Quanto grande è il mistero dell'animo umano! Ciascuno che contiene la propria porzione di follia e di gloria. Scegliamo di accrescere l'una o l'altra. Ci sono poste dinanzi la vita e la morte, la speranza e la disperazione, amare e divorare; così plasmiamo la forma attraverso cui avranno modo di agire il cielo oppure l'inferno. […]
“Diciamo, Pawel Tarnowski, che tu e io viviamo sui due lati d'una strada e che questa strada divida due mondi diversi che risultino incomprensibili l'uno all'altro. Diciamo che io ti pongo la chiave della mia porta e tu mi porgi la chiave della tua; apriamo le nostre porte ed eccoci qua; stiamo gettando uno sguardo all'interno l'uno della casa dell'altro. Non è una benedizione?”.
“Non c'è niente dentro di me che troveresti interessante”.
“Questo non lo credo affatto”.
“Perchè vorresti guardare?”.
“Perchè l'uomo non è fatto per essere solo”.
“Non siamo soli”.
Abbassai lo sguardo. A bassa voce dissi: “Uno può essere solo, anche in una casa piena di persone che parlano senza sosta”.
“Rafforzi la mia tesi: non è necessario parlare”.
“Ah, ma parlare è necessario. Non intendo il rumore della bocca, ma il parlare che scaturisce dal silenzio”.
“Ora mi hai completamente perso. Cos'è che stai davvero cercando di dire?”.
“Il vero parlare è vedere come se si fosse una cosa sola: l'unione del silenzio e l'unione delle parole vere che da questo scaturiscono. Tale unione espande lo sguardo.”.
affascinato, Pawel mi fece un cenno: “Continua”.
“Una cosa non è detta in verità se non quando colui che la pronuncia è pronto a dare il proprio sangue in garanzia delle parole che gli escono dalla bocca o dalla penna. Non importa che il sangue venga versato in senso letterale, ma la volontà di versarlo è essenziale per l'autenticità. Nelle incertezze della vita, ci potrà essere richiesto o meno di dare il sangue; non spetta a noi decidere, ma sta a noi essere disposti a farlo”.
“Dunque credi che le parole di un uomo dovrebbero essere sostenute dalla sua stessa vita”.
“Sì, se si tratta di avere autorità. Ecco perché dobbiamo avere cura delle nostre parole: una parola cambia l'esistenza. Dobbiamo proteggere la purità del linguaggio, perché è questa a condurre il sacro dall'uno all'altro”. [...]
Ci facemmo silenziosi, quindi continuai: “Il linguaggio può darci preghiera e poesia, urla e maledizioni” continuai con voce bassa. “Eppure non è lui ad essere la sorgente della preghiera, della poesia, delle urla e delle maledizioni. C'è una voce dell'anima che viene prima delle parole che si pronunciano. Credo che si possa fare esperienza di questa pura liturgia dell'anima senza bisogno di parole”.
“Ancora una volta rafforzi il mio argomento che parlare assieme non è necessario”.
“Eppure adesso ne stiamo parlando”.
Pawel sorrise. “Sì, è così”.
“Un puro stato dell'essere è fatto di parola e ascolto al tempo stesso”.
“Sempre? Fai affermazioni così categoriche”.
“Sì. È un io difetto, lo ammetto. Ma perlomeno concorderai, Pawel Tarnowski, che ci possono essere momenti simili”.
“Può essere...”.
“Non ne sembri certo come io lo sono”.
“Non ne ho fatto esperienza”.
“ne sei sicuro? Certe volte nelle strade affollate, sì, persino nel ghetto, ho avvertito la grande unione, la grande pace, quando parlare e ascoltare sono in armonia con la voce dell'Altissimo”.
“Raramente l'ho provata in questa vita, perlopiù quand'ero un bambino molto piccolo” rispose Pawel. “Ecco che il tempo rallenta e un senso di meraviglia si espande: gli angeli inviano messaggi che si riversano sul mondo. Uno ha solo da alzare lo sguardo per vederlo, sentirlo, per ricevere i messaggi. Ma l'infanzia finisce, e la realtà si conquista tutto”.
“L'infanzia non dovrebbe finire” dissi con un certo fervore. “Deve assumere forma più matura, ma la sua innocenza non dovrebbe cessare”.
“Sono d'accordo: non dovrebbe, ma lo fa”.
“Non puoi ritrovarla di nuovo? È dappertutto, tutto attorno a noi. Sprizza dal volo sospeso dei piccioni per aria, o dai colori che corrono su per il cielo sempre cangiante, oppure dal flusso delle idee che dalle labbra giungono alle orecchie dell'altro; quando sai che la tua parola viene detta nella corrente principale e alla principale corrente ritorna”.
“la corrente di cosa? Ecco il problema: di cosa? Acqua? Scambio? Rumore?”.
“Fuoco. La corrente del fuoco sacro”.
Ci facemmo nuovamente silenziosi, ciascuno a considerare che cosa la parola fuoco potesse significare per l'altro. Poi dissi: “Se una persona non ha un'altra con la quale parlare così, allora è condannata a fissare il proprio riflesso”.
“E così questo sarebbe sbaglaito? Non dovremmo conoscere noi stessi?”.
“Puoi davvero conoscere te stesso in un riflesso? Un riflesso è un'immagine invertita, e piatta. Posso porre la questione in un altro modo, Pawel Tarnowski? Noi tendiamo a sperimentare l'io come se fosse il centro dell'esistenza. Così corro il rischio di far ruotare tutto e tutti attorno a me; oh, lo vedi, ho detto attorno a me, come se tutto quello che non sono io non facesse che occuparsi di me”.
“È un modo di dire”.
“Sì, ma un modo di dire che ha la propria origine in una tendenza fondamentale”.
Pawel sorrise con aria interrogativa, ancora una volta sorpreso e divertito. “Continua” disse.
“Come stavo dicendo, corro il rischio di volgere tutto attorno a me rendendolo meno reale, e così anch'io divento allora meno reale. No, dovrei dire piuttosto che allora faccio minore esperienza della mia autentica realtà, sebbene possa sentirmi più reale grazie a questa ossessione per l'io”.
“Non ti seguo”.
“In realtà, le altre persone sono reali quanto me, eppure io non le sperimento tali”.
“ma questa è la vita, non è così?”.
“Questa è la vita danneggiata”.
“Se quello che dici è vero, allora ad essere danneggiata è l'intera esistenza umana”.
“Non sei d'accordo?”.
Pawel annui bruscamente. “Sì, sono d'accordo”.
“Dunque, come muoverci oltre la prigione di specchi nella quale scorgiamo solo i nostri riflessi disordinati? Come muoversi al di là del sistema solare dell'io e prender parte alla grande danza dell'universo?”.
“Come? Non lo so per certo. Tuttavia un primo passo potrebbe essere...”.
Attesi che Pawel completasse il pensiero. Questi abbassò lo sguardo e fissò il pavimento per un po', nel tentativo di affermare una risposta alla mai domanda, risposta che gli sfuggiva.
“Suppongo uno faccia esercizio ponendo l'altro innanzi al proprio io” mormorò, senza alzare lo sguardo.
“Sì, credo sia così” dissi. “Piccole scelte per cominciare, che crescono in movimenti più ampi. Ma dobbiamo scegliere di agire così”.
All'improvviso sorrise senza alcun motivo apparente. “In questo modo – con una scelta consapevole – si spezza l'ipnotica trance dello specchio”.
(IL LIBRAIO cap. 9 – Michael D.O'Brien)
Padre Elia Schafer