Sottotraccia alle innovazioni teologiche, alle mutilazioni sacramentali, alle liturgie creative ed alle omelie di taglio ecumenico-assistenziale, è possibile scorgere il ruolo tutt’altro che secondario svolto dal nuovo modo di comunicare della gerarchia ecclesiastica.
Il nuovo modo di comunicare è nato, manco a dirlo, con il Concilio Vaticano II in ottemperanza alle indicazioni di Giovanni XXIII che ai teologi e ai padri sinodali diede ampio mandato di rinnovamento nella forma di presentazione della dottrina, fatto salvo che la sostanza non venisse cambiata[1]. Questo restyling del Cattolicesimo venne giustificato dall’assioma (sofistico e falso) che all’uomo moderno non ci si potesse rivolgere col linguaggio chiaro e definitorio del Magistero precedente.
Il risultato ormai sotto gli occhi di tutti coloro che voglian vedere la realtà è un caos comunicativo per cui i documenti, le omelie e le interviste di eminenti vescovi, cardinali e pontefici, a seconda della appartenenza e convenienza di chi li interpreta, possono essere ritenuti in completa continuità con la Chiesa di sempre, oppure in continuità solo in alcune parti (mentre in altre abbisognerebbero di chiarificazioni), oppure giudicati sostanzialmente in rottura con la Tradizione o addirittura bollati come anticristici.
Le ragioni di tale caos si possono intravedere in alcune ben precise distorsioni del linguaggio ecclesiale.
La prima forma di distorsione è figlia dello stile usato nei documenti conciliari stessi. I teologi della Nouvelle Théologie chiamati da Roncalli a dirigere i lavori e i cardinali renani votati alla Rivoluzione avvolsero i filosofemi modernisti con attenuazioni (litoti), apponendo accanto ad una enunciazione eretizzante un termine limitativo: famoso il “in certo qual modo” con cui si è tentato di rendere meno dirompente l’affermazione, priva di fondamenti biblici: “con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito ad ogni uomo” [2].
Una seconda forma di linguaggio opaco è la tecnica del mascheramento, anche questa di origine vaticanosecondista. I padri sinodali, per obbedire alla volontà di Paolo VI (le innovazioni dovevano passare a larga maggioranza), accompagnarono le idee riformatrici con citazioni tratte dalla Bibbia e dal Magistero precedente che volevano essere rassicuranti, ma non sempre ci riuscivano (né potevano: la parola divina è come un diamante, che non può piegarsi alla volontà di potenza dell’uomo [3].
Mascherate dal linguaggio impreciso e affabulatorio sono stati incistati degli elementi non-cattolici all’interno di documenti che erano, per la loro propria natura, protetti dall’aura magisteriale [4], tanto che successivamente furono sigillati da interessati interpreti come opera della Terza Persona della SS.ma Trinità [5]. Alcuni passaggi sono suscettibili tanto di una interpretazione ortodossa (utile a sedare pericolosi allarmismi) quanto di una liberale (quella che sarà impugnata come una scure dagli epigoni modernisti). L’ermeneutica postconciliare di stampo progressista si incaricò di portare alla luce i semi della mala pianta modernista che vi giacevano mescolati alle verità divinamente rivelate.
Questo modo di stilare i testi conciliari riflette una tecnica non nuova, anzi utilizzata da secoli dagli eretici e dagli esponenti eretizzanti (Erasmo). Già Pio VI aveva denunciato “l’arte maliziosa propria degli innovatori”, che “si adoperano per coprire sotto fraudolenti giri di parole i lacci delle loro astuzie, affinché l’errore nascosto … s’insinui negli animi più facilmente e avvenga che – alterata la verità della sentenza per mezzo di una brevissima aggiunta o variante – la testimonianza che doveva portare la salute, a seguito di una certa sottile modifica, conduca alla morte.… Affermare e negare a piacimento fu sempre una fraudolenta astuzia degl’innovatori a copertura dell’errore” … un tale “incoerente multiloquio … avvolge d’oscuro il vero e, confondendo l’una e l’altra cosa, confessa quello che aveva negato o si sforza di negare quello che aveva confessato” [6].
Ciò che nel Vaticano II era ancora embrionale, è invece dilagato nel post-concilio. Parliamo qui dell’uso improprio del gradualismo, una terza forma di distorsione, che consiste nel voler applicare ad una realtà che ha un numero finito di alternative un metro di valutazione a spettro continuo.
Alla distinzione tra Chiesa Cattolica e confessioni scismatiche/ereticali – per cui o si era nella Chiesa oppure al di fuori – è stato sostituito il concetto di comunione non piena, imperfetta, aprendo così lo spazio a vari gradi di comunione e creando dal nulla (potenza del linguaggio) le chiese sorelle, ovviamente in cammino verso la piena comunione. Peccato che la semi-comunione nel Regno soprannaturale non esista, e quindi il concetto sia privo di valenza soteriologica.
Dalla distinzione peccato mortale – peccato veniale, accantonato il primo tra gli arnesi inservibili, si è passati a parlare di ideale e di situazioni che ancora non lo rappresentano completamente. Salta così anche l’antipatica dicotomia salvezza-dannazione (ma la Passione di Gesù Cristo a che è servita allora?) e – di conseguenza – i relativi luoghi di gioia o disperazione eterna.
Il gradualismo apre la porta al relativismo esplicito; infatti “una vera tolleranza religiosa può sussistere solo superando la distinzione mosaica tra vera e falsa religione”, viene sfrontatamente affermato dalle colonne del quotidiano vaticano [7].
Il gradualismo si oppone ai concetti chiari e distinti, in particolare ai comandamenti divini, che rimangono norme sullo sfondo mai applicabili in modo netto. Così, se il matrimonio sacramentale rimane l’ideale delle persone sposate, le altre unioni ne differiscono solo in grado, godendo ognuna di una più o meno grande pienezza, in ognuna essendo riscontrabili elementi di bene.
A mano a mano che nelle menti dei rivoluzionari il Concilio ha totalmente soppiantato il Magistero precedente nuove deformazioni linguistiche sono state poste in essere.
Dato che la fede ci arriva grazie alle parole, un modo drastico di epurare la dottrina è quello di rimuovere le parole che rappresentano concezioni troppo cattoliche ardue da collegare con l’erigenda religione conciliare.
La Messa cessa così di essere il Santo Sacrificio per ridursi a riunione festosa dei fedeli celebranti “il Risorto” e se stessi.
L’aldilà si è spopolato, visto che di angeli custodi, degli altri Spiriti celesti e dei demoni non si parla quasi più.
Peccato mortale e peccato originale sono usciti dal lessico dei sacerdoti (o meglio dei “presidenti della sinassi dei fedeli”). Né si ricordano più i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio.
Sono spariti alcuni vizi capitali, si preferisce puntare il dito contro i reati invisi ai potenti (corruzione, evasione fiscale, ecc.), mentre in luogo delle virtù cardinali vengono proposti i comportamenti che l’ONU patrocina (accoglienza, rispetto della Terra, ecc.).
Un secondo modo di apportare modificazioni alla dottrina è quello di sostituire le parole di sempre con altre più ecumenicamente corrette.
Il peccato assume allora nomi meno responsabilizzanti come “ferita” o “fragilità”.
Concubinati e convivenze sodomitiche diventano “forme non perfette di unione”, “situazioni cosiddette irregolari”.
La corruzione degli innocenti perpetrata nelle scuole – a parole e con gli atti – è tollerata in quanto “educazione sessuale” chiesta dall’Europa (il grande Leviatano); i vescovi si sono anzi impegnati a “rispettare e applicare lealmente” i famigerati decreti che impongono l’insegnamento del gender anche negli istituti retti da religiosi.
Alla sostituzione delle parole corrisponde un offuscamento della dottrina e dell’etica che divengono nebulose, diversamente interpretabili ed adattabili alle situazioni.
In ossequio al buonismo di matrice onusiana, coloro che vogliono entrare in Italia sono automaticamente profughi e da immigrati sono stati elevati dalla Caritas alla condizione di migranti (parola ormai avvolta da un’aura sacrale). Per cui l’“accoglienza” è doverosa (vitto, alloggio, denaro per piccole spese e pagamento RCA auto) coi soldi dello Stato e della Chiesa (cioè nostri).
Allo scopo di mantenere desta l’attenzione sui temi cari ai rivoluzionari vi sono parole-mantra dell’armamentario modernista, che vengono ripetute all’infinito dai teologi e dai prelati legati alla setta. Spiccano in particolare: “scrutare i segni dei tempi” (i.e. adeguarsi e conformarsi al sentire mondano), “per un cristianesimo profetico” e (i.e. rivoluzionario e anti-cattolico) “lo spirito soffia dove vuole” (i.e. tutte le religioni sono buone).
L’invito a sciogliersi dai lacci della dottrina è favorito dai primati assegnati al “dialogo”, (anche a discapito della Verità) e all’“esperienza” (via soggettiva e sentimentalistica alla Deitas).
Ad aumentare la caligine contribuiscono poi i “vocaboli totem” dalla forte valenza unitiva di cui il mondo si adorna: pace [8], amore, libertà, fratello sono state infatti semanticamente svuotate del loro significato cristiano, rinchiuse in un limbo lessicale e quindi strumentalizzabili da chi vuol instradare le masse verso il Nuovo Ordine Mondiale. I chierici ecumenici e i clericali a loro succubi li ripetono senza posa, non rendersi conto del mulino cui stanno portando acqua.
Quanto esposto dà conto anche del perché documenti, conferenze, esortazioni, omelie del clero odierno siano caratterizzati da una verbosità straripante. Le encicliche, a partire da Giovanni Paolo II fino all’attuale vescovo di Roma, hanno assunto dimensioni mai viste nel passato. I documenti delle conferenze episcopali si perdono in alluvioni di chiacchiere anodine. E per carità di patria sorvoliamo sulle deliranti omelie vaticane del cappuccino pentecostale Raniero Cantalamessa. Perfino preghiere, Rosari, Litanie e Via Crucis seguono l’onda con l’aggiunta di espressioni pleonastiche. Ed è giocoforza se tu vuoi basare la Via Crucis – come è accaduto qui – sui testi di un cantautore di orientamento gnostico come de André.
Il profluvio di parole e l’ambiguità dei testi servono anche a ridurre l’impatto delle tesi rivoluzionarie, coperte dalle attenuazioni e divagazioni.
Si nota anche una studiata indeterminatezza nei testi recenti, ad esempio in Amoris Laetitia, quasi a lasciare agli interpreti (i.e. i media) il compito di estrarre quanto è solo fatto intuire senza essere del tutto esplicitato. Mons. Forte – Bergoglio suggerì che nella relazione del sinodo sulla famiglia, non si parlasse esplicitamente di comunione ai divorziati risposati: «…se ne parliamo, questi [i refrattari alla rivoluzione, ndr] non sai che casino che ci combinano. Allora non parliamone in modo diretto, fa’ in modo che ci siano le premesse, poi le conclusioni le trarrò io.»
La furia che incita a portare a compimento il più presto possibile il ribaltamento dottrinale induce a scrivere senza ritegno cose tra loro in contraddizione, in modo che dei due corni del dilemma ognuno possa scegliere quello che meglio gli si confà.
Si entra nell’abisso quando poi vengono riprese senza vergogna le parole d’ordine della Massoneria, come apertura (che spesso indica la capitolazione alle rivendicazioni progressiste), cambiamento (che talora viene usato come arma contro l’essere e il dogma: nulla è eterno, nulla è immutabile) e sfida (il coraggio di aprire e di cambiare).
Per contraltare, in un tempo di parole e dialoghi con il mondo anticristico, il clero è invece colpito da afasia nel commentare certi punti della Rivelazione. Valga per tutti il silenzio ostinato su Mc 16, 16 («Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato») o il non tener conto del divino discorso nell’Ultima Cena (Gv 14-17).
Né il clero trova parole per condannare leggi disumane, sotto il pretesto di non immischiarsi (asserzione contraddetta in altre occasioni, v. Lampedusa, Trump, ecc.) o di rispettare l’autonomia del Parlamento (dichiarando così la propria adesione ad uno dei principali dogmi della Massoneria, la non ingerenza, ossia l’insignificanza politica della Chiesa). Salvo poi, a misfatto avvenuto, mettersi a belare (guardandosi bene dallo sguainare la spada, anche perché i monsignori inorridiscono davanti alle prese di posizioni chiare e coraggiose: per loro bisogna sempre cercare prima quel che unisce piuttosto che condannare in nome dei contenuti dogmatici della Fede, che invece sarebbero “divisivi” [9], per loro, insomma, la “verità” va superata in nome della “carità”).
Il combinato disposto delle due sciagurate massime giovannee (“cercare quel che unisce”, “aggiornamento del linguaggio”) si è inesorabilmente tramutato nella liquefazione della dottrina di Nostro Signore sostituita da un conglomerato di vaghi enunciati ed esortazioni, più in sintonia con i diktat dei potentati e, in definitiva, del “principe di questo mondo”.
La fede cattolica tende a ridursi ad una religiosità aperta al mondo ed alle altre fedi, privata della sua identità mentre ne viene oscurata la fondazione divina.
Tutto questo si fa in cambio dei trenta denari odierni: l’ossequio dei potentati e dei media. Ecco perché quasi tutti i vescovi e i teologi sono sempre ritratti beatamente sorridenti: sorridono perché sono più buoni dei loro predecessori, si compiacciono in quanto diversi dai crociati, dagli inquisitori e dai papi cattolici.
Nella pratica gradatamente la chiesa conciliare assomiglia sempre più ad una associazione, cui è stato assegnato un duplice compito: quello di fornire al Potere un supporto spirituale e di amalgamare le masse. Analoga funzione di controllo i potentati si attendono dagli altri capi religiosi.
Dagli atti della neo-chiesa si deduce l’obiettivo indicato alle genti: la pace universale (di Comenius, non di Cristo). Si evince altresì l’orrore per le guerre di cui sarebbero colpevoli le religioni con le loro inutili divisioni. Si evince infine la soluzione prospettata: scelta tra una religione ricondotta nei limiti della sola ragione (deismo Kantiano sotto la supervisione degli Illuminati), e una religiosità individuale (soggettivismo), guidata dal sentimento (è vero ciò che “sento”) ed orientata al miglioramento delle condizioni economico-sociali (naturalismo).
Detto con altre parole i dogmi di Manichei, Fratelli Del Libero Spirito, Catari, Alchimisti, Rosa-Croce, Massoni di varia obbedienza, Teosofi, Fabiani, Luciferiani, ecc. sono stati fatti propri da quella che ancora si fregia del titolo di gerarchia cattolica.
E da costoro ha ereditato, oltre alla visione del futuro, l’odio verso passato e presente della Chiesa Cattolica Apostolica Romana e i suoi residui ostinati aderenti.
Oreste Sartore
[1] un’illusione, dacché ogni linguaggio presuppone una sottostante razionalità e quindi è assurdo pensare di introdurne uno nuovo senza avere ripercussioni dottrinali anche profonde; non può infatti esistere una prassi senza una dottrina che la giustifichi (a meno che non si cada nell’assolutizzazione della prassi, tipica dei vari pragmatismi).
[2] Gaudium et spes n. 22, 7 dicembre 1965.
Giovanni Paolo II riprese questa invenzione modernista nella Redemptor Hominis, 4 marzo 1979, ove dice al n. 14: “l'uomo - ogni uomo senza eccezione alcuna - è stato redento da Cristo, perché con l'uomo - ciascun uomo senza eccezione alcuna - Cristo è in qualche modo unito, anche quando quell'uomo non è di ciò consapevole”
[3] questo modo di nascondere le innovazioni ereticali ha trovato il suo apice nell’esortazione apostolica Amoris Laetitia, in cui gli incredibili capovolgimenti della dottrina e della morale vengono impudentemente corredate con citazioni magisteriali e filosofiche che sono ben lungi dall’avallarli. Cfr. Patrizia Fermani, L’Amoris Laetitia come nuova inculturazione, sito riscossa cristiana 17 maggio 2016
[4]. dovrebbe invece essere preciso dovere del Magistero (la forza che si oppone al caos) quello di utilizzare un linguaggio privo di ambiguità, non suscettibile di interpretazioni spurie.
Valga il monito di Pio VI: “Se un’involuta e fallace maniera di dissertare è viziosa in qualsiasi manifestazione oratoria, in nessun modo è da praticare in un Sinodo, il cui primo merito deve consistere nell’adottare nell’insegnamento un’espressione talmente chiara e limpida che non lasci spazio al pericolo di contrasti”. Numerosi sono i passi del Vangelo (Mt 5,37), del Nuovo (1Gv 2,21, Ef 4,25, Rm 1,25) e dell’Antico (Ger 23,26 e 28,15, Sir 20,24) Testamento che comandano di proclamare la verità contro la menzogna.
[5] ripugna alla ragione oltre che alla fede questo sconsiderato appellarsi allo Spirito Santo per proteggere, assieme ai contenuti cattolici, anche ambiguità e tesi extraevangeliche, per di più inserite con mezzucci indegni di un’assise ecumenica.
[6] Pio VI, bolla Auctorem fidei, 1794, in cui condannava il Sinodo diocesano di Pistoia del 1786
[7] Marco Vannini, “L’Osservatore Romano” 26 aprile
[8] il Divino Maestro ci aveva avvertito (Gv, 14 ÷ 17)
[9] anche questo punto indica un’adesione ad uno dei principali dogmi della Massoneria, quello che “le religioni dividono e sono causa di guerre”
(26/05/2016)