Non sono nè un teologo, nè un canonista. Le mie osservazioni sui Motu Proprio "Mitis Judex Dominus Jesus" e "Mitis et misericors Jesus" sono dunque quelle di un semplice fedele, che si guarda attorno e che pone delle domande a chi avrebbe il dovere di rassicurare e confermare i fratelli nella Fede. Sono quasi sicuro però che nessuno avrà la pazienza di rispondermi, se non con slogan preconfezionati o con semplici argomenti di autorità.
La prima richiesta di chiarimento riguarda l'abolizione della "doppia sentenza conforme" e, di conseguenza, il ruolo assolutamente dominante che i Vescovi diocesani avranno nei futuri processi di riconoscimento della nullità matrimoniale. Sappiamo molto bene infatti che vi sono molti alti prelati, specialmente nell'eUROPA centro-settentrionale, che si sono espressi chiaramente a favore della riammissione ai sacramenti dei divorziati risposati. Possiamo ragionevolmente pensare che costoro saranno rigorosi nella conduzione dei processi a loro affidati? E, ancor di più... Possiamo immaginare con quale serietà essi valuteranno il vincolo matrimoniale nel caso in cui il Sinodo dovesse ribadire l'assoluto divieto di accesso all'Eucarestia per i divorziati risposati?
Sarà un "gioco da ragazzi" bypassare l'ostacolo concedendo annullamenti a valanga e senza alcun controllo da parte di Roma.
Le medesime perplessità, se possibile anzi rafforzate, riguardano la possibilità, sostanzialmente discrezionale, di concedere un procedimento abbreviato nel processo diocesano di riconoscimento della nullità. Che senso ha, ad esempio, in tale prospettiva, dare rilevanza ad elementi del tutto estranei all'analisi sulla validità del vincolo come la concordanza dei supposti coniugi nel chiedere la nullità o la brevità della convivenza?
Ciò che tuttavia mi stupisce maggiormente resta comunque l'inserimento della "mancanza di Fede" al momento della celebrazione nuziale come causa di nullità del vincolo sacramentale. La Fede è infatti un fattore soggettivo, e questa, per giunta, almeno in foro esterno, coincide con una dichiarazione, la cosiddetta professione di Fede. Solo Dio del resto può leggere i cuori. Noi uomini, compresi i giudici ecclesiastici, dobbiamo necessariamente dedurre l'esistenza della Fede da comportamenti esterni.
Va da sè dunque che chi deciderà di chiedere l'annullamento del proprio matrimonio avrà buon gioco nel dichiarare che, al momento della celebrazione, non possedeva la Fede, o non ne aveva a sufficienza. Chi potrà provare il contrario?
Mi sembra già di sentire certe dichiarazioni: "Si..., certo, andavo a Messa tutte le domeniche e facevo regolarmente la Comunione..., ma avevo un'idea molto confusa dell'indissolubilità del matrimonio. Il mio Parroco, del resto, mi faceva chiaramente intendere che, dopo il Concilio, anche su questi temi era necessario un aggiornamento pastorale..."
Ci sarebbero, in realtà, molti altri argomenti da approfondire sulla nuova disciplina dettata dai contestati Motu Proprio. Vorrei tuttavia concludere con un'osservazione legata all'imminente Sinodo sulla famiglia che si svolgerà ad ottobre.
Probabilmente infatti, con questa nuova disciplina sui procedimenti per il riconoscimento della nullità matrimoniale, Papa Francesco ha risolto preventivamente, con la furbizia "gesuitica" che ne contraddistingue il governo, la difficile questione relativa alla riammissione ai sacramenti dei divorziati risposati. Il Sinodo potrà così anche riaffermare, solennemente e con forza, la dottrina tradizionale in materia ma..., avendo comunque reso in pratica una burletta il procedimento per la nullità..., ogni divorziato risposato civilmente, avrà la possibilità di annullare il precedente matrimonio e risposarsi addirittura con rito religioso. La dottrina sarà salva... ma la pastorale, come si sente spesso dire, terrà conto delle mutate situazioni sociali esistenti nel mondo contemporaneo...
Fino a che punto allora, resta da chiedersi, i buoni Vescovi e Cardinali, che comunque esistono, accetteranno ancora di farsi prendere in giro in questo modo?
Marco Bongi