Domenica 26 febbraio Papa Francesco ha visitato una delle chiese anglicane di Roma, All Saints in via del Babuino, dove ha benedetto un’icona della Vergine; il 13 marzo, in prossimità della festa di san Gregorio Magno, il direttore del Centro Anglicano di Roma, l’“arcivescovo” David Moxon, presiederà il vespro secondo il rito anglicano (evensong) all’altare della Cattedra della Basilica di San Pietro in Vaticano, mentre il predicatore sarà l’arcivescovo cattolico inglese Arthur Roche, segretario della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti. La “liturgia” sarà animata dalla Coro del Merton College di Oxford. Fin qui le notizie.
La celebrazione dei vespri anglicani in San Pietro ha provocato numerose reazioni giustamente indignate: c’è anche chi ha sostenuto che secondo l’antico diritto la celebrazione di una cerimonia acattolica in una chiesa consacrata al culto cattolico comporta la profanazione della medesima e richiede una cerimonia di riconciliazione. Di certo il diritto divino (e solo per conseguenza anche quello canonico) proibisce di pregare con gli acattolici, specialmente in pubblico e a maggior ragione seguendo i loro riti. Questo comporta il sospetto di adesione ai loro errori, e una mancanza contro la pubblica professione della fede che è richiesta a ogni cristiano. In effetti ogni rito non cattolico esprime l’adesione almeno esterna a degli errori o ad un gruppo estraneo alla Chiesa cattolica, ed è pertanto ingiustificabile alla luce del Primo Comandamento. Di più, invitare positivamente gli acattolici a svolgere il loro culto in una chiesa consacrata è uno scandalo pubblico di grandi proporzioni.
Detto questo, occorre ricordare che l’evento in programma è solo un capitolo di una saga, quella ecumenica, che ha precedenti numerosissimi e altrettanto gravi (e magari anche più gravi) ad opera di tutti i Papi post-conciliari. Limitandoci ai rapporti ecumenici con l’anglicanesimo, se Giovanni XXIII aprì le danze ricevendo in udienza (il 2 dicembre 1960) il sedicente arcivescovo di Canterbury Fisher, fu Paolo VI ad iniziare relazioni di culto comune fin dal lontano 1966.
In tale occasione il Papa e il dott. Ramsey, allora sedicente arcivescovo di Canterbury, si incontrarono nella cappella Sistina e poi pubblicamente nella Basilica di San Paolo fuori le Mura (pure basilica patriarcale, come San Pietro: non certo una chiesa secondaria), dove ebbe luogo una sorta di preghiera comune (seppur non in forma strettamente liturgica), e dove Paolo VI consegnò a Ramsey (un laico per la dottrina cattolica) il suo anello episcopale e gli chiese di dare la sua benedizione.
A tale incontro fece seguito l’importante Malta report (2 gennaio 1968), una specie di documento congiunto, da allora guida per le relazioni tra cattolici e anglicani. In questo si mette in discussione la definizione più volte data dai Papi (l’ultima e definitiva sotto Leone XIII) sull’invalidità delle ordinazioni anglicane (lasciando intendere che una nuova teologia sacramentaria potrebbe considerarle valide), e si prospetta come possibile la celebrazione di liturgie (non eucaristiche) comuni, scambio di predicatori, sviluppo parallelo della riforma liturgica, all’epoca in corso d’opera (sarebbe interessante qui approfondire la riforma della liturgia anglicana avvenuta sulla falsariga del messale di Paolo VI: fino a quegli anni le chiese anglicane, per esempio, non conoscevano altari a mensa, che si introdussero ad imitazione del nuovo “rito romano”).
Da allora le celebrazioni liturgiche comuni, in particolare vespri (o simili) sono state eccezionalmente frequenti, e si sono svolte regolarmente (in Inghilterra o a Roma) alla presenza di tutti i Papi post-conciliari. Si tratta di vere e proprie concelebrazioni di atti di preghiera ufficiale e pubblica, per quanto non eucaristica (ma la distinzione qui è moralmente di scarsa importanza: si tratta sempre di comunione in sacris –cioè in riti sacri veri e propri, non il semplice recitare un Pater noster insieme in privato- con gli acattolici). I Papi postconciliari con l’episcopato cattolico vi sono apparsi attivi e in abiti sacri accanto al clero anglicano pure parato. Se dovessimo poi parlare di iniziative simili a livello locale, ovviamente sarebbe impossibile recensire tutti gli atti di simile natura.
Limitandoci ai Papi ricorderemo quindi alcuni (sottolineiamo alcuni) degli eventi di questo genere, tenutisi in templi anglicani o in chiese cattoliche:
il 29 maggio 1982 Giovanni Paolo II celebrava una solenne liturgia ecumenica con il sedicente arcivescovo Runcie, nella cattedrale di Canterbury; il prelato anglicano vi appare parato in mitra e pastorale, il Papa in abito corale e stola; entrambi predicano e benedicono la folla in contemporanea (ricordiamo qui, per il problema della validità degli ordini anglicani, che lo stesso Giovanni Paolo II bacerà la mano di Rowan Williams, successore di Runcie, il 4 ottobre 2003: non è certo Papa Francesco il primo ad aver compiuto atti di omaggio verso ministri di culti non cattolici).
il 17 settembre 2010, nell’abbazia di Westminster, Benedetto XVI in abito corale e stola partecipa al Vespro anglicano presieduto dal sedicente arcivescovo Williams, in paramenti. Non si vede come la partecipazione del Papa al vespro anglicano sia meno grave del vespro anglicano nella basilica di San Pietro.
il 10 marzo 2012, nella basilica di San Gregorio al Celio (Roma), da dove partirono i monaci missionari inviati da santo Pontefice a evangelizzare gli angli e i sassoni, Benedetto XVI tiene dei vespri congiunti con Rowan Williams, presente in piviale e mitra nel presbiterio.
nella stessa chiesa, il 5 ottobre 2016 si tengono simili vespri presieduti congiuntamente da Papa Francesco e dal sedicente arcivescovo Justin Welby, che appaiono seduti alla pari in paramenti sacri, e benedicono insieme. Una folta schiera di “vescovi” e altri ecclesiastici anglicani assiste in abito corale frammista a vescovi e cardinali “cattolici. Il primate anglicano è assistito da un cappellano donna.
Gli esempi sopra riportati mostrano che l’evento del 13 marzo a San Pietro è lungi dall’essere una novità. Si tratta di un fatto gravissimo per il luogo nel quale si svolge, ma che si iscrive in una serie di eventi promossi dal movimento ecumenico nell’immediato post-concilio e che hanno coinvolto in prima persona gli stessi Pontefici, che hanno pregato pubblicamente e in forme ufficiali con gli eretici anglicani (e non solo, ma qui ci atteniamo a questo argomento), riconoscendone con vari gesti i ministri come validamente ordinati [1]. Atteggiamenti contrari alla professione di fede e scandalosi, condannati com’è noto dall’enciclica Mortalium animos di Pio XI [2]. Occorre quindi manifestare il proprio dissenso non solo da questo atto singolare, ma dai princìpi che lo muovono e dai precedenti che lo preparano.
Concludiamo con l’episodio della vita di un martire, il Beato John Ogilvie, gesuita scozzese, catturato nel 1615 a Glasgow per aver detto la Messa cattolica “in una città riformata”, e messo a morte da Giacomo VI per aver sostenuto il potere del Papa sui Re durante il processo. Questi, condotto all’impiccagione, manifestò fino all’ultimo la sua volontà di non pregare con chi non condivideva la sua stessa fede: «If there be here any hidden Catholics, let them pray for me; but the prayers of heretics I will not have» («Se ci sono qui dei cattolici nascosti, che preghino per me; ma le preghiere degli eretici io non le avrò»).
Don Mauro Tranquillo (sanpiox.it)
[1] Vero è che Papa Ratzinger volle la riordinazione dei ministri anglicani che rientravano nella Chiesa cattolica, ma al tempo stesso tributava onori episcopali ai vari “arcivescovi” di Canterbury che ebbe ad incontrare.