Dei due nuovi arcivescovi assegnati personalmente da papa Francesco alle sedi di Bologna e Palermo si è già scritto molto. Ma forse non abbastanza per quanto riguarda la loro vera o presunta affiliazione alla cosiddetta "scuola di Bologna", la corrente storiografica che ha imposto nel mondo una lettura del Concilio Vaticano II in termini di "rottura" e "nuovo inizio" nella storia della Chiesa e che ha oggi un suo esponente di rilievo anche nel collegio cardinalizio, l'arcivescovo di Manila Luis Antonio G. Tagle.
I fondatori di questa scuola sono stati don Giuseppe Dossetti e Giuseppe Alberigo. Il primo fu per un certo periodo del Concilio Vaticano II lo stratega dei quattro cardinali coordinatori, con uno dei quali, Giacomo Lercaro, suo arcivescovo a Bologna, aveva un legame strettissimo.
Paolo VI non apprezzò l'attivismo di Dossetti in Concilio. Infatti lo esautorò e rimandò a Bologna. E successivamente affrettò le dimissioni anche di Lercaro, si dice per un suo pronunciamento contro la guerra americana in Vietnam, in realtà perché vedeva attuarsi a Bologna, di nuovo su ispirazione di Dossetti divenuto vicario generale, un modello di Chiesa "sinodale" che reputava pericoloso.
Scomparsi Dossetti e Alberigo, il numero uno indiscusso della "scuola di Bologna" è diventato lo storico della Chiesa Alberto Melloni (nella foto), che nella fase iniziale del pontificato di Francesco ha un po' faticato a entrare nelle grazie del nuovo papa [...].
Poi però i rapporti tra Melloni e Jorge Mario Bergoglio sono svoltati al bello, grazie anche al crescente avvicinamento tra il papa e il priore di Bose Enzo Bianchi, altro padre nobile della "scuola di Bologna". Da parte loro, sia Bianchi che Melloni, entrambi scrittori prolifici, si sono distinti tra i più sfrenati laudatori del pontefice regnante, in innumerevoli articoli di giornale.
Un suggello di questo connubio è stata l'udienza privata che lo scorso 23 giugno papa Francesco ha dato a Melloni, così descritta nella Newsletter del luglio 2015 della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna:
"Il 23 giugno Papa Francesco ha ricevuto in udienza nella sua biblioteca privata il prof. Alberto Melloni, segretario della Fondazione, accompagnato dalla sua signora e da una rappresentanza della storia della fondazione composta dal Presidente Valerio Onida, Pino Ruggieri e Massimo Toschi. Al Papa sono stati portati i volumi 1-3 dei 'Conciliorum Oecumenicorum Generaliumque Decreta', che lo hanno 'molto commosso' per il servizio alla chiesa e alla unità della chiesa che esprimono. Inoltre il Papa ha avviato per primo, da un calcolatore portatile, l’accesso agli 'Acta' del Tridentino, del Vaticano I e dell’intero Vaticano II che costituiscono uno degli apporti maggiori del progetto Mansi3".
Per la cronaca, il progetto Mansi3 è l'edizione digitale dei Concili. E prende nome dall'ecclesiastico e studioso Gian Domenico Mansi che nel Settecento produsse la prima monumentale raccolta dei testi conciliari.
E siamo alle due nomine, entrambe interpretate da Melloni come un trionfale successo per la sua "scuola".
Per la nomina di Corrado Lorefice a Palermo, in effetti, così è. Tra le sue credenziali c'è che ha studiato a Bologna in via san Vitale 114, l'indirizzo della Fondazione, e ha pubblicato un volume sull’apporto di Dossetti e Lercaro alla discussione sulla povertà nel Concilio Vaticano II.
L'affiliazione alla "scuola" che Melloni accredita anche per il nuovo arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi è invece più una semina che una mietitura.
Il curriculum di Zuppi infatti non ha niente di bolognese e ha tutto della Comunità di Sant'Egidio, di cui è esponente storico. Ma ciò non impedisce a Melloni di affidare alla sua cura episcopale due talenti che, questi sì, sono di schietta marca dossettiana oltre che bergogliana. [...]
Il primo talento affidato da Melloni a Zuppi è quel "cuore teologico che è la povertà: la povertà dei poveri, la povertà della Chiesa, la povertà di una Chiesa che non ha altra ricchezza che il vangelo e da quello si lascia fare ricca della povertà di Cristo".
Il secondo è il disegno di una Chiesa che diventi finalmente "sinodale", come Lercaro e Dossetti l'avrebbero trasformata se il papa di allora non li avesse ostracizzati.
Con Zuppi, ha scritto Melloni, quella Chiesa di Bologna "che tentò di rendere sinodale la riforma della diocesi nel post-concilio può trovare in un pastore fedele e puro colui che saprà stare davanti al gregge, in mezzo al gregge e in qualche caso anche dietro, fidandosi del 'sensus fidei' dei suoi figli e figlie".
Ma se il nuovo arcivescovo di Bologna non saprà far fruttare i due talenti che gli sono stati affidati?
Ecco che cosa Melloni amabilmente gli prospetta.
Se "farà altro" da quanto lo stesso Melloni ha stabilito, il nuovo pastore sappia che il clero bolognese per primo, un clero per sua natura "papalino" e quindi bergogliano, lo abbandonerà a se stesso "con disciplinata indifferenza, aspettando che si stanchi, si arrenda, vada via o crepi".
Bell'augurio per il nuovo vescovo in arrivo!
Nel frattempo, le gesta della "scuola di Bologna" hanno un momento di gloria anche oltre Atlantico, negli Stati Uniti.
Lì un suo esponente di punta, Massimo Faggioli, professore di storia del cristianesimo alla University of St. Thomas a Minneapolis, ha firmato assieme ad altri suoi sodali, tra cui dei gesuiti illustri, una lettera al "New York Times" perché squalifichi un suo editorialista, il cattolico Ross Douthat, reo di criticare papa Francesco: > Dàgli a Douthat! Dopo il sinodo, ecco il maccartismo dei cattolici liberal
Niente di sorprendente. Pochi giorni prima lo stesso Faggioli, sull'Huffington Post, aveva chiesto la galera per il cardinale Robert Sarah [considerato appartenente all'ala dei conservatori, ndr], reo d'aver tenuto nell'aula sinodale "discorsi che avrebbero avuto rilievo penale in alcune democrazie occidentali":
> Il sinodo ha fatto molti passi avanti (e qualche passo indietro)
Sandro Magister (magister.blogautore.espresso.repubblica.it)