E' sempre la somma che fa il totale
Totò amava dire: «È sempre la somma che fa il totale». Una frase che non sembra affermare nulla, fastidiosamente lapalissiana, che dice una banalità, qualcosa di scontato... eppure esprime un dato a cui non sempre si pensa.
C’è spesso una distanza tra ciò che è consolidato nel buon senso e ciò che invece guida la vita e la mentalità degli uomini. Se gli uomini vivessero sempre secondo ciò che è razionalmente evidente, tanti problemi non ci sarebbero; la questione è invece che l’uomo tende a dimenticare l’evidenza delle cose per convincersi di ciò che gli fa più comodo e quindi strutturare la sua esistenza proprio su ciò che immagina e non su ciò che riconosce. Ma Totò giustamente dice: «È sempre la somma che fa il totale». Per dire: è inutile che ci si illude, si può pensare quello che si vuole, si può immaginare tutto e il contrario di tutto... ma alla fine è sempre la realtà delle cose che viene fuori e da questa nessuno può prescindere.
Il “totale” si fa dopo; prima si mettono in colonna le varie cifre e poi si sommano, si tira la linea e zac... si calcola il totale; totale che raccoglie tutte le cifre precedenti, nessuna esclusa. La vita è così, non altro... anzi, visto che stiamo parlando di calcoli: la vita è così, né più né meno. Possiamo lavorare di fantasia, intraprendere voli pindarici, immaginare il possibile e l’impossibile, ma è così: né più né meno... perché è sempre la somma che fa il totale.
La vita è il tempo che trascorre, ma per andare dove? E qui sta il punto. O il tempo è indirizzato verso l’eternità oppure verso il nulla; da qui non si scappa, oltre queste due possibilità non ve ne è una terza.
L’uomo di oggi tende a costruire la sua vita sulla seconda possibilità, credendo cioè che tutto sommato il tempo è uno scorrere senza senso e che alla fine si chiuderanno gli occhi definitivamente per naufragare nel nulla assoluto. Certo, sul piano teorico, l’uomo di oggi riconosce ancora un senso, forse si crede ancora convinto che ci sarà una vita dopo la morte; ma praticamente agisce come se così non fosse; è quell’ateismo pratico di cui si sente tanto parlare: vivere come se Dio non esistesse.
Ma – diciamocelo francamente – il tempo o è apertura all’eternità o è una sorta di maledizione. Se si va verso il nulla, se il tempo è uno scorrere di attimi che avvicinano all’abisso, noi, ad ogni anno che passa, dovremmo scambiarci le condoglianze e non gli auguri. È passato un altro anno, che bello! Ma perché? Che senso ha? Dobbiamo essere allegri perché ci avviciniamo al dissolvimento? Ma siamo seri.
Altra cosa è se ci convinciamo di ciò che è invece evidente sul piano razionale e cioè che il tempo non è indirizzato verso il nulla bensì verso l’eternità; che la nostra vita non finirà, che ci potrà attendere una pienezza di cui abbiamo avuto sentore nella vita terrena ma che poi si potrà incontrare pienamente solo nella vita ultraterrena, che dovremo rendere conto di tutto perché... è sempre la somma che fa il totale.
Buon senso imporrebbe che a maggior ragione i cattolici siano testimoni di questa convinzione, siano chiari segni di questa speranza... e invece non sembra proprio così. Certo non siamo proprio ai livelli del reverendo protestante Klaas Hendrikse che amministra il servizio domenicale nella chiesa olandese di Gorinchem e che sostiene non solo che Gesù non sia veramente risuscitato ma che non ci sarebbe vita dopo la morte; dicevo: non siamo proprio a questi livelli che sembrano sfiorare il piano della dissociazione psichiatrica, ma ci andiamo molto vicini.
La preoccupazione dominante oggi in molti cattolici è solo la soluzione dei problemi di questo mondo e pochi parlano che prima di tutto bisogna guardare all’altro mondo se si vuole migliorare questo. I santi insegnano che bisogna guardare il Cielo per capire la terra; oggi non è che si sente predicare il contrario (bisogna guardare la terra per capire il Cielo), né si afferma che la terra si capisce con la terra, si arriva addirittura ad affermare che meno si pensa al Cielo più si capisce la terra. Il teologo, sedicente “cattolico”, Vito Mancuso scrive nel suo L’anima e il suo destino: «Il principale obiettivo di questo libro consiste nell’argomentare a favore della bellezza, della giustizia e della sensatezza della vita, fino a ipotizzare che da essa stessa, senza bisogno di interventi dall’alto sorga un futuro di vita personale dopo la morte». Dunque, se le parole hanno un senso, l’uomo salva se stesso; il che vuol dire che la terra si capisce con la terra e che “guardare il Cielo” sarebbe una sorta di optional, c’è o non c’è fa lo stesso... anzi meglio che non c’è.
Don Divo Barsotti lo aveva compreso bene: «La Chiesa da decenni parla di pace e non la può assicurare, non parla più dell’inferno e l’umanità vi affonda senza gorgoglio. Non si parla del peccato, non si denuncia l’errore. A che cosa si riduce il magistero? Mai la Chiesa ha parlato tanto come in questi ultimi anni, mai la sua parola è stata così priva di efficacia. “Nel mio nome scacceranno i demoni...”. Com’è possibile scacciarli se non si crede più alla loro presenza? E i demoni hanno invaso la terra. La televisione, la droga, l’aborto, la menzogna e soprattutto la negazione di Dio: le tenebre sono discese sopra la terra. [...]. Forse la crisi non sarà superata finché, in vera umiltà, i vescovi non vorranno riconoscere la presunzione che li ha ispirati e guidati in questi ultimi decenni e soprattutto nel Concilio e nel dopo-Concilio.
Essi, certo, rimangono i “doctores fidei”, ma proprio questo è il loro peccato: non hanno voluto definire la verità, non hanno voluto condannare l’errore e hanno preteso di “rinnovare” la Chiesa quasi che il “loro” Concilio potesse essere il nuovo fondamento di tutto».
Corrado Gnerre
(Fonte: dalla rivista IL SETTIMANALE DI PADRE PIO)