Nouvelle Theologie: il ribaltamento
La Nouvelle Théologie – dalla riprovazione alla riabilitazione all’egemonia
L’elevazione al Soglio Pontificio di Angelo Roncalli (1958) porse alla Nouvelle Théologie un’occasione epocale per uscire dalle latomie e prendersi una devastante rivincita sui suoi persecutori.
La mens del nuovo papa era per formazione orientata favorevolmente verso le correnti moderniste.
Giulio Andreotti racconta che il giovane seminarista Roncalli fu amico e condiscepolo di Bonaiuti, incappato successivamente nella scomunica, e di Alfonso Manaresi, che invece abbandonò la veste talare per sottrarsi ai provvedimenti canonici. Con don Giulio Belvederi formavano un ben assortito quartetto infervorato dalle idee moderniste spiranti dall’Europa colta [1]. Da Patriarca di Venezia nel 1949 ricordò ad Andreotti le “fervide battaglie giovanili combattute insieme in una Roma difficile” col suo “grande amico” Giulio Belvederi. Sui primi due compagni, Bonaiuti e Manaresi, si espresse così: qualcuno andò “oltre il seminato” [2]; ma molte delle anticipazioni di allora erano poi divenute feconde realtà (il Concilio avrebbe poi provveduto a costituzionalizzarle).
Uomo di forti passioni, dal 1905 al 1914, Roncalli restò al fianco, come segretario personale, del vescovo di Bergamo Giacomo Radini-Tedeschi (1857 – 1914), che egli venerò come guida e modello per tutta la vita. Per questo non sopportò mai che il suo vescovo avesse subito quella che per lui era un'emarginazione, ossia la mancata consegna del cappello cardinalizio, a causa della sua difesa dei modernisti: in un’intervista del 1959 richiesta e rilasciata a Montanelli (1909 – 2001) [3], Papa Giovanni al sentire il nome di Pio X, e il commento del giornalista ("Ah, il Papa Santo...") “ebbe come un movimento di dispetto, da cui però si riprese subito. Sì , sì - fece - era Santo, era Santo, ma un santo un po' anomalo perché era un uomo triste. E come si può essere tristi quando si ha con sé Dio?"
Professore al Seminario di Bergamo, fu inquisito perché seguiva i testi del Duchesne, incappati nella proibizione canonica. Da Nunzio apostolico manifestò la sua ammirazione di lunga data [4] per Marc Sangnier (1873 - 1950), fondatore del Sillon, movimento che voleva avvicinare la Chiesa alla democrazia laica e le cui tesi erano state condannate da San Pio X con la lettera Notre Charge Apostolique (1910).
Anche la scelta di assumere il nome dell’ultimo papa conciliarista - Giovanni XXIII - potrebbe non essere casuale, come ipotizzò Indro Montanelli [5]. Tale nome pontificale era già stato utilizzato da Baldassarre Cossa durante gli anni in cui resse la Chiesa (1410-1415) con una legittimità sospetta, tanto da essere stato infine catalogato come antipapa. Il Cossa è noto per essere stato l’ultimo esponente del cosiddetto Movimento conciliare, una corrente curiale che considerava il papa inferiore alla Chiesa universale e sosteneva che un Concilio, anche se convocato senza o addirittura contro il papa, non per questo perdeva l’autorità che gli derivava direttamente da Cristo.
I superiori religiosi, fiutando la nuova attitudine romana, si affrettarono a revocare i loro provvedimenti contro i propri esponenti della Nouvelle théologie: i gesuiti reintegrarono de Lubac nell'insegnamento già nel 1958, a ruota i domenicani richiamarono alla docenza Charlier, conferendogli nel 1959 il titolo di “maestro”.
Apertura al mondo
In effetti, non appena eletto, Giovanni XXIII fece capire con le parole e con i gesti di voler cogliere molte delle istanze dei movimenti sorti nei primi decenni del novecento - alcuni dei quali riprovati, altri formalmente condannati - che richiedevano un sostanziale rinnovamento.
Fin dagli anni ’30, egli propugnava l’adattamento delle forme religiose ai nuovi tempi e ai diversi luoghi geografici, con le loro proprie culture.
Sull’onda del suo naturale ottimismo, riteneva che il mondo avesse ripudiato i fatali errori che lo avevano condotto al limite del baratro, e quindi era dovere della Chiesa cambiare e cambiare profondamente il suo atteggiamento verso di esso. Il giorno di Natale 1961, nel suo discorso di convocazione del Concilio Vaticano II, si disse convinto che molti fossero “più disponibili a tener conto delle indicazioni della Chiesa”. (Costituzione Humanae salutis).
L’apertura al mondo, fu ribadita nell’allocuzione inaugurale del Concilio, Gaudet Mater Ecclesia (11 ottobre 1962). Il discorso si apre con un’acrimoniosa reprimenda nei confronti dei “profeti sventura” (siamo al capovolgimento del modo di sentire evangelico: non solo il mondo sarebbe buono, ma sarebbe profeta di sventura chi osasse denunciare la via eventualmente errata che i potenti tracciano e che le moltitudini per conformismo e pavidità sono portate a seguire). Dopo questo preambolo il papa offre alle platee mondiali “la medicina della misericordia” in sostituzione delle “armi del rigore”, giustificando la mancata condanna delle false dottrine con la constatazione (arbitraria) che“oggi gli uomini sembrano cominciare spontaneamente a riprovarle”. Egli porterà a compimento la sua dottrina suggellandola nella sua ultima enciclica con l’affermazione di derivazione personalistica “Non si dovrà mai confondere l’errore con l’errante…; l’errante… conserva in ogni caso la dignità umana” (Pacem in Terris, 1963), in cui è taciuta la distinzione tra dignità naturale e dignità di Figli di Dio elargita dalla Grazia.
La sera di quello stesso giorno, al termine della giornata di apertura del Concilio, il pontefice pronunziò in Mondovisione il discorso sulla luna e le carezze ai bambini, una trasposizione in vernacolo popolare del mutato rapporto col mondo.
L’apertura al mondo discende da una visione della vicenda umana difforme rispetto a quanto insegnato nella Scrittura e dai Santi Padri e ribadito dai precedenti pontefici.
Vi si contrappongono le parole lasciate dal Signore ai suoi apostoli nell'ora suprema (cfr. Gv. 17), sono dissonanti rispetto a due passi di San Paolo:
“Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo” [6]
"Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli... Quale intesa [vi può essere] tra Cristo e Belial, o quale collaborazione tra un fedele e un infedele?” [7].
Il dialogo e le sue implicazioni
Esito logicamente necessario dell’apertura al mondo fu l’instaurarsi di una nuova prasseologia, quella che mette al centro, in luogo della missione ad gentes, il dialogo con chiunque ad ogni costo.
Da allora la Chiesa sembra non riconoscere più che, sul proprio cammino, si possono frapporre, si frappongono e si frapporranno sempre dei “nemici”, coloro che rifiutano con tutte le forze il Regno e il suo Signore. Non essendoci più nemici ma, al massimo, delle pecorelle smarrite, anzi degli erranti portatori di molte verità, viene di fatto resa superflua la funzione della Chiesa come baluardo della Verità in nome di non mai esplicitato (ed ereticale) primato della Carità sul Logos.
Eppure, sebben basato sulla cattolica distinzione tra errore e errante, questo principio non regge. La sua tragicomica conseguenza è infatti che "i cristiani dovrebbero essere tenuti a dialogare e collaborare con Lucifero, il più dotato e il più bello delle creature angeliche, più che con chiunque altro", come ha osservato lo scrittore Eugenio Corti [8].
La concezione del dialogo con l'errante è in sintonia con la teoria cabalistica delle scintille divine, nascoste in ogni uomo, che devono essere, a qualunque costo (anche con il peccato) portate alla luce. Non dunque il Vangelo sarebbe la sola nostra fonte, ma anche i frammenti di rivelazione nascosti negli scritti di socialisti, massoni ecc. e nei testi delle religioni non cristiane. La Chiesa invece di cercare di convertire gli erranti, dovrebbe far proprie le loro istanze, debitamente purificate. Padre Garrigou-Lagrange si chiedeva se le verità parziali fossero tracce (scintille) dello Spirito Santo o non piuttosto le vassalle dell’errore. Infatti, puntualizza ancora il Corti, "la presenza di una verità o di un valore o di una virtù cristiana, nel contesto di un'ideologia anticristiana, lungi dal costituire una piattaforma d'incontro coi cristiani, rafforza la pericolosità di quell'ideologia" [9]. Con questi ragionamenti infatti, il Principe di questo mondo sarebbe il benvenuto nelle agapi ecumeniche. Gli basterebbe pagare un modico prezzo, quello di proclamare una sola delle infinite verità, per ottenere una cattedra nei cortili aperti dal cardinale addetto alla cultura e poter così usare la Chiesa per continuare a vellicare il delirio di onnipotenza dell’uomo, diffondendo miscredenza, ateismo ed empietà.
Apertura e dialogo furono le colonne su cui collocare l’ecumenismo vera architrave del fiammeggiante tempio conciliare, basato su un pensiero ricorrente del pontefice, espresso prima da Patriarca di Venezia e poi da successore di Pietro: “cerchiamo ciò che ci unisce e mai ciò che ci divide”. È un invito a passare sopra alle differenze, certamente apprezzato negli ambienti onusiani e massonici, ma in contrasto con la scienza dei sistemi:: l’unità basata sulle sole forze mondane, senza la spinta della grazia soprannaturale, porterebbe il genere umano dalla varietà all'uniformità, aumentando l'entropia del sistema e riducendone la vitalità.
Posizioni su comunismo e Massoneria
Pio XI considerava il comunismo intrinsecamente perverso (enciclica Divini Redemptoris, 1937). Nel 1949, Pio XII regnante, la Congregazione del Sant'Uffizio pubblicò un decreto con cui dichiarava essere in situazione di scomunica i cristiani che professavano la dottrina comunista, in quanto la loro adesione alla filosofia materialistica e anticristiana equivaleva ad un’apostasia.
Ma Roncalli non fece mai mostra di considerare il comunismo intrinsecamente perverso, né di considerare scomunicati e apostati i suoi sostenitori.
Da Patriarca di Venezia si distinse per il suo caloroso e beneaugurante benvenuto al Congresso del Partito Socialista, che all’epoca era stretto alleato del partito comunista.
Da pontefice inaugurò l'Östpolitik, un cammino politico che i cattolici dei paesi dominati dall’URSS vissero come un tradimento.
Era l’epoca in cui in Unione sovietica imperversava la persecuzione anticristiana. Segretario del PCUS era Nikita Kruscev, il quale aveva tra i suoi programmi la completa ateizzazione dell'Unione Sovietica, da realizzare entro il 1984. Durante il decennio del suo mandato portò a compimento la requisizione degli edifici di culto in Russia: con una legge approvata al Concilio di Zagorsk sotto l’egida del Patriarca di Leningrado Nikodim (nome secolare Boris Rotov), “pioniere del Comsomol” e cripto-agente KGB, ben 15.000 chiese furono distrutte o destinate ad altro uso e i loro pope deportati. Alla fine del mandato krusceviano ne restarono attive solo 5.000. A Mosca ne rimasero aperte tre (!) e solo a beneficio dei diplomatici stranieri.
Riguardo alla Massoneria occorre ricordare che l’inimica vis fu oggetto di reiterate censure da parte dei papi, a cominciare da Clemente XII, con la lettera apostolica In eminenti del 1738. Da allora si sono susseguite 586 condanne, di cui 230 durante il pontificato di Leone XIII che condannò la setta per la sua determinazione a “distruggere dalle fondamenta tutto l’ordine religioso e sociale nato dalle istituzioni cristiane e creare un nuovo ordine a suo arbitrio” [10].
Giovanni XXIII, a differenza dei suoi predecessori, non riteneva l’Istituzione massonica un pericolo per la fede, né l’appartenenza alla setta un ostacolo all’operatività nella Chiesa.
Durante la sua Nunziatura nella capitale francese l’amico del barone Yves Marsaudon, 33° grado, membro della Loggia La Repubblica, una volta nominato Ministro dell’Ordine di Malta, manifestò al nunzio Roncalli la sua perplessità a ricoprire l’incarico, data la sua affiliazione. Il futuro Pontefice lo incoraggiò ad accettare, ed anzi a prodigarsi per il riavvicinamento tra Chiesa e Massoneria.
R. Fabiani ha ricordato che Giovanni XXIII “autorizzò i protestanti, convertiti al cattolicesimo e iscritti alla Massoneria, a restarsene tranquilli nelle logge” [11], benedicendone così la doppia appartenenza.
Risale a Giovanni XXIII la decisione di riformare il Codice di diritto canonico promulgato da Benedetto XV, che prevedeva la scomunica per gli iscritti alle logge.
Papa Roncalli mutò anche la politica ecclesiale verso l’ebraismo. Fu lui a promettere a Jules Isaac (1877 - 1963) la revisione della dottrina cattolica sul giudaismo, revisione portata poi a termine con la dichiarazione paolina Nostra Aetate (1965).
Una religiosità “sobria”
Roncalli non era affatto un semplice, anzi era un nemico della fede dei semplici, rivelandosi anche in questo campo in antitesi con la Tradizione.
Su Maria SS.ma aveva una posizione minimalista: riteneva bastante “ecco tua madre” detto da Gesù Cristo in Croce, riteneva il resto edificante per i devoti, ma irritante e controproducente per gli altri.
Marsaudon ha rivelato che il Nunzio era contrario alla proclamazione del dogma dell’Assunzione.
Divenuto Patriarca a Venezia si oppose ad una petizione popolare che chiedeva l’istituzione della festa di Maria Regina.
La rivelazione di Fatima era incompatibile con la sua concezione del mondo. Nel 1960 Giovanni XXIII lesse il 3° segreto, ne fu turbato e lo seppellì in un cassetto.
Nel complesso gli atti e gli atteggiamenti di Giovanni XXIII, gli sono valsi l’apprezzamento di quelli che un tempo erano nemici della Chiesa, ma anche il favore del potere e del mondo in genere. Già appena eletto, il secondo Giovanni XXIII fu subito acclamato dai media, cattolici e non, come il "Papa buono".
Una definizione di evidente contrapposizione con gli altri pontefici ed in sé antievangelica: il Maestro Divino aveva ammonito il giovane ricco “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo” [12].
il Concilio Vaticano II
La “grande opera” di Giovanni XXIII è stata indubbiamente il Vaticano II, sui cui contenuti torneremo più avanti.
Lo scopo dichiarato del Concilio era quello di “aggiornare la Chiesa”, presentando il cattolicesimo in una forma più adatta ai tempi [13].
L’impostazione denotava una fiducia eccessiva nel mondo e negli uomini, laici e chierici, cattolici e non e nel contempo favoriva il presidio del dibattito da parte della minoranza più agguerrita nell’esigere cambiamenti radicali, quella guidata dai neo-teologi e dai loro epigoni e seguaci.
In effetti, in concomitanza con l’annuncio, furono "risvegliati" e chiamati ad assumere ruoli chiave molti degli esponenti della Nouvelle Théologie, implicitamente condannati da Pio XII con l'Humani Generis.
Rahner peritus (consulente teologo), de Lubac fu nominato membro della Commissione preparatoria. Rahner raggiunse poi de Lubac (e Bernard Häring) nella Commissione teologica, mentre a de Lubac fu Paolo VI a conferire lo stato di peritus. Anche Daniélou, Küng, Chenu e Congar vennero convocati come esperti. Schillebeeckx partecipò invece solo come consulente dei vescovi olandesi e Chenu come teologo di un vescovo del Madagascar.
Tutti costoro formavano un manipolo schierato costantemente contro il Sant’Uffizio e il cardinale Alfredo Ottaviani, prefetto della congregazione.
Serpeggiava nell’assise uno spirito revanscista. Molti dei numerosi periti, a parere di mons. Michele Pellegrino (1903-1986), sono degli ex perseguitati.
Il vescovo Hélder Câmara (1909 – 1999), uno dei padri della teologia della liberazione, vide nel Concilio il trionfo di Teilhard de Chardin: “vedere De lubac è come vedere Teilhard” e ancora “se Teilhard fosse vivo, Giovanni XXIII lo avrebbe chiamato come perito e Paolo VI avrebbe concelebrato con lui”. E de Lubac gli fece eco, definendo Teilhard “discepolo di S. Paolo”.
Come si vede, gli animi sono concitati, febbricitanti nell’ansia di chi sta per intraprendere una grande lotta contro il potere romano. I neo-teologi si sentivano più radicalmente cristiani dei fedeli di un tempo e dell’attuale curia. Avendo fatto proprie tutte le leggende nere della propaganda settaria pensavano che la Chiesa di Gesù Cristo fosse deturpata da incrostazioni medievali, chiusa alla modernità e al progresso, incatenata dal fissismo della filosofia tomista, oppressa da una gerarchia verticistica, aggrappata ad una liturgia fossilizzata, basata su pratiche magico-sacrali, tollerante verso il devozionismo neopagano degli indotti. Autoproclamatisi portatori di una ventata di aria fresca, infuocati dalla nuova Pentecoste, erano convinti che il loro lavoro nel Concilio avrebbe aperto al popolo nuovi spazi, resi possibili dalla vocazione ecumenica e dalla ristrutturazione in senso democratico del sistema Chiesa (sia al suo interno sia per ciò che concerne le sue relazioni con gli altri sistemi).
Ai bollori della concitazione i rivoluzionari seppero affiancare la freddezza dell’astuzia.
L’andamento dei lavori dell’assemblea sinodale fu infatti condizionato dalla minoranza meglio organizzata, costituita dalla massa dei teologi consulenti e dai periti (201 ufficiali e 300 privati), guidati dai leader summenzionati. Molti Padri conciliari si sono comportati più da portavoce dei loro periti che da successori degli Apostoli, delegando loro il compito di guidare la riforma della Chiesa, tant’è che da alcuni il Vaticano II è stato definito il Concilio dei "Periti" o dei “Teologi” più che dei Vescovi.
Il cardinale Giuseppe Siri (1906 – 1989) denunciò le attività di un gruppo molto potente che, organizzatosi tramite riunioni previe, influenzò, sin dall’avvio, la composizione delle commissioni conciliari.
Romano Amerio ha accusato i testi del Vaticano II di circiterismo, vale a dire di uso ambiguo ed equivoco dei vocaboli: il fatto rilevante è che il circiterismo fu imposto intenzionalmente in modo sleale per nascondere i filosofemi modernisti dietro un linguaggio allusivo non privo di ambiguità, affinché l’ermeneutica postconciliare potesse poi rubricare le idee che premevano alla corrente novatrice.
Durante la seconda sessione del Concilio, nel 1965, Schillebeeckx manifestò ad uno specialista della Commissione di Teologia la sua irritazione nel vedere che in uno degli schemi riflettesse il punto di vista moderato, mentre egli propendeva per una formulazione più chiaramente liberale [14]. Lo specialista gli avrebbe risposto: “Ci esprimiamo in modo diplomatico, ma dopo il Concilio trarremo dal testo le conclusioni che sono implicite in esso” [15]. A onore del teologo olandese, va detto che Schillebeeckx qualificò questa tattica come sleale, che per ottenere i risultati non si faceva scrupolo di usare l’inganno.
Hans Küng, sfruttando il tenore ambivalente di certi testi di cui era ispiratore, ne prevedeva platealmente una interpretazione personale ed eterodossa.
Yves Congar che era deciso a tutto pur di rimettere in circolazione le idee che da 400 anni Roma aveva cercato di eliminare giudicava Küng un rivoluzionario troppo impaziente e, a differenza di lui, era molto attento a non destare sospetti di complotti eversivi. Yves Congar era un accanito avversario di quello che lui considerava l’ultramontanismo romano (equivalente francese dell’epiteto usato dagli inglesi nei confronti dei cattolici, papismo). Da perito conciliare tre giorni dopo l’inizio del Vaticano II si espresse così: "Non c'è nulla di decisivo da fare nella Chiesa Cattolica fino a che non abbandonerà le sue pretese di signoria anche temporale. C'è bisogno di distruggere tutto questo. E questo andrà fatto" [16]. Una delle opere cui si dedicò con sollecitudine fu volta ad impedire nuove enunciazioni dogmatiche su Maria SS.ma, un’altra fu mirata ad evitare la stesura di un testo dedicato alla Vergine Santa [17].
Sembra proprio che “il proposito deliberato degli autori sia stato quello … di resuscitare errori già condannati, di derogare la fede e l’autorità di quei decreti che avevano espresso le condanne” (Pio VI, bolla Auctorem fidei, 1794, a condanna del Sinodo diocesano di Pistoia del 1786). Lo stesso Pio VI denunciò “l’arte maliziosa propria degli innovatori”, che “si adoperano per coprire sotto fraudolenti giri di parole i lacci delle loro astuzie, affinché l’errore, nascosto… s’insinui negli animi più facilmente … affermare e negare a piacimento fu sempre una fraudolenta astuzia degl’innovatori a copertura dell’errore” … un tale “incoerente multiloquio … avvolge d’oscuro il vero e, confondendo l’una e l’altra cosa, confessa quello che aveva negato o si sforza di negare quello che aveva confessato”.
In sostanza il circiterismo, tecnica utilizzata da secoli da eretizzanti ed eretici, permise di incistare novità sconcertanti all’interno di documenti che erano, per la loro propria natura, protetti dall’aura magisteriale, e che successivamente furono sigillati da interessati interpreti come opera della Terza Persona della SS.ma Trinità. Ora ripugna alla ragione oltre che alla fede questo sconsiderato appellarsi allo Spirito Santo per proteggere, assieme ai contenuti cattolici, anche ambiguità e tesi extraevangeliche, per di più inserite con mezzucci indegni di un’assise ecumenica.
Con queste premesse (le nomine dei periti e le loro manovre) è palese che lo svolgimento del Concilio e i documenti promulgati dal consesso sono stati pesantemente influenzati da un movimento teologico condannato da Pio XII come ereticale.
Segnaliamo alcune delle tesi della Nouvelle Théologie ripescate nei documenti conciliari.
Un punto è la relegazione del tomismo ad un ruolo paritetico con altre filosofie.
Come afferma il teologo progressista belga Jürgen Mettepenningen [18]: la tempesta al cui centro si era trovato Charlier, criticato per anni a causa del suo antitomismo, si è del tutto placata col Vaticano II, grazie alla “detronizzazione del tomismo chiuso a favore di un tomismo aperto e orientato storicamente” [19]. Il che significa che il Vaticano II ha mantenuto un ossequio puramente nominale alla teologia di San Tommaso. Identica l’opinione del progressista Ted Mark Schoof O.P.: "La goccia sulla roccia è riuscita a fare qualcosa. Il cambiamento è avvenuto dal magistero nel sostenere finalmente l'orientamento dei teologi rinnovatori e nel rinunciare, durante il Concilio Vaticano II, al contratto esclusivo con la Scolastica… la terminologia Scolastica, considerata da tanto tempo come ovvia, è stata sostituita con espressioni prese della Bibbia, dai Padri e dal pensiero moderno… Il decreto Optatam Totius sulla formazione sacerdotale considera la teologia biblica come la base ed il pensiero moderno come importante mezzo ausiliare dell’educazione, e limita il riferimento alla Scolastica ad un semplice sotto il magistero di San Tommaso” [20].
Un altro successo, seppur parziale, i cospiratori, a detta di Siri, lo hanno ottenuto con la loro lotta per “sminuire, o fors’anche negare, il primato del Papa” [21]. In effetti Chenu ha scritto che il Vaticano II, con le due dottrine “popolo di Dio” e “collegialità episcopale”, aveva avviato “la nuova morfologia del Papato, cioè: il modo democratico del Papato come servizio”.
Quanto alla collegialità episcopale, i novatori ottennero importanti riconoscimenti di principio. Il cardinale austriaco Franz König (1905 – 2004) esultò: "Le vecchie distinzioni tra Chiesa docente e Chiesa discente, tra quella che comanda e quella che obbedisce, hanno cessato di esistere" [22]. Si noti che su questi riconoscimenti di principio, 50 anni dopo, gli epigoni dei NT ancora fanno leva per esigere la definitiva realizzazione della collegialità (e il conseguente smembramento del Corpo di Cristo) [23].
Se questi sono stai i passi in avanti, timidi a detta degli impazienti, vi è stato chi, da modernista realista, ha manifestato il suo giubilo per il contenuto di alcune costituzioni e decreti.
Congar salutò la Dei Verbum, come fosse la vittoria della Riforma e di Lutero sulla Controriforma e sul Concilio di Trento.
Riguardo alla Dignitatis humanae lo stesso Congar ha dovuto ammettere: “non si può negare che la DH dica materialmente altra cosa dal Sillabo del 1864 e anche più o meno il contrario” [24].
La Gaudium et spes fu definita dal futuro Benedetto XVI a “una revisione del Sillabo di Pio IX, una sorta di contro-sillabo” [25].
Sempre padre Schoof esulta: “Nella Costituzione sulla Chiesa Sacrosanctum Concilium, troviamo il popolo di Dio in continuo avanzamento attraverso la Storia, guidato dai ministri uniti collegialmente, come simbolo di una umanità in ricerca della unità” [26]. Si osservi che la definizione della Chiesa come “popolo di Dio”, nel venir incontro alle istanze di democratismo, ha di fatto seppellito nell'oblio la definizione evangelica e tradizionale della Chiesa come Corpo Mistico di Cristo.
Il decreto Unitatis Redintegratio, a parere di Schoof conferma espressamente “l’ecclesialità delle confessioni non unite a Roma”, ecumenicamente accentuando “la relativizzazione delle esperienze religiose” [26].
V’è anche chi ha esultato per i silenzi. Rahner racconta con compiacimento la decisione di tacere gli errori e i crimini del comunismo: “una minoranza militante nel Concilio, priva di tatto e di sensibilità politica, non ebbe successo nell’ottenere che il Concilio nominasse esplicitamente e condannasse di nuovo una particolare espressione politica dell’ateismo”.
Quanto al giudizio complessivo, accanto a chi, ad esempio il vaticanista Giancarlo Zizola (1936 – 2011), ha accolto in maniera affranta l’esito finale, vi fu chi ha apertamente inneggiato alla svolta.
Schillebeeckx ha sancito la vittoria ottenuta dalla NT: "Il Vaticano II è stato una specie di conferma di quello che i teologi avevano fatto prima del Concilio: Rahner, Chenu, Congar e gli altri [...] ch'erano stati condannati, allontanati dalle cattedre d'insegnamento, mandati in esilio, [è stata] la loro teologia che ha trionfato nel Vaticano II" [27].
Il suo duplice confratello, il cardinale belga Joseph Suenens (1904 – 1996), definì il Concilio "il 1789 portato all'interno della Chiesa". Congar, al solito più avanzato, lo definì con giubilo “la Rivoluzione d’ottobre della Chiesa”.
Il barone Marsaudon, nel suo libro sull’ecumenismo dedicato a Giovanni XXIII scrisse queste giubilanti parole, in riferimento al decreto sulla libertà religiosa: “Si può veramente parlare di rivoluzione che, partita dalle nostre Logge, si è estesa magnificamente sotto il Duomo di S. Pietro” [28].
Nel 1975 l’ebreo francese Robert Aron (1898 – 1975) si preoccupò di calmare i bollori: "Il Vaticano II costituisce uno sforzo splendido della Chiesa per riadattarsi al mondo [...] In questo avvenimento considerevole vi è - nel senso migliore del termine - un germe rivoluzionario, ma se tale germe è concepito, non è ancora sbocciato. Se è permesso di paragonare il Concilio ad un'altra Rivoluzione di natura ben diversa, questa Rivoluzione religiosa non è ancora che al suo inizio [...] essa non è che alla notte del 4 agosto 1789" [29].
Dopo il Concilio, nel 1965, Rahner, Congar, Schillebeeckx, Küng con Gustavo Gutiérrez fondarono la rivista teologica progressista Concilium, mentre de Lubac, Danielou, e Ratzinger con Louis Bouyer, su iniziativa di Hans Urs von Balthasar, nel 1972 fondarono la rivista Communio, anche come contraltare alle derive più eterodosse dei progressisti. Alcuni dei pubblicisti delle due riviste sono stati chiamati ai vertici della Chiesa. Paolo VI ha elevato alla dignità cardinalizia Daniélou nel 1969. Giovanni Paolo II ha nominato cardinale de Lubac nel 1983, von Balthasar nel 1988 e Congar nel 1994.
Con questo suggello che emancipa la NT da sospetti di eresia, si constata che il secondo assalto del modernismo è stato coronato infine dal successo. Da allora la NT s’è incistata nei seminari, nelle parrocchie, nelle Università cattoliche, nel Tempio stesso, diventando la teologia più accreditata presso i Pastori.
Per andare al nocciolo della questione, con lo stratagemma di ripresentare, accanto a teorie originali, alcune delle tesi moderniste facendole passare per nuove (evitando però qualsiasi riferimento al precedente movimento ereticale, ormai condannato, screditato e apparentemente dissolto), gli esponenti della NT non evitarono la condanna di Pio XII, ma riuscirono (grazie anche alla loro personalità e cultura) ad ottenere la simpatia di presuli ai vertici della gerarchia cattolica.
Da Rudolf Graber (1903 – 1992), vescovo in Ratisbona, apprendiamo che a metà ‘800 l’ex carmelitano Roca (1830 – 1893) scrisse: “l'obiettivo [della Massoneria] non è più la distruzione della Chiesa, ma l’utilizzo della sua struttura come strumento di rinnovamento, progresso ed illuminazione perseguendo molti dei propri fini tramite infiltrati [...] Il culto divino, il cerimoniale, il rituale, quali sono stati regolati dalle prescrizioni della Chiesa romana, subiranno una trasformazione in seguito a un Concilio ecumenico […] che renderà loro la semplicità esemplare dell’età d’oro apostolica, in armonia con la nuova condizione della coscienza e della civiltà moderna” [30]. Lo stesso vescovo riporta che nel 1910 il fondatore dell’antroposofia, Rudolph Steiner (1861 – 1925), dichiarò: “abbiamo bisogno di un Concilio e di un Papa che lo indìca”.
Di fatto il suggello che il Concilio ha impresso ad alcune tesi neoteriche ha di fatto ingabbiato la religione tradizionale, emarginandola tra i residui di un passato. Si tenta di far passare i fedeli tuttora refrattari alle novità extracattoliche, come dei cocciuti induriti in prassi e pensieri arcaici, cui è dovere imporre d’autorità le nuove forme e i nuovi contenuti.
L’assemblea ecumenica che pretendeva di unire i cristiani e tutte le religioni ha in realtà diviso il campo cattolico in infallibilisti tridentini (i pronunciamenti dogmatici della Chiesa di Gesù Cristo sono vincolanti) ed infallibilisti giovannei (dal Concilio è possibile, grazie ad una corretta interpretazione [31], trarre tutte le formulazioni utili alla fede), tra chi continua a condannare il modernismo e chi il modernismo lo pratica con la scusa dello Spirito del Concilio.
La via di un ritorno ad un’unità effettiva appare sbarrata. In effetti, se una rivoluzione frutto del pensiero di un singolo papa poteva essere sconfessata da un successore, sembra assai improbabile che la Chiesa possa ritornare su decisioni prese da tutto l’episcopato riunito in modo solenne.
Solo un intervento dall’alto è in grado di fermare l’insensibile smottamento di molti presuli verso una religiosità latitudinaria e adogmatica, e impedire il progressivo soffocamento delle forme e degli ordini che rispettano integralmente il Vangelo e la Tradizione apostolica.
(28/09/13 Fine quinta parte - Conclusione)
Oreste Sartore
Note
[1] Cfr. Giulio Andreotti, I quattro del Gesù, Milano 1999
[2] Indro Montanelli, I due papi Giovanni XXIII, Corriere della Sera, 4 giugno
[3] I. Montanelli, 2000Quella "rivoluzionaria" intervista al Papa, Corriere della Sera, 17 maggio 2000, con rif. all’intervista rilasciata al Corriere della Sera del 29 marzo 1959
[4] Lettera a Rénée Besançon Sangnier in occasione della morte del marito, 28 maggio 1950
[5] I. Montanelli, I due papi, op. cit.
[6] San Paolo, Lettera ai Colossesi, 2, 8
[7] San Paolo, Seconda Lettera ai Corinzi., 6, 14-15
[8] Eugenio Corti, Il Sabato, 30 aprile 1988
[9] E. Corti, Il Sabato, 30 aprile 1988
[10] Leone XIII, Enciclica Inimica vis, 1892
[11] Roberto Fabiani, I massoni in Italia, Roma 1978
[12] Mc. 10, 18
[13] Il sinonimo “modernizzare” avrebbe direttamente richiamato un movimento condannato ufficialmente come ereticale.
[14] Cfr. Ralph Wiltgen S.V.D. (verbita) Il Reno si getta nel Tevere, Portland 1966
[15] 30 Giorni, gennaio 1991
[16] Paulo Daniel Farah, A Igreja cogita convocar Concilio Vaticano III, in Folha de São Paulo, 25 Dicembre 2002
[17] Yves Congar, Diario del Concilio, 2005
[18] Jürgen Mettepenningen, Nouvelle Théologie-New Teologia: Erede del modernismo, precursore del Concilio Vaticano II, Londra e New York 2010
[19] J. Mettepenningen, L’essai de Louis Charlier (1938):une contribution à la Nouvelle Théologie condamnée, in Revue théologique de Louvain, 2008
[20] Ted Mark Schoof O..P., Verso una nuova teologia cattolica, Buenos Aires 1971
[21] 30 Giorni, giugno 1989
[22] R. Fabiani, op. cit.
[23] Quello di far passare delle dichiarazioni previe per poi trarne le conseguenze a pioggia è una ben nota e reiteratamente applicata tecnica settaria (vedasi OMS, UE, ecc.).
[24] Y. Congar, La crise dans l'Église et MgrLefebvre, Parigi 1977
[25] Joseph. Ratzinger, Les principles de la théologie catholique - Esquisse et matériaux, Parigi 1982
[26] T. M. Schoof, op. cit.
[27] Edward Schillibeeckx, in Jesus, maggio 1993
[28] Yves Marsaudon, L'Oecuménisme vu par un franc-maçon de tradition, ed. Vitiano 1964
[29] Robert Aron, Lettre ouverte à l'Eglise de France, Parigi 1975
[30] Rudolf Graber, Sant’Atanasio e la Chiesa del nostro tempo, Brescia 1974
[31] La corretta interpretazione è riservata ai savi che detengono le chiavi di decrittazione