Buono, ma non buonista. Povero ma non pauperista. Semplice, ma non semplicista.
Papa Francesco nell’omelia durante la Celebrazione eucaristica con i cardinali nella Cappella Sistina ha tracciato semplicemente ma chiaramente le linee fondamentali del suo pontificato indicando cosa la Chiesa deve fare: camminare, edificare, confessare. Tre prospettive chiarissime e insite nella vocazione stessa della Chiesa. Camminare, ovvero pellegrinare nella Storia. Edificare, ovvero santificare. Confessare, ovvero testimoniare Cristo.
Pellegrinare nella storia non vuol dire seguire la storia o essere nella storia, bensì essere sì nella storia ma non della storia. Vuol dire avere dinanzi a sé l’obiettivo della meta da raggiungere, una meta che è al di là della storia. Il pellegrinare è sì nella storia ma ciò che si deve raggiungere è oltre la storia, ed è il compimento del Regno di Dio, il raggiungimento della pienezza della vita eterna, è la conquista del Paradiso.
Edificare, vuol dire santificare; e santificare vuol dire salvare. Vuol dire far capire che ciò che conta è raggiungere la meta del Paradiso. Che all’uomo – come ho già detto prima – non è data alcuna salvezza su questa terra, ma che il vero obiettivo è la pienezza di vita in Dio nella dimensione dell’eternità. Che ciò che conta è la Grazia di Dio; tutto il resto è inezia.
Testimoniare, vuol dire portare la Verità, che è unicamente Cristo. Gesù, che conosceva bene la differenza tra l’articolo determinativo e quello indeterminativo, non disse di se stesso di essere una via, una verità e una vita; bensì di essere la via, la verità e la vita.
Testimoniare significa dire all’uomo che non può trovare in se stesso la risposta e la soluzione del suo vivere, ma solo incontrando Cristo e vivendo della vita di Cristo (la Vita di Grazia).
Ma nell’omelia Papa Francesco ha detto anche altro. Ha detto due cose molto importanti. La prima: senza Cristo, la Chiesa si trasforma in una sorta di ONG. La seconda: non si può confessare Cristo senza la Croce.
Facciamo qualche riflessione.
Senza Cristo, la Chiesa si trasforma in una sorta di ONG. Verissimo. È da tempo che si constata questo problema. È da tempo che l’annuncio cristiano non affascina più. Negli ultimi decenni la Chiesa è come se avesse dimenticato la centralità di Cristo, quasi come se se ne fosse vergognata. La Chiesa sembra essersi ridotta ad una sorta di “ente morale”, solo preoccupata a rincorrere il mondo, a fare del “politicamente corretto” il suo dogma fondamentale, a inchinarsi dinanzi al mondo e a credere che tutto sommato la sua missione sia quella di farsi redimere dalla storia e non viceversa. Una Chiesa cortigiana della storia. Una Chiesa che non ha saputo più essere “segno di contraddizione” dimenticando appunto Cristo che – come disse il vegliardo Simeone – è «segno di contraddizione, salvezza e perdizione per molti in Israele»! Una Chiesa che non ha saputo e non ha più voluto condannare l’errore e proteggere dall’errore i suoi figli. Una Chiesa dove vi è una sorta di dimenticanza della tensione verso l’eternità in favore di preoccupazioni esclusivamente immanenti e di chiaro sociologismo moralistico. Una Chiesa che ha creduto che tutto sommato la vera uguaglianza fra gli uomini sia quella dei diritti sociali e sindacali, e non quella vera, e cioè che tutti – ricchi e poveri, colti e ignoranti, sani e infermi – hanno bisogno di “parole di vita eterna”. Una Chiesa che ha creduto che la misericordia sia solo quella di offrire il panino a tutti, e non quella prima di tutto di offrire la verità.
Non a caso sono opere di misericordia non solo quelle corporali ma anche e soprattutto quellespirituali. Anzi, una Chiesa che ha separato i due modelli di opere, non tenendo in considerazione che esse o vanno insieme o non vanno affatto. Perché è tutto l’uomo che deve essere salvato. È tutto l’uomo che ha bisogno di misericordia. Ha bisogno di misericordia il suo corpo ma anche e soprattutto la sua anima. Da qui l’esempio inequivocabile dei santi.
Da san Luigi IX, il grande Re di Francia, che da Re si preoccupava della salvezza eterna dei suoi sudditi dando testimonianza coraggiosa di servire la Verità e la Chiesa nelle Crociate, ma che si preoccupava anche di alleviare le umane sofferenze: ogni sabato radunava i poveri nel suo palazzo, lavava loro i piedi che baciava con rispetto, dopo averli asciugati con le sue stesse mani; li serviva lui stesso a tavola e a loro distribuiva una ricca elemosina. Alla beata Madre Teresa di Calcutta, che andava per strada a portare cibo e conforto ai dalit, ma che dinanzi al consesso dell’ONU ebbe il coraggio di dire pubblicamente: «… non illudiamoci, fin quando sulla terra ci sarà una madre che arriverà ad uccidere il proprio figlio nel suo grembo, sulla terra non ci potrà mai essere la pace».
Papa Francesco, da vescovo di Buenos Aires, queste cose le ha fatte: ha dato pubblica testimonianza delle opere di misericordia corporale lavando i piedi persino ad ammalati di AIDS, ma non ha trascurato quelle spirituali, che sono ugualmente di misericordia. Quanti vescovi in Italia in merito alla proposta di legalizzare i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono arrivati a dire queste parole che ebbe il coraggio di dire l’allora cardinale Bergoglio chiedendo preghiere ai monasteri di clausura femminile di Buenos Aires: «Non siamo ingenui: questa non è semplicemente una lotta politica, ma è un tentativo distruttivo del disegno di Dio. Non è solo un disegno di legge (questo è solo lo strumento) ma è una “mossa” del padre della menzogna che cerca di confondere e d’ingannare i figli di Dio. E Gesù dice che per difenderci da questo accusatore bugiardo ci manderà lo Spirito di Verità. Oggi la Patria, in questa situazione, ha bisogno dell’assistenza speciale dello Spirito Santo che porti la luce della verità in mezzo alle tenebre dell’errore. (…) Ricordiamo ciò che Dio stesso disse al suo popolo in un momento di grande angoscia: “Questa guerra non è vostra, ma di Dio”. Che [Gesù Bambino, la Madonna e san Giuseppe] ci soccorrano, difendano e ci accompagnino in questa guerra di Dio».
Passiamo all’altra espressione: «… non si può confessare davvero Cristo dimenticando la Croce». Altra grande questione della Chiesa attuale: la dimenticanza della Teologia della Croce. Senza questa, il Cristianesimo non si capisce. Non ha senso. Si è dimenticata la Croce perché questa richiama una verità che un certo cristianesimo contemporaneo, conforme al mondo, non vuole accettare, e cioè che Dio è assoluta perfezione e, nella sua assoluta perfezione, è Logos. Dio è infinita misericordia ma anche infinita giustizia. Dio non può patire la contraddizione, per cui non possiamo dire che Egli è misericordioso e non-misericordioso o che è giusto e non-giusto. Ma può avere l’apparente contrarietà, da qui l’inconfutabile verità che Dio è infinitamente misericordioso ma anche infinitamente giusto… e che la giustizia di Dio va compensata.
La Croce questo vuol significare. La contraddizione sta nel fatto che chi vuol dimenticare la dimensione della “sofferenza vicaria” – che è costitutiva del Cristianesimo – per evitare di parlare troppo della giustizia e del rigore di Dio, non si accorge che, proprio dimenticando la Croce, il Dio cristiano diventa paradossalmente “cattivo”… perché, se non c’è la Croce, come si fa a capire il perché Dio permetta che muoia l’innocente e che il cattivo viva? Come si fa a capire il perché Dio permetta che soffra un bambino e che il malvagio goda? Nulla avrebbe più senso.
La Chiesa degli ultimi decenni non solo si è vergognata di Cristo, si è vergognata anche della Croce. La grandezza di san Pio da Pietrelcina è tutta nel fatto che è stato una vera e propria “icona” di risposta ai gravi errori del Cristianesimo contemporaneo: dimenticanza della centralità della Teologia della Croce, crisi del sacerdozio, dimenticanza della centralità della Vita di Grazia (san Pio è stato un vero e proprio martire del confessionale), dimenticanza del valore sacrificale della Messa. Già! La Messa. Ecco un punto centrale che mi permetto (sommessamente) di chiedere a Papa Francesco. La sua bellissima espressione “non si può davvero confessare Cristo senza la Croce” necessità di una attenzione alla liturgia, dove la dimensione sacrificale deve essere centrale e dove – diciamolo francamente – nella riforma liturgica è stata inequivocabilmente trascurata. E, si sa, il rapporto tra liturgia e fede è inestricabile: lex orandi, lex credendi.
L’augurio è che da queste due espressioni di Papa Francesco si possa ritornare ad un’essenzialità del Cristianesimo. Anche se su questo termine (“essenzialità”) va fatta una precisazione. Se per “essenzialità” s’intende ciò che solitamente si è inteso in certa teologia contemporanea, allora le cose non vanno bene. Per “essenzialità” in questo senso s’intende una riduzione del Cristianesimo a poco per renderlo funzionale al dialogo ecumenico, trascurando il fatto che tutto ciò che è rivelato è importante. Non a caso va ricordato: “Bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu”. Il bene, infatti, è nell’accettare la verità tutt’intera, perché nell’ambito della verità assoluta solo l’interezza conta. Sant’Agostino, nel Commento al salmo 54 (precisamente al numero 19), afferma: «In molte cose [di fede] concordano con me; in alcune con me non concordano; ma per quelle poche cose in cui non convengono con me a nulla serve loro essere con me d’accordo in molte».
Ma ci può essere anche un significato corretto di “essenzialità”. Cioè tornare al Catechismo. Tornare al Credo. Evitando tutti i contorsionismi teologisti (attenzione: non dico “teologici” ma “teologisti”). Insomma, evitando non la corretta teologia, che è a servizio del Magistero e della Tradizione, ma il teologismo intellettualista che finisce col trasformare la chiarezza della verità in prospettive ideologiche atte a rendere il dato rivelato e la Tradizione in funzione del “magistero” della storia e delle mode. Tornare al Catechismo vuol dire soprattutto due cose. Primo, capire che la Verità è stata, è e sarà sempre… e non potrà mai cambiare, né tantomeno potrà essere suscettibile di contraddizioni o di “ermeneutiche” capaci di negare la contraddizione quando essa esiste ed è evidente. Secondo, valorizzare la dimensione popolare della fede. Riscoprire la devozione dinanzi alla quale certa teologia contemporanea alza snobisticamente il naso. Riscoprire il sensus fidelium. Prendere le distanze da un adultismo della fede che si riduce ad un costruirsi un Cristo a proprio uso e consumo.
È per questo che abbiamo fiducia in Papa Francesco. Abbiamo fiducia che, rendendosi docile alla grazia di stato conferitagli dal primato petrino, saprà andare alle logiche conseguenze di queste sue due belle affermazioni.
Abbiamo fiducia che sarà un papa buono … ma non buonista, povero … ma non pauperista, semplice … ma non semplicista.
Corrado Gnerre
(Fonte: IL GIUDIZIO CATTOLICO.com)