Il paradosso della Grotta
A Natale si contempla il paradosso della grotta, ovvero di un Dio Signore dei Cieli e della Terra che si è fatto Uomo piccolo, nascosto e protetto nel grembo santissimo di Maria, senza guardie del corpo né sontuosi troni regali. Il pagliericcio pregno di umori animali fa da cuscino al suo capo sotto lo sguardo tenero e apprensivo di San Giuseppe: così indifeso, così incapace se non di piangere, è un Dio che si affida alle cure terrene dell’uomo come un qualsiasi bambino.
Come ricorda suggestivamente Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) nel saggio Uomo eterno, il bambino Gesù riassume lo scherzo paradossale di un Dio le cui mani che avevano fatto il sole e le stelle erano troppo piccole per arrivare alle grosse teste degli animali (il bue e l’asinello nell’iconografia ideale del presepe). Come è potuto accadere questo? Come questo mistero incarnato sia potuto passare attraverso un mirabile e santo Fiat di una Sua creatura? Difficile penetrare ed esaurire razionalmente questo potente mistero: la ragione, senza tuttavia smettere di argomentare, non può che farsi illuminare dalla luce della fede come una fiaccola in una caverna a Betlemme portata innanzi dagli umili pastori. Un Dio così umile, così infinitamente piccolo rivela in questo modo strabiliante la Sua grandezza e propone così, in questo modo apparentemente banale e semplicemente terreno, la Sua àncora di salvezza. Non è così naturale ed immediato, se non con l’avvento di Gesù, mettere in relazione Dio con un infante. Faceva notare ancora Chesterton che l’onnipotenza e l’impotenza, la divinità e l’infanzia, formano in definitiva una sorta di epigramma che un milione di ripetizioni non farà diventare banale. Non è sragionato chiamarlo unico. Betlemme è superlativamente il luogo in cui gli estremi si toccano.
Noi fedeli cristiani chiediamo a Natale di poter scorgere i tratti di questo Uomo chiamato Cristo e lo chiediamo alla Madre, a Maria con il beneplacito di Giuseppe suo sposo. Molti Santi più degnamente di noi lo hanno chiesto e qualcuno di loro è stato esaudito al punto che la premurosa Madre ha acconsentito di metterLo nelle loro braccia e di poterLo cullare e contemplare. Questo è potuto accadere poiché, citando ancora Chesterton, non potete visitare il figlio senza visitare la madre; non potete, nella comune vita umana, avvicinare il bambino senza avvicinare la madre. Dobbiamo o lasciare Cristo fuori del Natale, o il Natale fuori di Cristo, o dobbiamo ammettere che quelle sante teste son troppo vicine perché le aureole non debbano insieme confondersi e sovrapporre.
Il centro della nostra attenzione, Gesù bambino, assume un angolo visivo più allargato che l’immaginazione cattolica ha colto in ogni particolare presepe: quel piccolo Essere divino nella culla ci fa abbracciare l’intera umanità dei poveri peccatori che implorano in adorazione il perdono e credono in quel potente paradosso avvenuto nella grotta.
Possiamo e dobbiamo aggiungere qualcosa di autentico e di personale nella nostra rappresentazione sacra del presepe poiché noi tutti siamo chiamati a rendere presente quel Santo mistero nella nostra vita. Lo dobbiamo fare con solerzia e solenne tranquillità, consci che quella che sarà la nostra proiezione natalizia avrà una felice ripercussione, un riverbero del Bene che abbiamo ricevuto visitando quella povera stalla, stando davanti a quei piccoli piedi ed a quelle piccole mani che tanto hanno amato il Creato.
Sarà un fantastico e prodigioso incanto che potrà liberare un mondo che si è costruito con l’illusione di poter fare a meno di Lui e che ne ha pagato le tristi conseguenze anche sociali. Gesù bambino, con la Sua divina umanità, ci sorprende ancora ed attende che noi umilmente ci prostriamo ai Suoi piedi per poter cogliere quel Suo Regale abbassamento, aprendoci così alla prospettiva di un vero mondo nuovo. Come espresse efficacemente lo scrittore londinese citato precedentemente: “Cristo non soltanto era nato allo stesso livello dell’umanità, ma anche più basso. Il primo atto del dramma divino non solo non fu recitato su nessun palco posto al di sopra degli spettatori, ma in un oscuro palco col sipario calato … nel Mistero di Betlemme era il cielo che stava sotto la terra”.
In questo straordinario mondo capovolto dove la prospettiva celeste si coglie abbassando umilmente lo sguardo, lo spettacolo della Sacra Famiglia non avviene sul palcoscenico mondano. I Santi Attori di questa Sacra Rappresentazione non si dispongono in alto, sopra i nostri occhi, come in una comune piece teatrale, per ricevere il nostro plauso ammirato. Se ci sediamo, come a teatro, aspettando che il Miracolo di Betlemme venga rappresentato su un palcoscenico attendiamo invano come degli spettatori ingenui e sprovveduti.
La nostra posizione e disposizione d’animo deve essere, come nella prospettiva cristiana del Natale, capovolta. Capovolta come Colui che ha voluto capovolgere il mondo, confondendo i sapienti che attendevano il trionfo del Re sul palcoscenico del mondo. Con lo scrittore di Beaconsfield possiamo ancora affermare il paradosso della caverna che, mentre ci suscita emozioni di una fanciullesca semplicità permette che i nostri pensieri possano abbracciare una complessità senza fine … Il Natale è diventato una cosa, in un certo senso, semplicissima ma, come tutte le verità della tradizione cristiana esso è, in un altro senso, una cosa assai complessa. La sua unica nota è che esso tocca simultaneamente molte note: umiltà, gaiezza, gratitudine, paura mistica, e anche attesa drammatica … C’è in questa divinità sotterranea come un’idea di minare il mondo; c’è in questa strana storia come l’erompere del cielo: d’ora innanzi le idee più alte non potranno agire che dal basso. Apprestiamoci ad assaporare il lieto annuncio facendoci sorprendere come i bambini, lasciandoci confondere dal paradosso della grotta in cui il Re divino ha scelto liberamente di presentarsi al mondo nascondendosi: nascondendosi nelle pieghe delle vesti della Madre, nel mantello del Suo Custode San Giuseppe. Invano sarebbe attenderLo in altro modo, invano sarebbe cercarLo, come nel teatro mondano, su palcoscenici umani dove sarebbe impossibile trovarLo. Il cristiano che, come i pastori o i Magi, cerca qualcosa a Betlemme non dimentica mai che sta combattendo. Proclama la pace in terra, ma giammai dimentica perché ci fu guerra in cielo.
Fabio Trevisan