Uno schiavo per i suoi delitti fu condannato alla morte da un Re. Posto in carcere, tra catene, egli aspettava tremante il momento di essere condotto al patibolo. Ma il Re aveva un Figlio unico che era tutta la sua delizia. Questo giovane principe, per una bontà tutta speciale, da più tempo aveva concepito un grande affetto, misto ad una grande compassione, per quel misero schiavo. Avendo appreso lo stato infelice in cui si trovava, già prossimo ad essere giustiziato, fu preso da tanto dolore, da tanto tenero pietoso amore, che, presentatosi al Padre suo e gettandosi ai suoi piedi, con lacrime e sospiri, lo supplicò di perdonare al misero schiavo e revocare la terribile sentenza.
Il Padre che amava immensamente il suo unico Figlio, fu preso anch'egli da un fiero ed inaudito dolore nel più intimo del suo cuore e volto al Figlio gli disse:
O Figliuol mio e delizia del mio cuore, grande è la pena per essere io stato costretto a condannare alla morte quel colpevole schiavo; ma tu ben conosci le inevitabili esigenze della mia tremenda giustizia. Tu sai che io non posso senza mio disonore dispensarmi dal richiedere una soddisfazione degna della mia Maestà oltraggiata e la soddisfazione non può venirmi che dalla morte del colpevole; bisogna che la mia Giustizia sia soddisfatta.
O Padre mio amatissimo – replicò il giovane Principe – è tempo ormai che io vi manifesti che il mio amore per questo schiavo è tale e tanto, che io non posso resistere al pensiero della sua condanna; quindi, o Padre mio, giacché la vostra Giustizia non può revocare la tremenda sentenza, io vi domando un'altra grazia, ma voi, Padre mio promettetemi che me l'accorderete.
Figliuol mio – soggiunse il Re – io ti do la mia parola che, purché non mi chiedi ciò che può ledere la mia Giustizia, qualunque altra grazia te la concederò.
Impegnato così il Padre la sua parola, il Figlio, stemprandosi in lacrime di amore gli disse:
Padre mio, Padre mio e Signor mio, accettate un'altra vittima e lasciate libero lo schiavo.
Un'altra vittima? – esclamò il Padre – O figliol mio diletto, per potere accettare io un'altra vittima invece del colpevole questa dovrebbe essere non un altro schiavo, non un essere qualunque, ma una vittima degna della mia Maestà offesa, un par mio! E dove trovare questa vittima?
Eccomi, eccomi, Padre, questa vittima son io – rispose il Figliuolo – mandate me, mandate me alla morte. Muoia io e viva lo schiavo! Questa è la grazia che vi siete impegnato di concedermi!
O momento tremendo! Il Re non può più ritrattare la sua parola, la sua Giustizia non può risparmiarsi dall'avere una soddisfazione, Egli è costretto ad accettare il cambio, e lo accetta. Ma il generoso Figlio non è ancor pago; e domanda al Padre suo un'altra grazia ancora.
Padre mio – gli disse – in questo momento non potete nulla negarmi; io vi supplico che lo schiavo colpevole non solo lo perdoniate di cuore, ma pure lo prendiate come figlio in vece mia, e lo facciate partecipe di tutti i beni del vostro Regno, ed erede dello stesso.
Il Re e Padre è già vinto! Trafitto dal dolore e profondamente commosso, Egli accorda tutto al Figlio; il quale subito, licenziatosi dal suo Re e Padre, si avvia alla prigione dello schiavo, fa aprire quelle ferree porte, toglie di sua mano le catene al colpevole, lo bacia teneramente, lo stringe con forte amplesso al suo nobile cuore, e piangendo gli dice:
O schiavo, vedi ora quanto io ti ho amato! Tu sei libero, tu sei il nuovo figlio ed erede del Re mio Padre, il quale ti accoglierà al suo seno come la mia stessa Persona; ma io vado a morire in vece tua per soddisfare alla Giustizia del Re mio Padre. Addio, fratello mio, diletto figlio del mio dolore e della mia morte, vedi quanto io ti amo! Tu peccasti, ed io pago per te! Prima di morire io soffrirò, secondo la legge del Regno, mille torture che tu dovevi soffrire, e poi sarò sospeso ad un patibolo! Ora io una cosa sola ti domando, che tu non dimentichi quanto ti amai e quanto per te vado a patire! Non essermi ingrato e sconoscente, promettimi che ti ricorderai sempre delle torture e dei tormenti che vado ad incontrare per tuo amore, e della morte ignominiosa che vado per te subire: Me lo prometti?
A questo punto lo schiavo colpevole, gettandosi ai piedi di così amorevole Principe, in mezzo ad un profluvio di lacrime, gli rispose:
O generoso e inapprezzabile Principe! O nobilissimo cuore ricco d'ineffabile bontà e carità! E che mai avete trovato in me per amarmi fino a questo eccesso? Io ho peccato, io miserabile schiavo che nulla valgo sarò libero, sarò figlio del gran Re, partecipe del beni del suo Regno, suo erede, la mia infelicità sarà cambiata in una sorte così grande che io nemmeno potevo sognarla! E tutto ciò perché voi vi siete offerto a patire e morire per me! O generosissimo mio Amante! Ora voi, in questo momento che andate incontro ai tormenti e alla morte del patibolo per amor mio, mi domandate in grazia che io non vi dimentichi, che io non dimentichi i vostri dolori e la vostra morte, l'amore con cui per rendermi felice li abbracciate. Ah! Mio tenerissimo Amante, come potrò mai di ciò dimenticarmi! No! No! Che da questo momento la mia vita non sia che una vita di lacrime pensando a quanto patiste, e alla morte che incontraste per amor mio. Io ve lo prometto, io ve lo giuro, che verrò ogni giorno sulla strada per la quale ora andate a morire, mi prostrerò sulla vostra tomba, e quivi penserò al vostro amore, alle tenerezze del vostro nobile cuore per me, richiamerò al mio pensiero continuamente quelle torture che per rigoroso decreto reale spettavano a me, e voi le voleste soffrire per me, ripenserò quell'agonia mortale, quella morte lenta e ignominiosa che ora vi sarà data al cospetto di tutto il popolo, e voglio tanto piangere ed amarvi che vorrò morire di affanno e di dolore sulla vostra tomba!
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Mio caro bambino, comprendi il significato di tutta questa storia? Per quanto commovente sia, è ben lontana dal poter rappresentare l'eccesso di amore che il Figlio di Dio, Gesù Cristo, ebbe per l'uomo, per ognuno di noi, per ciascuna anima in particolare! Ognuno di noi è lo schiavo colpevole dinnanzi a Dio, che è il Re del Cielo e della Terra. Il Figlio Unigenito di Dio, delizia dell'eterno Genitore, preso da un amore infinito e incomprensibile per questo schiavo, si presentò al Padre e disse:
Padre mio, la Tua Divina Giustizia esige una vittima degna di Te per potersi liberare il misero schiavo; nessuno potrebbe darti tale degna soddisfazione, eccetto che Io. Ebbene muoia Io, e viva lo schiavo! Ecco che ci sono Io, manda Me sulla Terra, adattami un corpo passibile, nel quale Io possa provare i più atroci, i più strazianti ed inauditi tormenti, e la morte più dolorosa e ignominiosa per amore di quello schiavo! Perché egli sia libero e felice, Io mi farò oltraggiare, percuotere, maledire, diventerò l'obbrobrio, il vituperio di tutti, sarò simile ad un verme che tutti calpestano; ma di una cosa Ti supplico, o Padre mio, che lo schiavo, purché Ti sia fedele e grato, entri nelle tue grazie come la mia stessa Persona, che Tu lo ami come ami Me stesso, che Ti sia figlio adottivo, che tutti i nostri beni eterni glieli partecipi in vita e dopo morte, che per i meriti della mia morte di Croce egli sia arricchito di grazie, sia confortato in mezzo alle sue pene, gli siano leniti gli indispensabili dolori della vita, gli si ascriva a merito eterno la stessa necessaria penitenza del peccato, abbia nel termine della sua vita una morte tranquilla e preziosa, quindi venga a regnare con noi eternamente nel gaudio nostro stesso.
Così e meglio di così parlò il Verbo divino al Padre Suo; e il Padre, acceso di eguale amore per il misero schiavo colpevole – che sono io, che sei tu, che siamo tutti – gli concesse tutto ciò che gli domandò. Pensa, quindi, caro bambino, che Gesù Cristo andò a patire e morire per te, lasciandoti dette queste parole, come quel giovane Principe del racconto:
O anima, che Io vado a redimere spargendo tutto il mio Sangue, questa corrispondenza ti domando all'amor mio, che tu non dimentichi quanto avrò patito per amor tuo; ricordati spesso dello strazio del mio Corpo santissimo a cui mi sono assoggettato, ricordati che per strapparti alla morte eterna ho incontrato una tale lotta con l'umana ripugnanza al patire e al morire, che agonizzai e sudai sangue! Ricordati deh! Quanto mi costi!
Come per amor tuo ho presentato il mio adorabile Volto agli schiaffi, agli sputi, ai crudeli strappamenti della barba, ai pugni; guarda questa corona di spine che mi trafigge il capo con pene tali che creatura umana o angelica non comprenderà mai! Ecco che mi condannano alla morte, ecco che mi caricano di pesantissima croce... addio, figliol mio diletto, delizia del mio cuore, non più schiavo, ma erede del mio Regno, addio;altri tormenti più atroci mi aspettano, sarò stirato orribilmente e inchiodato ad un tronco di croce, starò tre ore in agonia così terribile, così destituito da ogni soccorso, da tutti abbandonato, perfino dal Padre mio, così miserabile e oppresso nell'anima, nel corpo, che quelle tre ore non saranno tre ore, ma tre secoli di spasimi. Tutto, tutto vado a soffrire per te, per amor tuo, ma non essermi tanto ingrato da dimenticarti del mio patire e del mio morire! Io salirò contento la strada dolorosa, porterò contento la Croce, abbraccerò contento le terribili agonie che mi spettano; mi sarà lieve l'ignominiosa e amarissima morte purché tu mi prometti che non dimenticherai il mio patire e il mio morire, e l'amore infinito con cui l'uno e l'altro per te sostenni!
Padre Annibale Di Francia (Le Ore della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, Gamba edizioni)