Clero conciliare: di Cristo o del demonio?

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Nell'introduzione di un piccolo saggio del card. Giacomo Biffi, Il quinto evangelo (editrice ESD, p. 7), vi si legge il racconto (siamo nel 1970, a 5 anni del Concilio vaticano II) del compianto cardinale emerito di Bologna alle prese con la contestazione di alcuni giovani fedeli parrocchiani secondo i quali la Chiesa in molte cose doveva cambiare: “Capitava anche che, di fronte a certi enunciati avventurosi – scrive il card.Biffi - fossi costretto ad osservare: “Ma guarda che nei discorsi di Gesù c'è proprio il contrario di quello che tu dici”. E qualche volta aggiungevo: “Forse non abbiamo tra le mani lo stesso vangelo...”.

Quest'ultima affermazione del cardinale ha indubbiamente il merito di sintetizzare alla perfezione il problema che sta attanagliando da più di 50anni la Chiesa di Nostro Signore: dal Vaticano II in avanti è ormai del tutto evidente che un nuovo vangelo abbia soppiantato i 4 canonici così come una nuova pastorale abbia soppiantato la Tradizione, e una nuova dottrina si sia sostituita a ciò che prima di quel Concilio è stato sempre insegnato. 

Se facciamo un ulteriore passo avanti, ossia sostituiamo i giovani interlocutori del cardinale con i sacerdoti che hanno aderito incondizionatamente alle voglie pruriginose di novità propagate dal Concilio vaticano II, otterremo la spiegazione anche degli scandali che a ritmo serrato si susseguono uno dopo l'altro nella neo chiesa del cambiamento: una volta la Chiesa era sorretta da fior di Santi sacerdoti, oggi da un clero che si distingue per scandali religiosi, sessuali, finanziari e sbarellamenti vari... proprio un bel cambiamento!

Nonostante ciò il sensus fidei del fedele è sempre più spesso sfidato dalla fastidiosa e sfacciata provocazione che si ode in bocca al clero conciliare: “Noi siamo cattolici!”.

In altre parole si ha la pretesa di ritenersi cattolici professando una religione che di punto in bianco, dal 1962, dice e fa esattamente l'opposto di quanto è sempre stato detto e fatto prima.

Ora, non è necessario essere degli scienziati per capire che se A è diverso da B, B non può essere uguale ad A, ancorché ne abbia la pretesa.

Affermare l'improponibile significa essere esperti di malafede confermando la malattia di questi tempi tragici: la falsità si sa spingere così tanto avanti dal riuscire persino ad appropriarsi del linguaggio delle parole svuotandole del loro significato per riempirle di ciò che si vuole.

Questa non solo è una caratteristica della società odierna ma anche e soprattutto della neo chiesa nata dal Vaticano II i cui membri, impantanati volontariamente nelle questioni mondane, vestono alla perfezione i panni dei peggiori sofisti dell'era platonica: persone sfuggenti come i loro discorsi ambigui, falsi e ingannevoli. 

Non ci si può dunque esimere da una domanda: quando udiamo, quando incontriamo un sacerdote conciliare, chi in verità compare dinanzi a noi? Un vero sacerdote di Cristo o chi altro?

Sacerdoti, vescovi e cardinali conciliaristi professeranno anche che Gesù Cristo è Figlio di Dio ma al tempo stesso si odono ripetute stonature che si insinuano dappertutto nei loro discorsi e nei loro atti.

Quelle stonature non sono ascrivibili a difficoltà di linguaggio, ma a qualcos'altro di ben più allarmante: si tende a confondere la Verità, a fraintenderla, addirittura a volte a corromperla e a capovolgerla per modificarla.

Sicché se i fedeli riporranno nel cassetto il loro senso critico senza rispedire al mittente certe scandalose azioni o inaccettabili parole, finiranno per accettare tutto, per digerire tutto, senza nulla fiatare, confermando in pieno il famoso aforisma di Paul Bourget: “Bisogna vivere come si pensa altrimenti si finisce per pensare come si vive”.

Il rischio di perdere ciò che contraddistingue un vero cattolico, la Fede, è assai concreto. Perché dando credito a pastori smarriti, appare logica conseguenza che anche il gregge farà la stessa fine.

A meno che quel gregge sappia riconoscere i falsi pastori, evitando di cadere in un vuoto senza fondo. Occorre dunque prendere atto di cosa covino nell'animo i sacerdoti del cambiamento, i sacerdoti conciliari.

Nel libro di Fabrice Hadjadj, La fede dei demoni (editrice Marietti 1820, p. 60) si affronta precisamente questa questione: “Un conto è credere qualcosa, e un altro è credere in qualcosa: “I demoni possono credere che Dio è, credere che ciò che Egli dice è vero. Ma soltanto coloro che amano Dio – vale a dire che non sono cristiani soltanto di nome, ma anche con la loro vita e con le loro opere – riescono a credere in Dio. (Jacques Paul Migne, Patrologia latina, XCIII, 22)”.

Sant'Agostino sottolinea nelle sue omelie che soltanto questa è la differenza tra identiche affermazioni: “Rispose Pietro: “Tu sei il Cristo, il figlio di Dio vivo”. Anche i demoni dicono: “Sappiamo chi sei: il Figlio di Dio, il Santo di Dio”. Quello che dice Pietro lo dicono anche i demoni; ma se le parole sono le stesse, lo spirito è diverso. Da che cosa abbiamo la prova che Pietro qui parlava con sentimento d'amore? Da questo: che la fede di un cristiano è sostenuta dall'amore; quella di un demonio è priva di amore. Perché senza amore? Perché Pietro pronunciava quelle parole con lo scopo di aderire a Cristo, mentre i demoni le pronunciavano con lo scopo di allontanare Cristo da loro. Prima di dire: “Sappiamo chi sei: il Figlio di Dio, il Santo di Dio”, essi avevano detto: “Che c'è di comune fra te e noi? Perché sei venuto prima del tempo a perderci?” (Mt 8,29; Mc 1,24).

Dunque cosa si cela in un cuore demoniaco? É ancora Sant'Agostino che chiarisce: “il Diavolo è immensamente superbo e invidioso. Alcuni affermano che il demonio sia precipitato dalle sfere celesti perché ha invidiato l'uomo, fatto a immagine di Dio. Ma l'invidia necessariamente segue la superbia, non la precede: l'invidia, in effetti, non è motivo per inorgoglirsi, ma la superbia è motivo per invidiare”. (Sant'Agostino, La città di Dio, ed. paoline, libro XIV, III, pag.756).

Nel libro del Siracide si legge che “Principio di ogni peccato è la superbia” (Sir 10,13) e nel libro della Sapienza sta scritto che “la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo” (Sap 2,24).

Superbia ed invidia generalmente non sono apertamente manifeste, bensì ben nascoste, piene di sottigliezze e ricercatezze. Da qui la difficoltà nell'individuarle e scoprirle. Ma che siano prerogative di coloro avvezzi alla ribellione e quindi alla corruzione del cuore e dell'anima, è indubbio.

Infatti, l'invidia di cui si parla presuppone, prima di tutto, un rifiuto a rispettare il disegno generale di Dio. Quando gli operai della prima ora si irritano perché quelli dell'ultima ricevono il medesimo salario, rifiutano prima di ogni altra cosa la volontà del maestro. Questo rifiuto è dovuto alla superbia: voglio decidere io stesso che cosa debba essere bene.

Voglio decidere io stesso che tipo di chiesa debba esistere. Ecco ciò che cova nel cuore il clero conciliare. Superbia e invidia. Non è forse questo un tradimento? Un tradimento nei confronti delle volontà impartite agli Apostoli da Nostro Signore Gesù Cristo? Un tradimento come quello dell'apostolo Giuda?

Nel Vangelo di Giovanni sta scritto di Giuda che “Satana entrò in lui”(Gv 13,27).

É un'espressione forte che sta a significare come il demonio, quando entra in una persona, prende possesso di tutto di lei.

E coloro che tradiscono non possono che essere un altro Giuda subendo ciò che ha subito Giuda: il demonio è entrato in loro come entrò in lui.

È dunque bene cautelarsi, per non dimenticare chi abbiamo davanti quando incontriamo il clero conciliare. 

 


Stefano Arnoldi


Documento stampato il 23/11/2024