Il pianto di Gesù su Gerusalemme
È un momento che dovrebbe essere di suprema gioia. Gesù entra a Gerusalemme accolto dalle acclamazioni e dall’entusiasmo della folla. Oggi è l’uomo più popolare di Gerusalemme. Eppure Gesù non si lascia illudere dalle lusinghe. Il mondo lo applaude, ma Egli non si compiace, non si bea di questo successo. Mentre il corteo trionfale scende verso il Tempio, lungo la china occidentale del monte degli Ulivi, Gesù contempla dall’alto la città di Gerusalemme, in cui spiccano i luoghi della sua imminente Passione: la mole abbagliante del Tempio, la reggia sfavillante di Erode; il quadrilatero austero della Torre antonina, sede della guarnigione romana.
Et ut appropinquavit, videns Civitatem flevit super illam (Lc. 19, 41). Inaspettatamente, vedendo la città di Gerusalemme, Gesù piange su di lei. Chi piange non è un uomo qualunque, e non è neppure una suprema autorità terrena: è la seconda Persona della Santissima Trinità, il Verbo Incarnato, l’uomo-Dio, in cui tutta la storia si ricapitola. Il suo pianto ha un significato che percorre la storia di tutti i secoli. Gesù aveva pianto fanciullo nel presepio di Betlemme e Betania era stata testimone delle lacrime da Lui sparse alla morte di Lazzaro. Le lacrime accompagneranno la sua Passione. Ma questa volta si tratta di un pianto diverso.
Piange per la città che ha di fronte, che non è una città come le altre: è Gerusalemme, la città sacra del popolo eletto, il centro spirituale del mondo. Gesù piange per il castigo che incombe su Gerusalemme, ma la causa del pianto sono soprattutto i peccati, le offese a Dio che costituiscono la causa di quel castigo. Il fumo di Satana è penetrato nel Tempio di Dio e offusca gli occhi dei Supremi sacerdoti. E Gesù, tra le lacrime ed i singhiozzi, esclama: «Gerusalemme, Gerusalemme, se tu avessi conosciuto in questo giorno anche tu – le cose che riguardano la tua pace e che ora stanno nascoste agli occhi tuoi!» Che è come dire: se tu conoscessi le cose che io conosco di te, senza dubbio piangeresti come ora io piango. Ma tutto questo ti è nascosto, in castigo dei tuoi peccati. E perciò non piangi, non ti penti, non avrai profitto dal tuo pentimento e dal tuo dolore. Agli osanna della folla Gesù risponde quindi con il vaticinio della inesorabile punizione della città infedele: «Ebbene verranno giorni su di te in cui sarai attorniata dai tuoi nemici e assediata da tutte le parti; e smantellata e abbattuta, senza che di te resti pietra sopra pietra; perché non conoscesti il tempo della visita fatta a te» (Lc. 19, 42-44).
Gesù conosce le terribili prove che lo aspettano. Ma non è questa la ragione del suo pianto. Egli non piange per sé stesso, per i dolori che sa di dovere affrontare, per la Passione che lo aspetta, ma per la sorte della città santa. Quale prova maggiore del suo amore per Gerusalemme? Eppure questo immenso amore non può stornare la giustizia infinita di Dio. Dio non è solo infinitamente misericordioso, ma è infinitamente giusto, perché infinitamente santo. E Gerusalemme non sarà risparmiata a causa dei suoi peccati.
Oggi c’è un’altra città su cui piangere. È la città di cui ci parla il terzo segreto di Fatima. Quella «grande città mezza in rovina» che il Papa attraversa, «mezzo tremulo con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena», pregando «per le anime dei cadaveri che incontra nel suo cammino». Cosa rappresenta la misteriosa città in rovina? Rappresenta una città, una civiltà, o la stessa Chiesa di Cristo? Solo il futuro svelerà il drammatico enigma. Oggi è l’ora del pianto.
Il pianto implica la serietà e la compenetrazione per la tragica situazione drammatica in cui versa il mondo. Non è l’ora dell’euforia e delle illusioni, ma non è l’ora nemmeno del sarcasmo irriverente o delle polemiche sterili tra cristiani. È il momento della tristezza e del pianto. Le lacrime nascono dal dolore. E se le lacrime sono un dono, il dolore è un sentimento che bisogna alimentare conoscendo le cose che ci riguardano: non rinunciamo perciò ad esercitare la ragione, ma sorreggiamo con la ragione la nostra fede ed illuminiamo con la fede la nostra ragione. Che la Madonna ci conceda questa grazia nell’ora della Passione di Cristo e della Chiesa.
Roberto de Mattei
(Fonte: CORRISPONDENZAROMANA.it)