L'Avvento e l'intolleranza di Dio
L’Incarnazione fu, di fatto, un gesto di colossale intolleranza da parte di Dio, e con ciò intendo dire che fu un gesto d’amore incommensurabile. Do ci ha amato al punto da non volerci veder morire nel peccato. È stato intollerante verso la nostra schiavitù ed è nato in mezzo a noi con lo scopo specifico di fare qualcosa di risolutivo in proposito.
Mi rendo conto che usare la parola intolleranza è rischioso, perché non aiuta, ma rievoca alla mente immagini di odi religiosi e razziali o gli spettri di oscuri moralizzatori che giudicano i propri vicini. In più, ci si può chiedere se una parola così avvelenata possa essere usata in modo appropriato per suggerire una caratteristica di Dio. Lui, dopo tutto, è pieno di misericordia e lento all’ira.
Ma dobbiamo ricordarci che sia l’Antico che il Nuovo Testamento parlano di tempi in cui la giustizia di Dio dovrà agire, perché Egli non permetterà che il male divori ogni cosa. I primi cristiani sperimentarono sulla propria pelle che il peccato comportava la morte sia per la vita fisica che spirituale. Molti di essi si convertirono dal paganesimo: avevano visto gli effetti di ciò che la menzogna aveva prodotto nelle loro menti, nei cuori e nella carne. Essi erano coscienti di essere stati salvati grazie all’intolleranza di Dio nei confronti della loro schiavitù: una liberazione pagata con la sottomissione ad una morte straziante e umiliante. Essi esultarono per la gloriosa e sconvolgente buona novella che Cristo era reale. Non era una mera astrazione teologica o solo una divinità in più in un mondo già saturo di idoli. Era l’unico, vero Dio ed era la vita! Questa coscienza è scomparsa nella nostra epoca, in parte perché la maggior parte delle persone non si sente più minacciata dal male, dalla possibilità di una schiavitù individuale a forze invisibili, o di un servilismo alla propria natura corrotta. E non prende neppure in considerazione per un momento che uno stato pagano possa un giorno riabilitare una forma esteriore di schiavitù (sebbene, senza dubbio, attribuendole un nome più allettante). [...]
Il compito del cristiano è quello di riscoprire una ferma dedizione alla Verità e di mostrare come essa sia legata a un amore premuroso del proprio vicino. Nel senso profondamente cristiano della tolleranza noi dobbiamo amare l’individualità di ciascuno e di tutti i singoli essere umani. Ma questo non significa che dobbiamo rimanere muti e paralizzati di fronte ad azioni e idee che ci uccidono (e uccidono anche chi le predica). Non è questa la carità cristiana. Abbiamo il diritto e il dovere di proclamare la verità in modo semplice, chiaro e indomito, senza nutrire rancori personali o compiere gesti di condanna, ovunque la falsità irrompa nella vita delle nostre famiglie. Abbiamo inoltre il diritto e il dovere di impegnarci a fondo per sconfiggere qualunque forza sociale o politica voglia imporre la menzogna nei nostri paesi. [...]
Se l’amore per la verità è debole o assopito dentro di noi, allora possiamo facilmente perdere la capacità di riconoscere quei momenti in cui è messa alla prova la nostra capacità di scegliere tra la verità e la menzogna. Se non riconosciamo questi momenti, allora inevitabilmente abbasseremo la guardia. Come possiamo ridestarci?
Il rimedio è esattamente quello che c’è sempre stato: aprire le porte dei nostri cuori a Gesù Cristo, vivere il Vangelo senza compromessi, amare la Chiesa che è il corpo mistico di Cristo, vivere in pienezza la nostra fede cattolica e pregare per il ridestarsi dell’Amore e per il rinvigorirsi della Verità nelle nostre comunità, chiese, famiglie e in noi stessi.
Cosa ci blocca? Cosa ci tiene serrate le porte del nostro cuore? Se dovessi scegliere un’immagine la chiamerei l’età del rumore. Le tensioni generate in noi da questa innaturale condotta di vita ci spingono a cercare sempre nuove vie di consolazione, che la società si premura di non farci mancare attraverso un’infinita gamma di divertimenti e illusorie vie di fuga, lasciando in noi un vuoto ancora più incolmabile. Anche noi cristiani patiamo queste situazioni e non meno dei non credenti. Il clamore delle nostre ansie, le nostre aspettative per una vita di ragionevole successo, la nostra paura di combattere, la nostra confusione, le nostre scaramucce con i sette peccati capitali ed un sacco di altri mali minori.
E c’è sicuramente anche la voce della coscienza che ci accusa, che ci sussurra nelle orecchie qualcosa riguardo ai nostri peccati e alle nostre mancanze. Ma noi mettiamo velocemente da parte questa voce! …sotto il peso di una schiera così folta di pressioni interne ed esterne, ci risulta assai difficile riuscire a discernere la colpa oggettiva insita nella nostra natura corrotta e ad aprirci al potere salvifico di Gesù Cristo. E poi il solo pensiero di affrontare il potere dell’intero pensiero dominante con le nostre sole forze è scoraggiante e piuttosto estenuante. Sopraffatti, veniamo fuorviati e ci accontentiamo di qualcosa di meno pretenzioso, e che si mostra come una fede più “compassionevole” e più “tollerante” di quella che la cristianità ha portato avanti negli ultimi venti secoli. Possiamo convincerci che questo è ciò che si chiama progresso. Possiamo rassicurare noi stesi costatando che un gran numero di gente la pensa come noi. Possiamo anche citare discutibili teologi per giustificare i nostri compromessi …quindi, ritenendo di essere diventati le persone più libere del pianeta, diventiamo collaboratori di una rivoluzione sociale mortale.
Questa particolare rivoluzione sociale promuove una definizione dell’essere umano tragicamente striminzita e l’ha fatto attraverso tutti i canali dello stato moderno e con il genio dei moderni sistemi di comunicazione. Ha creato una nuova coscienza nella gente, la cui caratteristica più irritante è la piena disponibilità a non opporre resistenza al male, sebbene poi molti mali siano oggi intesi come bene e il bene sia chiamato col nome di male.
Come schiavo ben pasciuto, l’uomo contemporaneo ha accettato una definizione che ha drasticamente ridotto il valore della sua vita. Ha accettato una confortevole schiavitù come fosse il suo premio. Ma nel momento in cui la profonda ferita interna che si genera dando credito a questa bugia comincia a dolere, ecco che l’uomo è posto di fronte a una scelta. Può dare ascolto al dolore della ferita e imparare da ciò, o potrà alzare il volume del rumore, aumentare la velocità e la quantità di consumo per far finta di non sentirla. [...]
Non dobbiamo annuire e sorridere in modo tollerante se l'uomo si riempie la bocca delle vecchie e trite bugie di cui è stato imbottito dalla nostra società. La nostra intolleranza verso la menzogna sarà questione di vita o di morte. [...]
Il silenzio è la casa naturale della verità. La preghiera è il luogo adatto per vedere rettamente le cose. Dobbiamo pregare e pensare bene al ritmo di vita che stiamo tenendo, un galoppo disperato che ci trascina verso una fine incerta. Dobbiamo aver cura di prenderci questi momenti di pace per noi stessi!
Michael D. O'Brien
(Fonte: dal libro L'ATTESA. STORIE PER L'AVVENTO - ed. San Paolo)