Intervista a ROBERTO DE MATTEI
La Corsia dei Servi intervista il prof. Roberto de Mattei*
1 Partiamo dalla sua estromissione da Radio Maria motivata, a detta del direttore padre Livio Fanzaga, da una posizione critica sempre più accentuata nei confronti del Pontificato di Papa Francesco. Le è stato contestato di non mettere la sua grande preparazione culturale al servizio del Successore di Pietro (eppure ha scritto anche un libro sul Papa: Vicario di Cristo, edito da Fede&Cultura). Al fine viene motivata la sua esclusione per incompatibilità con le finalità di Radio Maria che sono quelle di adesione al Magistero della Chiesa e al sostegno all'azione pastorale del Papa. In altre parole par di capire, leggendo il tenore letterale dal tono piuttosto forte, che Lei non viene più ritenuto, dal direttore di Radio Maria, in linea con quanto professa il Magistero della Chiesa cioè "non sente cum Ecclesia". Di fatto queste sono le stesse motivazioni addotte per estromettere dalla Radio anche Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro. Lei quale spiegazione si è dato a tali provvedimenti?
Ho collaborato per quattro anni a Radio Maria, su invito di padre Livio, conducendo la rubrica mensile “Radici Cristiane”. Più di una volta mi è capitato di essere oggetto di attacchi da parte dei media laicisti, ma ho sempre avuto il pubblico sostegno di padre Livio. Non ho mai criticato il Papa nella mia trasmissione e, come Lei ricorda, sono autore di un libro dal titolo Vicario di Cristo. Il Papato tra normalità ed eccezione in cui esprimo tutta la mia devozione senza riserve verso l’istituzione pontificia. Le ragioni del mio allontanamento da Radio Maria, giustificate da presunte critiche al Papa, mi sono ancora oscure. Forse alcune mie iniziative, come la raccolta di firme a sostegno dei Francescani dell’Immacolata, non sono piaciute a certi vertici ecclesiastici, che hanno chiesto a padre Livio la mia testa, dopo quella di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, giudicandoci troppo “indipendenti” dal nuovo corso ecclesiale. Ritengo invece che, come cristiani battezzati, abbiamo il dovere di esprimere, con il dovuto rispetto, tutte le perplessità, i dubbi e gli interrogativi che suscitano in noi certe scelte delle autorità ecclesiastiche. L’obbedienza ha i suoi precisi limiti e non è mai servilismo. E’ stato proprio Papa Francesco, lo scorso 4 luglio a Santa Marta, a dire che se esistesse una «carta d’identità» per i cristiani, certamente la libertà figurerebbe fra i suoi tratti caratteristici.
2 E' curioso notare che a chi si professa legato alla Tradizione e, di conseguenza, alla salvaguardia della Messa tridentina, gli viene subito tolto il diritto di cittadinanza nell'aere cattolico quasi fosse un sovversivo, un piantagrane, un eretico persino. Contro costoro nessuna pietà e ne è la prova, ad esempio, quanto accaduto ad un Ordine tra i più fiorenti e in ascesa come quello dei Francescani dell'Immacolata, ora caduti in disgrazia per il solo voler orientare la loro spiritualità verso il Rito antico e per essersi posti in maniera critica a proposito del Concilio Vaticano II. Cosa ne pensa?
Questo atteggiamento caratterizza il nuovo corso della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II. Da una parte, in nome della misericordia e del dialogo con i fratelli lontani, si predica la fine dell’epoca delle condanne e degli anatemi. Dall’altra parte, si esercita il pugno di ferro nei confronti di quei fratelli vicini che non vogliono discostarsi dalla Tradizione immutabile della Chiesa. Il caso dei Francescani dell’Immacolata fa riflettere. Nella tragica epoca post-conciliare i seminari si vuotano, le case religiose e i conventi vengono messi in vendita, le vocazioni crollano, ma nessun provvedimento viene preso. Se invece un istituto religioso, vivendo la teologia, la spiritualità e la liturgia tradizionale, aumenta il numero dei suoi componenti e delle sue case, viene duramente colpito. La Congregazione dei religiosi vuole la distruzione dei Francescani dell’Immacolata, perché un ordine religioso che fiorisce in seguito alla sua fedeltà alla Tradizione è per i progressisti uno scandalo.
3 A proposito del Concilio Vaticano II, nonostante le attese e le speranze di tanti, l’epoca che lo seguì non rappresentò per la Chiesa una «primavera» ma, come riconobbero lo stesso Paolo VI e i suoi successori, un periodo di crisi e di difficoltà. Eppure la Chiesa postconciliare lo considera come un dogma inattaccabile, come se la Chiesa fosse alla prese con un nuovo inizio, una nuova vita. Con il suo libro Il Concilio Vaticano II, una storia mai scritta (edito da Lindau) ha riportato una rigorosa ricostruzione di quell’evento... In estrema sintesi qual è la giusta chiave di lettura di quanto è accaduto nella Chiesa con il Vaticano II?
Il contributo che ho voluto dare con il volume Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, pubblicato dall’Editore Lindau non è quello del teologo, ma dello storico. Voglio dire che non mi interessa il dibattito ermeneutico sul Vaticano II e lascio ai teologi il giudizio sulla continuità o discontinuità dei testi conciliari con la Tradizione della Chiesa. Quale che sia il giudizio sui documenti del Concilio, il problema di fondo non è quello di interpretarli, ma di comprendere la natura di un evento storico che ha segnato il Ventesimo secolo e il nostro. Dal punto di vista storico il Concilio Vaticano II rappresenta un insieme, che comprende il suo spirito e i suoi documenti, ciò che accadde nell’aula conciliare e l’atmosfera culturale e mediatica in cui le discussioni si svolsero. Comprende le sue radici e le sue conseguenze, le sue intenzioni e i suoi risultati. E’ un evento. Il Concilio dei testi non può essere separato da quello della storia e il Concilio della storia non può essere separato dal postconcilio che ne rappresenta la realizzazione. La pretesa di separare il Concilio dal post-Concilio è altrettanto insostenibile di quella di separare i testi conciliari dal contesto pastorale in cui furono prodotti.
Oggi c’è la tendenza a fare del Concilio Vaticano II un “superdogma”: l’espressione è dell’allora cardinale Ratzinger. Un po’ come accadeva negli anni Settanta con il mito della Resistenza. La Resistenza, scriveva Augusto Del Noce, cessa di essere un elemento da situare nella storia per diventare la misura della valutazione della storia. Ciò che ieri era, in campo politico, la Resistenza, è divenuto il Concilio Vaticano II: un evento che diviene la misura di valutazione della storia della Chiesa. Dobbiamo operare per fare crollare questo mito.
4 Oggi vi è la convinzione che ci si possa ritenere cattolici qualsiasi cosa si pensi e si faccia. Sicché non viene più percepita una morale oggettiva, una verità che è al di sopra dell'uomo, ma tutto è soggettivo e relativo dove ognuno, in estrema sintesi, concepisce la libertà come il poter fare ciò che gli pare. Per un cattolico che vive immerso in una visione della vita siffatta si fa ancora più difficile testimoniare la verità, immerso com'è in una società sorda e che ha preso una strada diametralmente opposta a quella indicata dai Dieci Comandamenti. Come riuscire concretamente a vivere una vita di testimonianza cristiana? Qual è il compito oggigiorno che si richiede a chi si professa veramente cattolico?
E’ nota la frase con cui lo scrittore francese Paul Bourget conclude il suo romanzo Il demone meridiano (tradotto in Italia dall’editore Marco Solfanelli): “Bisogna vivere come si pensa, se non si vuole finire col pensare come si vive”. Questa frase contiene una profonda verità. Se la vita non si conforma al pensiero, è il pensiero che si conforma alla vita. Ma per vivere bene, occorre prima di tutto pensare bene. La vita deve essere coerente con le idee, ma le idee devono essere a loro volta coerenti con i grandi principi metafisici e morali che regolano la vita umana. Per questo bisogna essere uomini di principi, perché il mondo si regge su princìpi e i princìpi e le leggi su cui si regge il mondo hanno il loro centro e il fondamento, in Dio primo principio e prima causa di tutto ciò che esiste. Ciò che vale per i singoli uomini vale per le società umane e anche per quella società umano-divina che è la Chiesa. Nel corso della storia è capitato che i cristiani, nella loro vita personale, si allontanassero dalle verità e dai precetti della Chiesa. Sono le epoche di decadenza, che esigono una profonda riforma, ovvero un ritorno all’osservanza dei princìpi abbandonati. Se così non accade, c’è la tentazione di trasformare i comportamenti immorali in princìpi opposti alle verità cristiane. Questa tentazione è penetrata oggi nella Chiesa e ci viene proposta attraverso la formula della “prassi pastorale”. Significative a questo proposito sono le recenti dichiarazioni del cardinale Walter Kasper in materia di morale coniugale. Poiché “tra la dottrina della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia e le convinzioni vissute di molti cristiani si è creato un abisso”, secondo il cardinale bisognerebbe adeguare la dottrina e la disciplina della Chiesa alle situazioni di fatto in cui oggi vivono molti cristiani, a cominciare dai divorziati risposati. Sono i princìpi a doversi adeguare al comportamento dei cristiani e non la loro condotta a conformarsi ai princìpi. Si deve pensare come si vive, e non vivere come si pensa. Il criterio ultimo della verità diviene la realtà sociologica. La dottrina cristiana si dissolve nella prassi.
Il nostro compito è invece quello di professare e vivere la verità del Vangelo, amando e osservando la legge che Dio ci ha dato. Questa legge non è estrinseca a noi, ma è incisa nella nostra coscienza. Nella pratica e nella difesa della legge divina e naturale si manifesta il nostro amore a Dio e al prossimo e la nostra vita si realizza pienamente.
5 Purtroppo il valore e la conoscenza del passato (della storia) per comprendere il presente è quasi del tutto sottovalutato e trascurato. Così si corre il rischio di prendere per oro colato quanto ci viene proposto o presentato come vero, senza preoccuparsi di verificarne la veridicità. Ma senza porsi domande, senza il desiderio di ricerca del vero, senza la fatica di investigare e informarsi, si possono rischiare grandi abbagli. Si corre il rischio di dare credito a chi ci propina come verità ciò che verità non sono. E questo anche in ambito religioso. E' d'accordo con questa analisi?
La necessità degli studi storici deve essere compresa soprattutto dai cattolici. Il pensiero cattolico del Novecento annovera grandi teologi, grandi filosofi, grandi moralisti, grandi maestri di vita spirituale, ma nessun grande storico. Grande nel senso che unisca alla vastità della scienza e dell’erudizione la pienezza della fede ortodossa. La ragione principale di quest’assenza dall’orizzonte culturale ecclesiastico sta, a mio avviso, nella perdita del senso storico, che è la comprensione delle vicende umane, nelle loro cause e nelle loro conseguenze, da un punto di vista innanzitutto soprannaturale. Al centro della storia non sono, come troppo a lungo si è creduto, i “rapporti di produzione”, e neppure i problemi geopolitici, ma gli atti liberi dell’uomo, sotto la regia della Divina Provvidenza. Lo storico cattolico sa che nulla è irreversibile nella storia e soprattutto che la storia non crea i valori, ma è sottomessa e giudicata da essi. Il pensiero cattolico del Novecento ha fatto propria invece la concezione hegeliana della storia come “Weltgeist”, cammino necessario dello “spirito del mondo” . La storia va avanti e la Chiesa deve accompagnare questo cammino. Occorre che essa adegui il suo linguaggio, i suoi insegnamenti, le sue pratiche religiose al mondo, rispetto a cui è in ritardo di almeno due secoli. E’ questa la concezione della storia espressa dal cardinale Martini quando, nella sua ultima intervista al « Corriere della Sera », ha affermato che la Chiesa “è indietro di 200 anni”, ovvero l’arco di tempo che la separa dall’evento fondatore della Rivoluzione francese. Questa affermazione è tipicamente evoluzionista, perché implica una filosofia della storia, fondata sull’ineluttabilità del progresso sociale, che è parte di un più vasto movimento perfettivo dell’universo.
6 Passiamo al tema dell'evoluzionismo: oggi è molto difficile parlarne, in quanto viene insegnato nella scuole e nei mezzi di comunicazione come un dogma intoccabile scientificamente dimostrato... Dove sta la verità?
L’evoluzionismo è propriamente un nulla. Esso è infatti un insieme composto da una teoria scientifica e da una teoria filosofica. Nessuna delle due si regge da sola. Le due teorie hanno bisogno l’una dell’altra per sopravvivere e si sorreggono a vicenda. La teoria scientifica si basa sul sistema filosofico; la teoria filosofica, per giustificarsi, si fonda a sua volta sulla presunta teoria scientifica. La teoria scientifica presenta come un “fatto” la nascita e la trasformazione dell’universo da una materia primordiale in strutture sempre più complesse, fino alla vita umana. La natura però ci dimostra il contrario. La teoria filosofica, l’“idea”, pretende di spiegare la realtà dell’universo come materia in perenne trasformazione. La ragione, non la fede, ci dimostra anche in questo caso esattamente il contrario. Perciò nell’impossibilità di essere provata dalla ragione la teoria filosofica pretende di fondarsi sul fatto scientifico, che a sua volta presuppone l’idea filosofica secondo cui l’universo non ha altra spiegazione al di fuori della materia.
Qual è la ragione per cui una teoria scientifica nata nell’Ottocento, come è quella darwiniana, è sopravvissuta al crollo dei miti ottocenteschi? La ragione, a mio parere, è semplice. Il relativismo contemporaneo, la filosofia di vita secondo cui non esistono valori assoluti, leggi permanenti, ma tutto cambia, tutto si trasforma, ha il suo fondamento nel dogma evoluzionista, che è l’espressione scientifica o pseudoscientifica del materialismo relativista. Oggi siamo passati dalla dittatura del proletariato alla dittatura del relativismo. Se cade l’evoluzionismo cade il relativismo. Il relativismo ha bisogno dell’evoluzionismo. Il socialismo reale è crollato, con il muro di Berlino, vent’anni fa, ma il suo nucleo dottrinale, il cuore ideologico del comunismo, il materialismo dialettico, è sopravvissuto e il suo nome oggi è evoluzionismo.
Roma, Marzo 2014
*Roberto de Mattei (Roma, 1948) insegna Storia Moderna e Storia del Cristianesimo presso l’Università Europea di Roma, dove è preside dell’ambito di Scienze Storiche. È presidente della Fondazione Lepanto. È membro dei Consigli Direttivi dell’Istituto Storico Italiano per l’Età Moderna e Contemporanea e del Consiglio Direttivo della Società Geografica Italiana.
Tra il 2003 e il 2011 è stato vice-presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche con delega nel settore delle Scienze Umane; Membro del Board of Guarantees della Italian Academy presso la Columbia University di New York (2005-2011); Consigliere per le questioni internazionali del Governo Italiano (2002-2006).
È autore di libri e pubblicazioni tradotte in varie lingue e collaboratore di giornali e riviste italiane e straniere. Dirige le riviste “Radici Cristiane” e “Nova Historica” e l’agenzia di informazione “Corrispondenza Romana”.