Uno sfregio a Padre Pio
Sono milioni ogni anno i pellegrini che si recano a San Giovanni Rotondo. E negli ultimi tempi si trovano davanti a sorprese che lasciano sconcertati, nel nuovo edificio di Renzo Piano dove è stato portato il corpo di san Pio. Per esempio i mosaici (che a me non piacciono) realizzati da Marko Rupnik proprio per il sepolcro del Padre. In tutto il ciclo delle raffigurazioni c’è una testata giornalistica italiana che viene mostrata e di conseguenza viene – per così dire – pubblicizzata.
Una sola: “l’Unità”. E’davvero molto sorprendente perché nel mosaico si vede padre Pio che addirittura benedice una tizia che ha in mano appunto “l’organo del Partito comunista italiano”. Il messaggio inequivocabile è quello di una benedizione alla stessa “Unità” e all’appartenenza comunista. O comunque di una sua irrilevanza agli occhi di padre Pio. La didascalia – come vedremo – fornisce proprio questa interpretazione.
Bisogna tenere presente cosa era l’Unità e cosa era il Pci di Togliatti e Stalin ai tempi di padre Pio. Sulle pagine del giornale comunista ovviamente venivano magnificate quelle dittature dell’Est che martirizzavano la Chiesa. E venivano propalate le tipiche menzogne del comunismo internazionale.
Quando, nel 1953, morì Stalin, uno dei più sanguinari carnefici della storia umana, l’Unità titolò così, a tutta prima pagina: “Stalin è morto. Gloria eterna all’uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e per il progresso dell’umanità. Onore al grande Stalin!”. L’editoriale dell’Unità era il testo del Comitato centrale del Partito comunista dell’Unione sovietica. Vi si leggeva: “Il nome immortale di Stalin vivrà per sempre nel cuore del popolo sovietico e dell’umanità amante del progresso. Evviva la grande e invincibile dottrina di Marx, Engels, Lenin e Stalin! Evviva il grande Partito Comunista dell’Unione Sovietica!”.
Poi veniva riportato la servile sviolinata di Togliatti, nel 1949, per il compleanno del feroce tiranno. Padre Pio conosceva bene l’orrore e le stomachevoli menzogne del comunismo che aveva imposto l’ateismo di stato con stragi e regimi di terrore.
E’ ben noto che per lui l’adesione al Pci non era un’idea politica da discutere, ma un peccato mortale da confessare davanti a Dio e di cui pentirsi e ravvedersi. Senza se e senza ma. Come ricordava quel comunista di Cerignola che andò a confessarsi dal padre, nel dopoguerra, e quando terminò l’elenco dei suoi peccati si sentì dire: “E quella tessera che tieni qui, non ti dice niente?”. Lui rispose: “Oh, Padre è per il lavoro”. “E il lavoro te l’hanno dato? Hai tradito il Signore tuo Dio e ti sei messo tra i suoi nemici”, tuonò il padre.
Ancora più movimentato fu il caso di un comunista di Prato, l’esplosivo Giovanni Bardazzi che padre Pio nel 1949 cacciò via dal confessionale e che – per ripicca – andò a un’udienza di Pio XII cominciando a strillare che padre Pio l’aveva cacciato. Giovanni Bardazzi divenne poi uno dei figli più ardenti di padre Pio e non solo rinnegò la sua militanza comunista, ma andò a cantarle chiare ai suoi ex compagni e poi per anni e anni, ogni settimana, convogliò tanti di loro, un fiume di persone, a San Giovanni Rotondo.
Si può dire che padre Pio sia stato il più straordinario convertitore di militanti comunisti dell’Italia del dopoguerra, perché aveva capito benissimo quello che fior di intellettuali cattolici e laici non capirono: che cioè non era una faccenda politica, ma che si trattava di essere con Gesù Cristo o contro di lui. E il comunismo era ferocemente contro Cristo. Perciò anche contro l’uomo. Fra le storie di conversione di militanti comunisti, la più sorprendente fu forse quella del medico francese Michel Boyer, un famoso eroe della Resistenza francese. Una della più commoventi fu quella di Italia Betti, la “pasionaria” dell’Emilia. Durante l’occupazione nazifascista fu membro del CLN di Bologna e la si ricorda, il giorno della liberazione, entrare a Bologna, alla testa delle truppe partigiane, con una bandiera rossa in pugno.
Nel dopoguerra, alla guida di una moto, diffondeva nelle campagne il verbo del partito con grande zelo. L’incontro con padre Pio, nel 1949, capovolge la sua vita. Nel dicembre lascia Bologna per andare a vivere a San Giovanni Rotondo suscitando grande clamore tra i compagni che cercarono di dissuaderla. Considerando tutti questi episodi quell’immagine con “l’Unità” al centro risulta del tutto fuorviante.
Ho dunque telefonato a un’importante personalità di San Giovanni Rotondo, che ha voce in capitolo, per capire il motivo di quel mosaico e mi sono sentito rispondere proprio questo: “ma è un’immagine che vuole ricordare le tante conversioni di comunisti avvenute tramite padre Pio, come quella di Italia Betti”. Sì, ho obiettato, ma in quel mosaico “l’Unità” non giace a terra, come segno di un passato ripudiato e di una conversione, ma sta fra le mani della persona che viene benedetta dal Padre, come una militanza mai abbandonata e legittimata. Inoltre sotto il mosaico c’è questa incredibile didascalia: “Padre Pio benedice le donne e gli uomini di cultura. Il padre spirituale sa accogliere senza pregiudizi tutti quelli che a lui si rivolgono”. Non si parla di “conversione”. Anzi, si attribuisce al Padre una “mancanza di pregiudizi” per dare ad intendere che a lui il credo marxista e la militanza comunista non facevano alcun problema.
Il mio interlocutore è parso sorpreso e ha detto che quella didascalia andrà corretta. Non so se sarà corretta, ma di certo non è un incidente. Riflette tutta una mentalità che è esattamente agli antipodi di quella di padre Pio. Una mentalità per cui è proibito usare sia la parola “comunismo” che la parola “conversione”. Sostituiti da “dialogo” e “senza pregiudizi”. Lo dimostrano due mosaici lì vicino. Nel primo, a fianco di quello descritto, si vede padre Pio che in bilocazione va a trovare il cardinale Mindszenty carcerato. La didascalia recita: “San Pio porta il pane e il vino al cardinal Mindszenty prigioniero”. Prigioniero di chi? Dell’anonima sequestri? No. Il primate fu incarcerato dal regime comunista ungherese, ma ovviamente lì non c’è scritto. E ben pochi pellegrini lo ricordano.
L’altro mosaico è il quadro della vita di san Francesco che vorrebbe essere il corrispettivo dell’immagine di padre Pio con la militante comunista: Francesco che durante la crociata va dal Sultano per convertirlo alla fede cristiana. Convertire non è un verbo “politically correct”. Che san Francesco e padre Pio vivessero letteralmente per salvare anime, quindi per annunciare Cristo a tutti (compresi musulmani, comunisti o massoni) e quindi per convertire tutti a Gesù Cristo, nella mentalità clericale corrente (espressa da Rupnik) sembra assolutamente un tabù. Indicibile. Infatti nel sito internet del Centro Aletti, di cui è direttore proprio il pittore Rupnik, nella riproduzione dei suoi mosaici, sopra l’immagine di Francesco dal Sultano, si legge questa considerazione: “San Francesco, da uomo libero, non agisce secondo i pregiudizi e affascina persino il sultano con la sua predicazione. E, come dice san Bonaventura, è tornato in Italia triste non perché non abbia convertito il sultano, ma perché questi lo ha persino difeso e Francesco non è potuto diventare martire”.
Dove san Bonaventura lo abbia scritto non è dato sapere. In realtà nella “Legenda Maior” di Bonaventura, al capitolo IX, dove si racconta l’episodio, si legge che Francesco chiede al Sultano “con il tuo popolo di convertirti a Cristo” e di “abbandonare la legge di Maometto per la fede di Cristo”. E’ lì per questo e lo ripete al Sultano, pronto a subirne ogni conseguenza. San Francesco, come padre Pio, non era “politically correct”. E’ noto che a Maglie c’è la discussa statua di Aldo Moro con l’Unità sotto il braccio. Ma che in una chiesa, nel sepolcro di un santo, si rappresenti padre Pio che benedice la militante con l’Unità in mano è decisamente troppo.
Antonio Socci
(Fonte: ANTONIOSOCCI.com)