

Per giunta vi sono poi gli utili idioti, coloro cioè che vestono i panni di difensori della Tradizione e al tempo stesso del Concilio Vaticano II indetto per demolirla: questi tali non perdono mai tempo per affermare – persino senza imbarazzo - quanto si smarchino i pontefici conciliari da papa Bergoglio (sebbene ogni suo atto prenda ispirazione, per sua stessa ammissione, da quello stesso Concilio). Vai a spiegare a questi capoccioni che quei pontefici sono stati, a conti fatti, ben peggiori del papa argentino avendo dato avvio e propiziato tutti gli atti sconvolgenti portati poi al loro culmine dall'attuale pontefice... Non sentiranno ragione. Non perché non possono capire. Perché non vogliono.

La ragione di un intelletto tanto accecato francamente non è questione che ci interessa: ognuno risponderà dinanzi a Dio delle proprie scelte e del proprio operato. Ciò che invece sbalordisce è l'operosità nel voler piegare la verità ad una visione distorta della realtà, inducendo in errore tanti ingenui fedeli.

Vien da pensare che per questi soloni vi è una chiesa ante e una post Papa Francesco sicché Bergoglio, i cui molti atti sono oggettivamente indifendibili per la loro gravità e grossolanità nell'essere imposti, è manna caduta dal cielo. Nel senso che finalmente hanno trovato un capro espiatorio ai loro disagi e agli scandali avvenuti nella Chiesa che non hanno mai voluto né vedere né tanto meno denunciare, anche se tali scandali, posti in essere dai loro intoccabili pontefici, hanno soffocato ciò che è indispensabile per la salvezza dell'anima: la Fede.

Per loro, nonostante tutto, meglio una chiesa popolata anche da un clero ambiguo, fumoso, per non dire deviato... Padre Pio invece diceva: “La Chiesa? Meglio vuota che piena di diavoli”. Punti di vista, si dirà... ma qualcosa ci dice che ne sapeva più il padre cappuccino dei vari Socci, Introvigne e dei tanti "professori" o "intellettuali" che dir si voglia sempre attivi nel portare acqua a chi continua ad avvelenarla.

Se consideriamo ad esempio le prese di posizione di alcuni cardinali e vescovi considerati difensori dell'ortodossia cattolica, come Burke, Negri, Crepaldi, Sarah, Schneider... sentiremo tessere le lodi dei papi conciliari, a partire da Giovanni XXIII e da Paolo VI: due pontefici i cui nomi restano indissolubilmente legati l'uno all'altro poiché entrambi fautori del devastante Concilio Vaticano II, fortemente voluto e iniziato dal primo e sollecitamente portato a termine dal secondo.

Occorre dunque lo sforzo di porsi domande scomode e improrogabili ancorché dolorose visto lo stato d'essere in cui versa la Chiesa di Nostro Signore: come è possibile indicare a modello chi ha dato avvio all'annientamento del cattolicesimo?

L'apostasia di un clero sempre più arrogante merita di essere quantomeno smascherata, non certo attraverso personali punti di vista, ma per merito degli stessi Papi preconciliari che già al loro tempo avevano messo in guardia dal pericolo che costituiva una seria minaccia per la Chiesa e che da lì a poco si sarebbe materializzato: il Concilio Vaticano II, ossia il tentativo di distruggere il Magistero perenne tramite la realizzazione di una nuova chiesa.

Di questa sciagura, Giovanni XXIII e Paolo VI ne sono senza dubbio i responsabili. Due papi così caratterialmente diversi eppure accomunati dal medesimo obiettivo: cambiare la Chiesa.

Il primo dall'aspetto bonario e simpatico, dal carattere estroverso e astuto nella diplomazia; il secondo dall'aspetto mesto e all'apparenza triste, dal carattere schivo e quasi schiacciato dalla propria introversione. Entrambi così distanti e al tempo stesso così uniti.

Si sa infatti della profonda amicizia tra i due tanto che in una lettera che il pontefice bergamasco scrisse all'allora card. Montini il 4 aprile 1961 ritroviamo la sbalorditiva confessione: “Dovrei scrivere a tutti i vescovi, arcivescovi e cardinali del mondo... ma, per intendere tutti, mi accontento di scrivere all'arcivescovo di Milano, perché con lui io li porto tutti nel cuore, così come per me egli tutti rappresenta”. [Hebblethwaite, Giovanni XXIII. Il Papa del Concilio, p.485]

Tanta amicizia giustificata dalla comune complicità di portare la Chiesa nel campo minato del falso ecumenismo, condannato, oltre che da Papa Pio XI nell'enciclica "Moortalium animos", anche da Papa Pio XII che ammoniva: “Essi (I Vescovi, ndr) veglieranno egualmente che, sotto il falso pretesto secondo cui bisogna considerare di più ciò che unisce che ciò che ci separa, non si alimenti un pericoloso indifferentismo” [Acta apostolicae Sedis 42-0950-142-147].

Parole del tutto disattese se si considera il discorso di Roncalli quando si insediò come patriarca di Venezia nella Basilica di San Marco il 15 marzo 1953: “Sono sempre preoccupato più di ciò che unisce che di quello che separa e suscita contrasti”. Concetto ribadito dall'amico Montini che, divenuto Paolo VI, confermò nella sua enciclica “Ecclesiam suam”: “Volentieri facciamo nostro il principio: mettiamo in evidenza anzitutto ciò che ci è comune, prima di notare ciò che ci divide”.

Del resto la loro idea era che chiunque appartenesse ad altre religioni fosse gradito a Dio come un cristiano poiché accettavano in toto il cosiddetto “cristianesimo anonimo” del gesuita Karl Rahner (vero totem della chiesa vaticanosecondista), il quale sosteneva che “anche chi non crede in Cristo sarebbe ugualmente cristiano”!

A ben veder, un principio che è esatto opposto con quanto predicato dall'apostolo S.Giovanni: “Se qualcuno viene a voi e non reca questa dottrina [quella di Nostro Signore Gesù Cristo, ndr], non lo ricevete in casa e non lo salutate. Chi infatti lo saluta, partecipa alle opere malvagie di lui” [2Giov.10] .

Ma che ci fosse in questi due pontefici un corto circuito col Magistero della Chiesa è confermato anche da quanto contenuto nell'enciclica di Pio XI “Quas Primas” (6 dicembre 1925) dove sulla regalità sociale di Cristo si legge: “La peste che infetta la società […], la peste del nostro tempo è il laicismo, i suoi errori ed i suoi empi tentativi”.

Anche in questo caso insegnamento caduto nel vuoto: ai tempi in cui Roncalli fu delegato apostolico in Turchia, al sottosegretario agli esteri turco che rivendicava la laicità dello stato, il futuro papa bergamasco rispose che “La Chiesa si guarderà bene dall'intaccare o discutere questa laicità”. Così come fece il suo successore, Paolo VI.

Giovanni XXIII e Paolo VI, sempre uniti e sempre decisi a realizzare una nuova chiesa aggiornata, oggi detta conciliare. Una chiesa in cui il modernismo esplose violento tanto che ancora oggi troneggia in ogni luogo e in quasi tutte le parrocchie raggiunte dalla neo religione conciliare dove a farne le spese sono i fedeli con il continuo lavaggio del cervello che viene loro riservato dal clero conciliare. 

E ciò a causa anche dell'azione politica di sinistra che il papa bergamasco, in piena sintonia con quella dell'allora mons.Montini, tesseva in lungo e in largo per realizzare una serie di compromessi con il mondo secolarizzato da sempre condannati dal Magistero perenne della Chiesa. Così non stupisce che tutto quanto la Chiesa eresse per contrastare il Male, fu pian piano smantellato dai due papi del Concilio Vaticano II.

Giovanni XXIII, acclamato come il “papa buono”, ha in realtà aperto la porta della Chiesa alla sintesi di tutte le eresie - come ebbe a definire nell'enciclica "Pascendi Dominici gregis" il Santo Papa Pio X -: il modernismo. Questo è stato il primo fendente scagliato contro Nostro Signore facendo crollare una delle due colonne su cui si regge la Chiesa: la Dottrina.

Per il crollo dell'altra colonna, la Liturgia, ci pensò Paolo VI.

Dapprima Montini soppresse, con l’istruzione “Inter oecumenici” n. 48§1, la preghiera che il celebrante ed i fedeli, in ginocchio, alla fine di ogni Messa, recitavano alla Madonna e al Principe degli Angeli San Michele (un vero e proprio esorcismo scritto dal papa Leone XIII in seguito ad una visione della chiesa futura attaccata dal demonio!).

Tale decisione, giova sottolineare, non fu affatto condivisa da padre Pio - che come noto non ebbe buoni rapporti nemmeno con papa Roncalli - che fino alla sua morte nel 1968 continuò invece a recitarla.

Successivamente, la Messa, così come la Chiesa l'ha sempre celebrata, venne sostituita con una nuova celebrazione: Il 3 aprile 1969 papa Paolo VI, con la costituzione apostolica Missale Romanum, apportò cambiamenti radicali al modo di celebrare la messa: il Novus ordo Missae, ossia, visti gli scempi liturgici a cui è stata data cittadinanza, ciò che è quanto di più lontano esista dalla Vera Messa istituita da Cristo.

Da qui le resistenze di alcuni valorosi e santi sacerdoti - tra cui Mons.Lefebvre - per i quali il solo motivo che può autorizzare un cattolico a resistere all’autorità nella Chiesa è la Fede.
In particolare, per quel che riguarda la liturgia, solo la fede può motivare il rifiuto del nuovo rito della messa ed il motivo fondamentale per cui ogni sacerdote e fedele non può accettare il Novus ordo è proprio perché «rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica» come ebbero a sottolineare i Cardinali Bacci e Ottaviani.[Breve esame critico del Novus Ordo Missae consegnato nel 1969 a Paolo VI].

Tale allontanamento dalla teologia cattolica è conseguenze di un avvicinamento, voluto e consentito, alla dottrina ed alla liturgia protestante come ha dichiarato lo stesso Paolo VI che ha introdotto il nuovo rito: «Allo sforzo richiesto ai fratelli separati perché si riuniscano, deve corrispondere lo sforzo, altrettanto mortificante per noi, di purificare la Chiesa romana nei suoi riti, perché diventi desiderabile e abitabile»[J. Guitton, Paolo VI segreto, San Paolo, p.59].

Di fatto, come è risaputo, Paolo VI domandò a sei pastori protestanti di prendere parte alla commissione incaricata di realizzare la nuova Messa. Uno di essi, Max Thurian, della comunità di Taizé, in occasione della pubblicazione del nuovo messale, dichiarò: «In questa Messa rinnovata, non c’è niente che possa veramente disturbare i protestanti evangelici»[M. Thurian, in La Croix, 30 maggio 1969].

Il risultato è che nel corso degli anni la chiesa cattolica si è via via protestantizzata. Ciò anche perché il Sant'Uffizio, nato per contrastare l'eresia luterana (nel 1542), contro il quale è comprovato Giovanni XXIII provasse repulsione (!), durò fino a Montini (1964) che lo smantellò.

Mons.Lefebvre, difensore della Tradizione della Chiesa, ci ha lasciato queste parole: “Che noi si debba combattere contro le idee attualmente in voga a Roma, quelle che esprime il Papa, (…) è cosa scontata. Noi li combattiamo perché essi non fanno che ripetere il contrario di quello che i papi hanno detto e affermato solennemente per un secolo e mezzo. Allora, bisogna scegliere. E’ quello che ho detto a Papa Paolo VI. Si è costretti a scegliere tra voi, il Concilio, e i vostri predecessori. A chi bisogna rivolgersi? Ai predecessori che hanno affermato la dottrina della Chiesa oppure bisogna seguire le novità del concilio Vaticano II che voi avete confermato?”. 

È la domanda che interpella la coscienza di ciascun fedele che vuole rimanere cattolico; è la domanda che ci ha posto Nostro Signore: “Quando il Figlio dell'Uomo ritornerà sulla terra, troverà ancora la Fede?” [Lc18, 8].

 


Stefano Arnoldi


Documento stampato il 23/11/2024