Nella vita spesso prendiamo degli abbagli, siamo vittime di illusioni, di speranze mal riposte, crediamo a chi non è degno di fiducia. Spesso ce ne accorgiamo solo tardi, ma “meglio tardi che mai”. L’importante è scuotersi dall’illusione o dall’ incanto e riprendere contatto con la realtà, anche se sgradevole. Questo vuol dire essere “disincantati”, senza troppa ingenuità, più esperti, privi della capacità di ingannare noi stessi e quindi anche gli altri, come fanno non pochi leader o santoni.
L’Imitazione di Cristo ci avverte che forse l’amico di oggi sarà il nemico di domani. L’unico vero Amico che non tradisce o non illude mai è Gesù Cristo. Perciò cerchiamo di restargli sempre fedeli e di non tradirlo mai perché “Lui non ci abbandona se prima non lo abbandoniamo noi/Deus non deserit nisi prius deseratur” (S. Agostino). Quindi la nostra unica cura sia quella di non tradire Dio e, se per fragilità dovessimo offenderLo, sia quella di ritornare a Lui con cuore contrito e umiliato.
San Tommaso d’Aquino (S. Th., I-II, q. 40, a. 5, ad 2) spiega che più invecchiamo e più diventiamo diffidenti, poiché abbiamo subìto nel corso degli anni numerose illusioni, ma ciò è scusabile, date le amare esperienze del passato.
Qualcun altro ha detto che “a pensare male del prossimo si fa peccato, ma ci si indovina quasi sempre”. La teologia morale precisa che se penso male senza indizi faccio un pensiero temerario, ma, se vi sono indizi reali per reputare che l’altro non è corretto, allora non vi è nessun disordine ma un giudizio vero, ossia corrispondente alla realtà e quindi moralmente lecito.
L’Ecclesiaste è un Libro Sacro, attribuito comunemente a Salomone, che tratta della disillusione o del disincanto. Esso è più attuale che mai in questi tempi [...].
Occorre essere semplici nell’ accostarsi alla Parola di Dio. Ebbene l’Ecclesiaste ci richiama alla realtà e ci insegna che tutto il creato, proprio perché creato, è finito e inconsistente, caduco e transeunte. Ma non dice che è assurdo, che è l’effetto di un “Dio” malvagio (“contradictio in terminis”). Ciò che sorpassa la nostra ragione non è necessariamente assurdo, è solo oltre la ragione ma non contro essa. È il mistero, il quale ci riporta alla nostra condizione di creature, contingenti, limitate e finite.
Certo, la vita ha uno scopo, Dio. Ma alcuni avvenimenti ci sembrano difficilmente conciliabili con la bontà infinita di Dio, superano la nostra comprensione. In questi casi, occorre chinare il capo e fare la volontà divina, anche se non ne capiamo il significato, sicuri che Lui lo sa e opera tutto per la nostra salvezza, anche quando sembra “abbandonarci” sulla nostra croce come avvenne a Gesù.
Dio solo sta in cielo, l’uomo sta ancora in terra, almeno sin che vive, onde la morte è l’inizio della vera vita. Dunque dobbiamo rassegnarci a stare in questa valle di lacrime e mantenere i piedi per terra, senza spiccare voli pindarici, che rischiano di finir male come per Icaro. Gli idoli che stanno tra il cielo e la terra presto cadranno. Alla valle di Giosafatte tutto sarà chiaro e i “falsari” di questo mondo non potranno più ingannare, basta attendere con pazienza e vivere bene, dacché “talis vita, mors ita”/ “qual è la vita, tale è la morte”. Non affanniamoci se la menzogna sembra prevalere, Dio retribuirà ciascuno secondo quel che ha seminato.
Per quanto riguarda questa “notte oscura” che è la crisi che attraversa l’elemento umano (“in membris et in Capite”) della Chiesa, dobbiamo rifarci all’Ecclesiaste: tutto passa, tutto è vacuo, solo Dio e ciò che è divino resta. [...] È necessaria perciò una buona dose di disincanto. “Maledetto l’ uomo che confida nell’uomo” come se fosse una divinità perché tutto è caduco, uomini e strutture, tranne Dio e la sua Chiesa nel suo elemento divino [...]
Inoltre bisogna fare attenzione a non scambiare la nostra piccola “opera” di resistenza al modernismo con la Chiesa. Dio ha promesso l’indefettibilità solo alla Chiesa di Cristo fondata su Pietro. Quindi le nostre “opere” o “strutture”, per quanto buone in partenza, possono venir meno.
Solo alla Chiesa romana è stata promessa la permanenza dall’inizio alla fine. Molte opere buone son cominciate bene, ma poi si son perse per la strada. È umano e non bisogna farne una tragedia, ma bisogna ripetere la giaculatoria di Salomone: “vanità delle vanità, tutto è vanità”. Tutto è inconsistente e un nulla di fronte all’Essere stesso sussistente.
Non lasciamo turbare la nostra anima e la dolce presenza di Dio in noi mediante la grazia santificante dagli avvenimenti vacui, vani e inconsistenti di questo mondo creato. Tale “crisi” si riflette su ogni anima e istituzione umana o ecclesiale ma noi non dobbiamo meravigliarci di nulla, illuderci di niente, ma disilluderci, disincantarci. Sappiamo che – di fede – “le porte dell’inferno non prevarranno” contro la Chiesa di Roma alla quale soltanto è stata promessa l’indefettibilità per cui sarebbe erroneo attribuirla ad altra persona o istituzione umana, civile o ecclesiastica. [...]
Attenzione a non lasciarci prendere dalla frenesia dell’azione e dai facili entusiasmi giovanilistici (“entrismo”) o dalla contestazione fine a se stessa (“scissionismo dell’atomo”).
Quando hai terminato il tuo lavoro, fa un passo indietro, guardalo con distacco, come se non fosse opera tua, questa è la strada che porta in Cielo. Gesù nel Vangelo ci ha ammonito: «quando avrete fatto tutto ciò che vi ho comandato, dite: “siamo servi inutili e peccatori”». “Non sbraniamoci tra noi” (San Paolo), non formiamo partiti: “io son di Paolo, io di Apollo, io di Cefa” (San Paolo). L’essenziale è voler essere con Cristo e di Cristo. “Lui deve crescere e noi diminuire”, più Messe tradizionali ci sono meglio è, anche se non sono le “nostre”. Diciamo la nostra, senza presumere di essere infallibili, e poi mettiamoci il cuore in pace, il tempo rivelerà ogni cosa e scoprirà ogni segreto.
Pio IX, quando scoppiò il caso Mortara, di fronte a tante angustie cercava di imitare Gesù, che durante la Passione “tacebat”. Il Libro Sacro ci insegna a vivere nell’ “aurea mediocritas” che aveva scoperto anche il pagano Orazio: non vale la pena affannarsi tanto nella vita, poiché più si fa più si sperimenta la propria impotenza. Il perfezionismo titanico e angelista è somma stoltezza. Non bisogna avere troppa stima dell’uomo (filantropismo) né reputarlo necessariamente ed eccessivamente malvagio (misantropismo), basta non volerlo troppo perfetto (sano anantropismo). Se Dio tollera molte imperfezioni e mali in questo mondo, perché non dovremmo tollerarli anche noi?
Non dobbiamo compromettere e sciupare la poca felicità che ci dà la vita con ideali più grandi di noi: pretendere che tutto fili sempre liscio e come piacerebbe a noi. Lo si può sperare, ma, se gli uomini si ostinano a voler battere strade sdrucciolevoli, permettiamo che ciò avvenga, come lo permette la divina Provvidenza. Non stracciamoci le vesti, come Caifa, non facciamoci venire l’infarto, prendiamocela con filosofia, “buttiamola sul ridere” (diceva san Filippo Neri).
Il diavolo dice: “posso spostare i monti, arrestare il corso dei fiumi, volare più veloce del lampo. Ma non posso restar fermo a pensare, è contrario alla mia natura, aumenterebbe la mia disperazione” ed è per ciò che si butta nell’azione. Non imitiamolo. Quando l’acqua è torbida, per farla tornare limpida, occorre aver pazienza e aspettare che si riposi e decanti e allora tornerà ad essere cristallina. Così è nei dubbi che ci possono attanagliare. L’ora attuale è “l’ora del potere delle tenebre” e perciò bisogna essere massimamente prudenti e cauti.
L’Ecclesiaste ci invita a “gettare il seme anche se piove e tira vento”. Casi imprevedibili, il Vaticano II ad esempio, e l’adattamento ad esso da parte del mondo cattolico, in Capite et in membris, possono sconvolgere le nostre speranze. Tuttavia mai dobbiamo lasciarci sopraffare dagli eventi umani, “troppo umani”, o cercare di sopraffarli con le nostre sole forze umane. Mai scoraggiarci e gettare la spugna, ma continuare ad aver fede in un Dio che tace e si nasconde, ma non acconsente, e tuttavia vede e dirige tutto e che “se non paga il sabato, paga la domenica”. Attenzione al “tanto rumore per nulla”.
Mons. Francesco Spadafora raccontava la storia vera di un prete malvagio, che si ostinava nel male. I parrocchiani dicevano sconsolati: “povero Gesù Cristo in mano a don Antonio!”. Quando questi morì, una vecchierella molto semplice e saggia disse: “povero don Antonio in mano a Gesù Cristo!”. Ebbene, facciamo tutto ciò che è in nostro potere, il nostro dovere, e poi lasciamo che Dio diriga ogni cosa per il verso che Lui ha stabilito, memori che, se “il diavolo fa le pentole, non fa i coperchi”. Il male non paga (“male non fare, paura non avere”) e prima o poi verrà scoperto e castigato severamente. [...]
Quindi “fa il bene e scordatene, fa il male e pensaci”, ossia se fai un’azione buona non aspettarti una ricompensa umana, ma solo quella di Dio; invece se fai una cattiva azione pensaci su e ripara il torto fatto. “Punisci il tuo peccato affinché tu non sia punito” (S. Agostino). [...]
Non temiamo, aspettiamo, sperando “contra spem”, l’intervento di Dio “ludens in orbe terrarum”, il Quale solo oramai può raddrizzare una situazione talmente degenerata, socialmente, religiosamente e persino individualmente, tanto che, umanamente parlando è insanabile. Non dimentichiamo, però, che nel raddrizzare Egli lascia alle “cause seconde” (le creature umane) un certo ruolo non principale, ma del tutto secondario, al quale esse non debbono sottrarsi per pusillanimità, falsa umiltà o fatalismo. S.Ignazio da Loyola diceva: “Quando agisci credi che tutto dipende da Dio, ma fa come se tutto dipenda da te”.
(sisinono.org)