Christianus mihi nomen est, catholicus cognomen
Il supremo criterio di giudizio per un cattolico dovrebbe essere quello della Chiesa: amare e odiare ciò che la Chiesa ama e odia. Amare la verità, in tutta la sua unicità e integrità, odiare l’errore in tutte le sue molteplici espressioni. Ortodossia ed eterodossia restano il metro ultimo di giudizio a cui la ragione di un cristiano deve sottomettersi.
Il Papa Paolo II istituì nel 1542 la congregazione dell’Inquisizione romana, poi detta Sant’Uffizio e oggi congregazione per la Dottrina della Fede, allo scopo di tutelare la purezza dell’ortodossia; san Pio V, nel 1571, affiancò ad essa, la congregazione dell’Indice con il compito di segnalare tutti i libri difformi dalla retta dottrina cattolica. Nel 2002 è stato pubblicato dal Centre d’Etudes de la Renaissance dell’università di Sherbrooke L’Index Librorum prohibitorum 1600-1966, che raccoglie tutte le opere condannate fino alla soppressione dell’Indice, voluta da Paolo VI nel 1966. Dal protestantesimo all’illuminismo, dal liberalismo cattolico al modernismo, non c’è autore eterodosso che non sia stato individuato e condannato per il bene della Chiesa e la salvezza delle anime.
L’Indice costituiva un prezioso strumento per aiutare i cattolici a conoscere e detestare gli errori e le eresie; il S. Uffizio era il supremo tribunale a cui ogni cattolico poteva rivolgersi quando aveva qualche dubbio o perplessità in materia di fede o di morale.
Alla congregazione per la Dottrina della Fede, succeduta al S. Uffizio, si devono, negli ultimi anni, numerose notificazioni come la Dominus Jesus del 2000 o le Considerazioni circa i progetti legali di riconoscimento delle unioni omosessuali del 2003.
Dopo lo sconcertante intervento del cardinale Kasper, in tema di divorziati risposati, al Concistoro del 20 febbraio 2014, e l’altrettanto inquietante documento Instrumentum laboris, presentato il 26 giugno, in preparazione al prossimo Sinodo sulla famiglia, sarebbe lecito attendersi dalla congregazione, oggi presieduta dal cardinale Gerard Mueller, una parola chiarificatrice sui gravi problemi sul tappeto in materia di famiglia e morale sessuale.
Oggi però si pretende di sostituire l’ortodossia con l’“ortoprassi”. La rivista internazionale di teologia “Concilium” ha dedicato il suo ultimo numero al tema: Dall’«anathema sit» al «Chi sono io per giudicare?», a partire dalla famosa frase di Papa Francesco sull’omosessualità: “chi sono io per giudicare”, pronunciata di ritorno dal Brasile, nel luglio 2013. Gli autori definiscono l’ortodossia come “una violenza metafisica”.
Essi ritengono che le formule e i dogmi non possono comprendere l’evoluzione storica, ma ogni problema vada collocato nel suo contesto storico e sociopolitico. Il concetto di ortodossia va superato, o quanto meno ridimensionato, perché, viene utilizzato come“punto di riferimento per soffocare la libertà di pensiero e come arma per sorvegliare e punire” (“Concilium”, 2/2014, p. 11). Al primato della dottrina va sostituito quello della prassi pastorale, come spiega a sua volta il padre Juan Carlos Scannone, intervenendo a sostegno del cardinale Kasper, nell’articolo Teologia serena, fatta in ginocchio, sulla “Civiltà Cattolica” del 7 giugno 2014.
Le categorie di ortodossia e di eterodossia vengono accantonate come antiquate. E nascono nuove espressioni semantiche. Una delle più curiose è quella di “cripto-lefebvrismo”: un termine che il padre Angelo Geiger FI ha recentemente utilizzato sul suo sito americano per squalificare, oltre alla mia persona, un benemerito sito cattolico quale Rorate Coeli, colpevole di aver espresso la sua preoccupazione per quanto sta accadendo ai Francescani dell’Immacolata. Per padre Geiger tutto è normale e chi mette in dubbio questa normalità è un “cripto-lefebvriano”.
Chi sono i “ cripto-lefebvriani”? Sono coloro che, nella situazione di confusione contemporanea, pur non facendo parte della Fraternità San Pio X, guardano alla Tradizione cattolica come a un punto di riferimento. Sono i cattolici che vogliono rimanere ortodossi e, per esserlo, si richiamano al Magistero definitivo della chiesa, non meno “vivo” e attuale del Magistero indiretto e non definitorio dei vescovi e del Papa regnante.
Il padre Angelo Geiger accusa i Francescani fedeli a padre Stefano M. Manelli, Rorate Coeli e il sottoscritto di essere contro il Papa e il Vaticano II. Lo preghiamo di leggere il volume pubblicato dal suo confratello padre Serafino M. Lanzetta Il Vaticano II. Un concilio pastorale. Ermeneutica delle dottrine conciliari, Cantagalli, Siena 2014. L’opera, condotta sotto la guida del prof. Manfred Hauke, è valsa all’autore l’abilitazione alla libera docenza presso la Facoltà Teologica di Lugano.
Padre Lanzetta vi spiega che l’insegnamento del Vaticano II si situa sulla linea del Magistero ordinario della Chiesa, ma senza esigere un’adesione di fede. “La qualificazione teologica più adeguata per le dottrine da noi esaminate, salvo meliore iudicio, sembra essere quella di sententiae teologicae ad fidem pertinentes: questioni su cui il magistero non si è ancora pronunciato definitivamente, la cui negazione potrebbe condurre a mettere in pericolo altre verità di fede e la cui verità è garantita dal loro intimo collegamento con la Rivelazione” (pp. 430-431). La discussione di queste tesi teologiche è ancora libera e aperta. Il dato dottrinale del Vaticano II, scrive ancora padre Lanzetta, va letto alla luce della perenne Tradizione della Chiesa e il Concilio non può che iscriversi in questa ininterrotta Tradizione (p. 37). “Ciò che solo può far da guida nella comprensione del Vaticano II è l’intera Tradizione della Chiesa: il Vaticano II non è l’unico né l’ultimo concilio della Chiesa, ma un momento della sua storia” (pp. 74-75). “La perenne Traditio Ecclesiae è, quindi, il primo criterio ermeneutico del Vaticano II” (p. 75).
Padre Lanzetta, uno dei Francescani dell’Immacolata che hanno chiesto le dispense per lasciare il suo Istituto, è un “cripto-lefebvriano”? Se è così, il capo dei cripto-lefebvriani è Benedetto XVI, che ha proposto di leggere il Concilio Vaticano II alla luce della Tradizione e non la Tradizione alla luce del Vaticano II, come vorrebbe la scuola di Bologna. E se a padre Lanzetta padre Geiger vuole contrapporre mons. Agostino Marchetto, definito da Papa Francesco come “il miglior ermeneuta del Vaticano II”, egli dovrebbe sapere che padre Lanzetta e il prof. de Mattei fanno parte, assieme a mons. Marchetto, di un gruppo di studiosi che da oltre due anni, ognuno con la propria identità di teologo e di storico, si confronta in maniera costruttiva per approfondire il Concilio Vaticano II, senza reciproche demonizzazioni. La frase In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas, cara a Giovanni XXIII, è respinta da chi si serve del Novus Ordo Missae e del Concilio Vaticano II per chiudere la bocca a chi pone delle domande in nome della retta fede cattolica.
Preghiamo il padre Geiger di sostituire le false etichette con dei buoni argomenti, se riesce a trovarli. Ciò che ci qualifica o ci squalifica dinnanzi alla Verità e a Nostro Signore Gesù Cristo, che è Via, Verità e Vita (Gv 4, 1-6), non sono le denominazioni polemiche, ma il buon uso della nostra ragione, che non può mai essere in contraddizione con la nostra fede. Alle accuse dei nominalisti, rispondiamo con le parole di san Paciano di Barcellona: Christianus mihi nomen est, catholicus cognomen.
Roberto de Mattei