Per costruire bene il nido
11. Essere felici! È il desiderio vivo, l’aspirazione costante di tutti gli uomini, creati per la felicità. Soprattutto è il sogno radioso di tutti gli sposi, nel giorno solenne della loro benedizione nuziale, della consacrazione del loro amore.
Alcuni uomini pessimisti hanno osato affermare e scrivere che il matrimonio è la tomba della felicità. Non è vero! Essi meritano di essere compatiti.
Certo non basta sposarsi per essere felici! È necessario sposarsi bene.
Quando il giovane Tobia fu per sposarsi, l’Arcangelo Raffaele che lo aveva accompagnato nel lungo viaggio, gli disse: “Ascoltami, che ti insegnerò chi sono coloro sui quali ha potere il demonio: sono quelli che abbracciano lo stato coniugale in modo da scacciare Dio da sé e dalla loro mente, da abbandonarsi alla libidine come il cavallo e il mulo che non hanno intelletto: sopra questi ha il potere il demonio.
Ma tu, quando l’avrai sposata, sta con lei nella camera in continenza per tre giorni, senza fare altro che pregare con lei. Poi prenderai nel santo timor di Dio Sara, mosso più dal desiderio di prole che da libidine: così otterrai ai tuoi figli la benedizione”.
La felicità non si trova tutta pronta vicino al corredo di sposa. Essa è un bene da conquistare e, raggiunta, è un tesoro da custodire e da difendere.
Se esistono dei focolari dai quali la pace e la gioia sono state bandite, e la felicità è divenuta una utopia, la ragione è perché troppo spesso si è costruito il nido malamente, considerando il matrimonio non come una fusione di cuori e un’armonia di anime che si cercano per l’adempimento di una missione, ma solo come una unione di corpi, per l’ebbrezza del piacere, come un aumento di ricchezze per meglio godere la vita (pagg. 31,32,33).
12. Per una felice costruzione del nido devono collaborare intelligenza e cuore. L’uno non può stare senza l’altro. Chi lavora solo di testa non pensa che all’opportunità, e diviene egoista calcolatore. Chi ascolta solo il cuore agisce da sentimentale e si prepara per il domani delusioni e lacrime.
Il matrimonio non è fatto solo per “sistemare” economicamente le persone togliendo ogni preoccupazione finanziaria, ma per realizzare attraverso una fusione di cuori e di anime l’incomparabile poema delle culle; compiere la missione di “fare gli uomini”.
Per questo ai matrimoni compiuti solo in funzione di una dote o di un capitale, non può arridere la felicità. Il denaro e l’interesse sono i più frequenti motivi di discordie per gli uomini, e lasciano nelle anime divisioni profonde destinate a generare tragedie e infedeltà. Il cuore non si compera! Si dona!
Quante lacrime e quante vergogne per aver cercato nel matrimonio non un cuore, non un’anima sorella, ma una dote, un pugno d’oro, un titolo nobiliare, una posizione brillante. Le ricchezze, i titolo, il lusso soddisfano l’ambizione, la vanità, ma non saziano le aspirazioni del cuore, non appagano i bisogni dell’anima.
La prudenza, certo, suggerisce ai giovani sposi di considerare anche il fattore economico, perché è necessario garantire alla vita futura una base.
Non si può in coscienza sobbarcarsi alle responsabilità della famiglia armati solo di amore e fede.
“Una capanna e il tuo cuore” è troppo poco; e d’altronde: “due povertà creano una miseria”. Quello che si condanna è l’esagerata preoccupazione, il freddo calcolo, la cupidigia che riduce il matrimonio ad un “affare” e trascura di considerare l’altra dote principale, quella costruita dalla virtù (pagg. 33, 34,35).
13. A volte manca al nido la felicità, perché il matrimonio è stato il frutto di un “capriccio”, di un “puntiglio”.
Il cuore può avere intuizioni spontanee, ma è sempre opportuno diffidare delle impressioni improvvise e troppo vive.
È necessario riflettere che nessuna parola è più grave del “sì” matrimoniale, che è ad un tempo promessa e offerta, giuramento e catena, per tutta la vita.
Nessuna si decida a pronunciare il suo “sì” solo per essere finalmente libero, per uscire dalla famiglia considerata come una prigione; per far restare a bocca aperta gli amici e le amiche, per essere alla ribalta un’ora. Potrebbe, domani, trovarsi più prigioniero di ieri; mordersi presto le labbra, rimanere nell’ombra la vita intera.
Vi sono anche matrimoni di “passione”. Sono gli incontri e le unioni in cui presiede sovrana la sola attrattiva della bellezza, che è sempre un fiore che presto si secca. Il matrimonio invece dura tutta la vita.
Come i fuochi d’artificio, che incantano la vista nelle notti d’estate, l’amore nato da una esplosione, da una subitanea emozione del cuore e dei sensi, facilmente si spegne lasciando solo della cenere e del fumo.
La passione è sempre cieca, sorda e passeggera. Cieca, perché nasconde nell’ombra impenetrabile tutto quanto le è contrario, anche le più gravi deficienze morali. Sorda, perché rifiuta i consigli della prudenza, della ragione e della fede. Passeggera, perché presto si esaurisce con la sua forza stessa e con i suoi eccessi.
E allora cominciano le delusioni, la noia, i bisticci, i rinfacci vicendevoli, l’odio. Svanita la nuvola d’incenso che circondava l’idolo, pare che la persona posseduta sia diversa da quella un giorno amata. E si esagera nell’antipatia, come si era esagerato nell’ammirazione, mentre il ricordo dell’ideale sognato un giorno, tende ancor più intollerabile la realtà presente (pagg. 35, 36,37,38).
14. Molti giovani, troppo sicuri di sé, dominati dalla smania di indipendenza e di libertà, nella scelta della compagna della vita, al momento supremo in cui si accingono a segnare la condanna o la benedizione irrevocabile di tutta la loro esistenza, sdegnano ogni consiglio, anche quello dei genitori.
Giova ricordare che i matrimoni conclusi senza la benedizione paterna mancano spesso anche della benedizione divina.
Ma dopo aver diligentemente vagliato ogni partito, al momento di trarre le supreme decisioni è necessario pregare, pregare molto.
Se i matrimoni sono iscritti in cielo, la preghiera è il mezzo che aiuta a decifrare e leggere quella divina scrittura, e così a unirsi in terra alle persone il cui nome è unito al nostro nei decreti di Dio.
Esiste una legge per sposarsi bene: ricordare che il Matrimonio è innanzitutto armonia di anime che si cercano, e in secondo luogo unione di corpi.
Prima di decidersi a questa comunione di spiriti e unione di corpi, ove ciascuno sarà tanto più se stesso, quanto più si completerà con il suo indivisibile compagno della vita, è necessario studiare le reciproche disposizioni religiose, morali e fisiche, per vedere se possano veramente assicurare un’armonia fondata su una stessa base morale, su un medesimo ideale religioso e sopra una intima e sana unione di corpi.
Nessuno dubita dell’importanza di questo accordo, e tuttavia, quando nelle richieste preliminari al matrimonio si pone sul tappeto la questione religiosa, il più delle volte, gli interessati, alla domanda: “è praticante?”, si accontentano troppo facilmente di risposte evasive, equivalenti a vere negazioni.
I giovani che desiderano fondare su basi solide la futura felicità familiare, devono diligentemente accertarsi che nel cuore del compagno della vita brilli una medesima fede, vera e profonda, non solo una convinzione superficiale, una religiosità di vernice.
Quando alle precise domande su questo argomento uno dei diversi sposi tergiversa, solleva abbiezioni, scherza, fa dello spirito, assicura che sebbene egli non pratichi regolarmente, tuttavia possiede la fede, l’altro, dopo prudente consiglio, potrà risolversi a rompere ogni relazione. Perché chi non vive la “sua fede”, difficilmente avrà il senso degli obblighi e la coscienza delle responsabilità gravi che il Matrimonio cristiano impone (pagg. 39, 40,41,42).
15. Non si può sperare fedeltà, comprensione, amore e abnegazione da chi non riconosce o non rispetta i diritti di Dio e dell’anima.
Le assicurazioni e le promesse di rispettare la fede e la coscienza del coniuge non bastano. L’accordo sul piano religioso è un fattore decisivo per l’armonia e la pace della vita coniugale e per il grande dovere dell’educazione dei figli; affidarlo ad una semplice promessa, a una vaga e incerta speranza, è sempre imprudente, qualche volta pericoloso.
Ogni divergenza in questo delicato argomento pone un principio di discrepanza e di urto in tutta la vita matrimoniale, dalle cose più importanti alle più secondarie.
Qualche volta uno dei promessi sposi accetta il matrimonio, sperando che le buone qualità di cuore e la rettitudine di intenzione, suppliranno alla mancanza di fede. Se queste virtù naturali veramente esistessero, l’intesa può essere ancora raggiunta, ma vi è da temere che queste buone qualità non siano che illusioni di un amore entusiasta e inesperto, destinato fatalmente a dileguarsi innanzi alle prime realtà della vita matrimoniale, per lasciare libero il terreno a un conflitto d’animi, che può anche compromettere la stabilità del focolare.
La vera armonia delle anime, che si estende a tutti gli atti della vita e conduce gli sposi a non avere che pensieri e sentimenti comuni sui gravi problemi della religione, non può esistere ove manchi una “stessa fede ed una medesima coscienza morale”.
Non basta convenire circa le grandezze del Matrimonio cristiano; bisogna accordarsi anche sulle responsabilità e sui doveri che esso importa. In questo campo l’egoismo e le passioni spesso creano dissidi e contrasti pericolosi.
Occorre accertarsi. Il Matrimonio non è stato istituito per una egoistica vita a due, per un passatempo, per una soddisfazione dei sensi. Nel pensiero di Dio e nell’ordine della natura è fatto per creare delle nuove vite. A questa legge nessuno può arbitrariamente sottrarsi senza provocare gravi castighi di Dio.
È pertanto necessario che i fidanzati, prima di fondare la famiglia, conoscano chiaramente e si comunichino con sincerità le proprie idee sulla morale coniugale, sull’uso del matrimonio, sul numero e sull’educazione dei figliuoli (pagg. 42,43,44).
16. Oltre la stessa fede e una medesima coscienza morale per assicurare l’armonia dei cuori è necessaria anche “l’affinità dei caratteri” tra i due sposi.
Una differenza marcata e irriducibile fra i caratteri condurrebbe ad una vicendevole tensione da principio, ma finirebbe col generare una incomprensione. Gli urti di due nature troppo sensibili o troppo spontanee, come la violenza di due temperamenti impulsivi, potrebbe dar luogo a opposizioni sistematiche o anche a rotture definitive.
Non si deve tuttavia credere che i caratteri debbano essere necessariamente uguali nelle due persone che si uniscono. L’uniformità dei caratteri oltreché rendere la vita stucchevole e monotona, esporrebbe gli sposi al pericolo di cercare altrove quella vivacità che risulta dall’incontro di caratteri diversi, ma non necessariamente contrari.
Come nella musica, così tra le anime l’armonia non esclude la differenza di timbro e di nota. Pertanto di deve cercare la migliore armonia dei caratteri in una “somiglianza degli elementi principali” che li avvicinano, non preoccupandosi delle divergenze di elementi secondari; questi si adatteranno e si completeranno con la mutua relazione. Importante è discernere nella persona amata ciò che è naturale, vero, stabile, da ciò che è soltanto posticcio, finto, improvvisato per il momento. L’educazione e la gentilezza del tratto, la cortesia esterna, le buone maniere e il desiderio di piacere possono coprire un animo arido e antipatico (pagg. 45,46).
17. Il Matrimonio non è solo armonia di anime che si cercano, è anche unione di due corpi pieni di vita.
Le due anime dei coniugi devono armonizzare, aiutarsi, sostenersi vicendevolmente. Esse sono anzi in larghissima misura responsabili l’una dell’altra, ma conservano sempre una certa libertà, una responsabilità propria. Esse devono personalmente attendere al loro fine. I due corpi invece devono identificarsi. La loro unione deve essere così intima, da costituire una identificazione fisica degli sposi, in modo che essi più non si appartengano.
“La donna, scrive san Paolo, non ha più potere sul suo corpo, ma l’ha il marito; ugualmente il marito, non ha più potere sul suo corpo, ma l’ha la moglie”. Questa è la dottrina che la Chiesa riassume e specifica nel suo codice di Diritto.
Pe la felicità coniugale, gli sposi dovranno pertanto, nella scelta del compagno della vita, procedere con una riflessione cosciente e libera, per accertarsi che non manchi nessuno degli elementi che concorrono a costituire e mantenere, oltre l’armonia delle anime, anche l’unione fisica dei corpi.
Per questa unione dei corpi giova prima di tutto considerare “l’età”.
Questa potrà sembrare a molti una questione superflua, priva di importanza; ha invece il suo valore.
Vi sono giovani e genitori che stimano l’età più propizia per sposarsi quella in cui si presenta il miglior partito. Gli animi non contano!
Non interessa se i candidati al matrimonio hanno raggiunto quella maturità morale e quello sviluppo somatico richiesto per adempiere le funzioni di maternità e di paternità senza danno alla propria salute e senza conseguenza per la prole. Altri si caratterizzano invece nel rimandare il matrimonio a giovinezza finita ed anche a età avanzata. È bene ricordare che la natura ha tracciato dei limiti ben evidenti, al di là dei quali si possono far risentire dei danni, si possono presentare dei pericoli. Né l’età precoce né l’età matura è favorevole allo svolgersi delle funzioni di maternità e di paternità nelle migliori condizioni fisiologiche. Per le donne l’epoca che dà migliori affidamenti, e quindi consigliabile per il matrimonio, è dai 21 ai 25 anni; per l’uomo può essere prolungata sino ai trent’anni (pagg. 46,47,48).
18. In generale per garantire l’unione dei corpi e perché essa possa durare non solo qualche anno, ma quanto più è possibile, è necessario che il matrimonio avvenga in condizioni di età equivalenti. L’amore matrimoniale deve invecchiare sincronicamente per mantenersi costante.
La posatezza della vecchiaia, la forza temprata dell’età adulta, non convengono con l’entusiasmo e la foga della gioventù.
Ogni cosa ha il suo tempo, e ogni stagione ha i suoi frutti! I bambini cercano fra i bambini i compagni della loro vita di trastulli, i giovani di vent’anni si orientano verso altri giovani; gli adulti amano vivere con gli adulti; i vecchietti si raggruppano tra vecchietti per discorrere delle memorie del passato e degli acciacchi della loro età, proprio perché la natura fisica non trova corrispondenza che in un’altra natura fisica simile a se stessa.
Questa legge di natura deve essere applicata anche al matrimonio; violarla significa gettare le fondamenta dell’edificio domestico sopra un terreno fatto di sabbia.
E’ un errore igienico ed etico quello di credere che un uomo di quarant’anni possa sposare bene una fanciulla di diciott’anni. È un errore igienico perché la esuberanza di vitalità della donna non trova in tali casi una corrispondenza di energie nell’uomo.
E’ un errore etico, perché l’animo giovane e gioviale dell’una cercherà invano un riscontro di giovinezza spirituale e di letizia nell’animo dell’altro. E proprio per questa mancata corrispondenza l’unione comincerà ad avere presto le sue incrinature e i suoi rimpianti.
E’ perciò conveniente che gli sposi siano di età non troppo diversa, così che i loro corpi si trovino all’incirca nel medesimo periodo di vita. Avendo però l’organismo femminile una evoluzione più rapida, e invecchiando prima dell’organismo maschile, tenuto conto del temperamento, è consigliabile che l’età del marito sia superiore di qualche anno (pagg. 48,49,50).
19. Altro elemento importante per il mantenimento dell’armonia familiare è la “salute del corpo”.
La sanità dell’organismo, al apri della sanità morale, è un pilastro su cui poggia l’edificio della famiglia e della felicità coniugale.
Nessuno dovrebbe sposare un individuo con tare ereditarie. Corpo e mente sana sono indispensabili per la vita normale e serena.
Un sangue non corrotto, una solida impalcatura ossea, il sistema nervoso non alterato, sono elementi più importanti della ricchezza e della posizione sociale. La salute e la vitalità accrescono l’affetto reciproco, mentre le malattie molte volte sono causa di disgregazione, di litigi, di rimpianti, di avversione.
Quanti focolari infelici, per le malattie che costringono a una separazione forzata due organismi, che per lunghi anni hanno sentito il desiderio ardente di unirsi!
Non si tratta dei guai che possono derivare da malattie imprevedibili. Queste appartengono ai rischi di ogni umana intrapresa e dovranno essere affrontati con rassegnazione e coraggio. Ma vi sono disordini, infermità, che preesistono al matrimonio e si possono prevedere.
Per ragioni di coscienza, di onestà, e di altruismo chi porta seco un pesante fardello atavico, di follia, di isterismo, di cancro, di debolezza di mente non deve sposarsi, perché nessuno ha il diritto di portare ad altra creatura umana una vita di miseria e ancor meno procreare dei bambini destinati alla infelicità, e per i quali la vita non avrà né luce né sorrisi, ma lacrime e dolori.
L’esame prepuziale dei futuri sposi, può apportare preziose garanzie e talora anche evitare delle catastrofi. È perciò dovere dei genitori d’ambedue i candidati al matrimonio, consigliare con insistenza ai propri figliuoli a sottoporsi ad una visita prematrimoniale accurata e coscienziosa. La salute è più importante del denaro per il buon andamento della famiglia.
Né la legge dello stato né la scienza eugenetica può arrogarsi il diritto di privare del matrimonio persone per sé capaci di contrarlo. Tanto meno è permesso di privare delle naturali facoltà procreative, con l’illecita operazione chirurgica della sterilizzazione, coloro da cui si teme una prole difettosa. Ciò sarebbe gravissima violazione dell’inviolabile libertà umana e usurpazione dei diritti, illecita a chiunque.
Ognuno è libero di fronte al matrimonio, ma per la felicità del nido, per il bene dei figli, è doveroso sapere che certe malattie latenti, come la tubercolosi, la nefrite e altre più o meno sviluppate e forse anche ignorate, come la sifilide, la blenorragia, malattie umorali e glandolari, e certi disturbi del sistema nervoso, mettono in pericolo l’equilibrio del focolare per le cure che impongono a uno dei coniugi, per la minaccia di morte che pesa sopra di lui, per le separazioni forzate che impongono per le contaminazioni possibili, infine per le gravi ripercussioni che possono farsi sentire sulla prole.
Una legge per sposare bene esiste: cercare nel Matrimonio l’armonia delle anime, la fusione dei cuori e l’intima unione di due corpi sani per realizzare gioiosamente la vita a nuove creature (pagg. 50,51,52).
20. È certo che Dio affida a tutti una missione da compiere e segna a ognuno una via da percorrere qui sulla terra.
Se noi, pur tanto limitati, non ci decidiamo a comperare un etto di lana, un qualunque aggeggio senza prima aver pensato e stabilito cosa farne e dove collocarlo, come possiamo credere che Dio , sapienza infinita, crei un’anima immortale che vale più dell’universo intero, senza aver stabilito dove collocarla e come usarla per la Sua gloria? Dio non crea tanto per creare, e dopo aver creato Egli non abbandona a se stessa la sua creatura ma la dirige al suo fine con sapienza, con bontà e con amore infinito, pur rispettando il dono della libertà che Egli ha donato.
Posto questo principio, come spiegare il fatto che molte giovani pur desiderose di formare una famiglia non arrivano al porto sospirato del matrimonio e devono portare in fondo al cuore per tutta la vita il loro sogno incompiuto?
Non è certamente facile precisare tutte le cause di questo fatto. Tuttavia oltre l’eccedenza delle donne sugli uomini, vi possono concorrere le seguenti ragioni.
Vi sono delle giovani che non arrivano al matrimonio perché non si impegnano seriamente a usare con intelligenza e con volontà tutti qui buoni mezzi che la Provvidenza offre loro perché possano arrivare al fidanzamento e al matrimonio.
Vi sono delle signorine le quali attendono che tutto faccia il Signore. Vorrebbero che la Provvidenza portasse loro il fidanzato in casa, e non un qualunque fidanzato, ma un giovane adatto ai loro gusti, proprio tagliato su misura, senza minimamente scomodarsi. Queste giovani sono quelle che scrivono poi, sconsolate, che oggi sposano solo le sgualdrine, mentre le “violette”, cioè le giovani per bene, restano in vetrina nell’attesa perpetua.
Come il Signore dà il pane e anche il companatico, ma a condizione che si ari la terra, che si semini, che si mieta, che si impasti e che si cuocia, così Egli non dà il giovane se non a chi lo cerca seriamente. Si incontrano delle giovani che non sanno fare un passo, non si danno minimamente dattorno per ingentilire un poco, per piacere onestamente a qualcuno. Non vivono certo la verità di quel detto: “Aiutati che il ciel ti aiuta!” (pagg. 53,54).
21. Vi sono delle giovani che non arrivano al porto del matrimonio perché si ostinano a sognare un giovane ideale, praticamente introvabile, inesistente!
Sono delle utopiste, non sanno conciliare il loro sogno con la realtà.
Si dice che Michelangelo restasse deluso dinanzi alle sue statue, dopo averle tratte dal marmo. Sognava sempre qualcosa di più bello!
Certe signorine ad ogni occasione che loro si presenta di fidanzarsi, sognano sempre un giovane più bello, più buono, più ricco, più colto, più signorile e via dicendo, così succede a loro quello che fatalmente capita a tutti coloro che troppo vogliono, e cioè restano a mani vuote. L’ottimo è nemico del bene così come la perfetta giustizia finisce per essere una ingiustizia.
Vi sono delle giovani che non arrivano al matrimonio perché trovandosi molto bene, coccolate dalla loro famiglia, avendo avuto sempre modo di accontentare ogni loro capriccio, hanno paura sposandosi di trovarsi peggio. La paura di doversi sacrificare, di dover soffrire un poco, le tiene nell’attesa di un partito sempre migliore, finché il loro egoismo resta punito con la solitudine.
Appartengono a questa categoria tutte le giovani esageratamente prudenti, calcolatrici, quelle per le quali le quali lo “star bene” costituisce il fine supremo della loro vita e, finalmente, quelle che vogliono sposarsi, ma a condizione di essere certe di tutto guadagnare, in una parola di vincere con il matrimonio una fortuna maggiore di quella che si può vincere a una grande lotteria. Ora questo è impossibile, perché ogni azione umana suppone una parte di ignoto e di rischio.
Bisogna pur pensare alle nozze non solo come a una “soddisfazione” ma anche come a una “donazione”.
Vi sono delle signorine che non arrivano al matrimonio perché, spaventate dal timore di restare sole nella vita, cercano disperatamente un partito purchessia, pronte a fare al giovane delle concessioni che non si dovrebbero fare mai, sia per la propria dignità, sia per la propria virtù.
Queste signorine finiscono per essere presto disprezzate dai giovani stessi e abbandonate. La merce che si offre a troppo basso prezzo non è mai stimata. È nella natura dell’uomo essere un conquistatore. Il giovane non può avere stima di una ragazza che pur di averlo o nel timore di perderlo è pronta ad ogni capitolazione.
Appartengono a questa categoria tutte quelle giovani che partono alla conquista del matrimonio ripetendo: “questo o quello; l’uno o l’altro, non importa. Io voglio maritarmi, ecco tutto!”.
Queste giovani quasi sempre punite dalla solitudine, sono poi quelle che gridano di più contro la malvagità degli uomini, dimenticando che esse stesse prima di essere le vittime di questa malvagità, ne sono state la causa (pagg. 54,55,56).
22. Vi possono però anche essere, e vi sono, buone signorine che pur avendo fatto del loro meglio sul piano umano e soprannaturale per arrivare al porto del matrimonio, sognato sin dalla prima giovinezza, non hanno potuto raggiungere il loro ideale.
La causa talvolta è stata la loro generosa fedeltà alla parola di san Pietro, primo Papa: “Giudicate voi se è meglio obbedire prima a Dio che agli uomini”.
Proprio per obbedire a Dio e per non venir meno alla sua legge e alla loro virtù esse hanno sacrificato il loro sogno.
Queste eroine dell’ideale del matrimonio cristiano non hanno motivo né di affliggersi né di rimproverarsi, ma solo di continuare a offrire a Dio lietamente il loro sacrificio. Semmai rifletteranno nella preghiera se tutto questo non sia stato un segno divino per una vocazione più grande e più bella.
Sposarsi è un impegno grande, è un atto solenne della vita. per riuscire a sposarsi e sposarsi bene, ogni giovane deve impegnare tutti i buoni mezzi umani e tutti i mezzi divini che assicurano la grazia e la benedizione di Dio.
Dovrei ancora dire che molte signorine non arrivano al porto del matrimonio perché, pur usando tutti i mezzi umani, trascurano volutamente quelli divini, e cioè la preghiera e i sacramenti. Esse sono troppo orgogliosamente convinte che, in un affare così delicato, Dio non c’entra! Ma la verità è questa: “Se il Signore non edifica la casa, invano lavorano quelli che si affaticano a costruirla”.
Don Stefano Lamera (1912/1997) - dal libro "La famiglia, piccolo grande nido"