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La madre di famiglia

Partendo dalla Sacra Scrittura e riflettendo sulla Santissima Vergine Maria, possiamo conoscere l'insegnamento della Chiesa circa la figura della madre cristiana.

Nella Genesi, Dio crea l'uomo e la donna “a Sua immagine e somiglianza”, ordina loro di essere fecondi (“prolificate, moltiplicatevi e riempite il mondo”) e insegna loro la legge del lavoro (“assoggettate la terra e dominate sopra i pesci del mare, etc.”). Nel primo passaggio della Genesi vengono quindi definite le tre leggi della vita coniugale: santificazione, procreazione e lavoro; questi doveri sono presentati comuni all'uomo e alla donna, ma si diversificano nella loro realizzazione per l'uno e per l'altra.

In particolar modo per la donna, la santificazione si attua in due doveri: il primo è quello della santità e della vita contemplativa; il secondo è quello di essere un'occasione di santità e uno stimolo all'unione con Dio per suo marito e per i suoi figli. Tocca particolarmente alla moglie riflettere la misericordia e la pazienza di Dio, mentre suo marito dovrà rifletterne la prudenza e la stabilità.

La procreazione ha come conseguenza la maternità della donna: sia essa naturale o spirituale, la maternità mette in moto tutte le qualità della madre per la trasmissione e la cura della vita. Dio chiama le donne ad una grande abnegazione (la maternità è l'oblio di sé ad ogni istante per il bene del figlio), e al contempo arricchisce al centuplo quelle che rispettano e amano la Sua Santa Volontà e le allieta di una grande gioia spirituale.

Il lavoro della donna è legato alla grande opera della vita, quindi il suo lavoro è accogliere, coltivare, sviluppare la vita. Come? Costruendo l'ambiente dove la vita avrà forma, cioè il focolare domestico. La donna è la regina del focolare domestico, agisce principalmente attraverso quell'atmosfera che crea intorno a sé, in cui le anime prendono il loro slancio: qui la donna ha una particolarissima zona d'influenza, mettendo al servizio della vita la sua sensibilità, la sua dolcezza, il suo tatto. Il legame della donna al suo focolare è intrinseco alla natura stessa delle cose e alla psicologia profonda della donna; è la missione che la natura e l'unione con l'uomo le hanno imposta per il bene della società, alla quale l'uomo non potrà mai supplire. Chi può definire i lavori di una casalinga facili o oziosi? La Sacra Scrittura non ci lascia alcun dubbio in merito ai sacrifici e all'energia che la donna impiega nel suo lavoro tra le mura di casa (Prov 31, 10-31). La fede soprannaturale e la carità conferiscono ai lavori di casa una nobiltà e una bellezza, sconosciuta agli increduli, che costituisce l'ammirazione degli angeli.

Vediamo quali sono gli aspetti che differenziano il ruolo della madre da quello del padre.

Innanzitutto, nella Sacra Scrittura leggiamo: “Il Signore disse: non è bene che l'uomo stia solo: io gli farò un aiuto simile a lui”. La moglie è una stretta collaboratrice ed una associata. Ciò significa che la moglie partecipa alla paternità del coniuge come un'assistente intelligente e amata dal marito, con la quale l'uomo può attuare l'opera della trasmissione della vita. La moglie vivrà la gravidanza, il parto e l'educazione dei figli nel nome del marito, come se fosse effettivamente la sua metà fisica. Il fatto che Dio abbia voluto creare la donna dal corpo di Adamo (e non anch'essa dal fango) indica ancora una volta che la donna riceve la vita, ma non ne è la fonte come l'uomo: per questo, la missione della donna è di partecipare a quella dell'uomo. “E saranno una sola carne”, non in senso fisico, ma nel senso della solidarietà e dell'unione dei due sposi in tutte le opere della vita di famiglia: la loro unione sarà indistruttibile come il corpo stesso. Essere un “aiuto” al marito comporta da parte della moglie il giusto rispetto per il marito: ciò significa vedere in lui l'autorità voluta da Dio per la famiglia, vedere in lui la fonte terrena della vita; significa anche ammirare le virtù del marito ed impiegare i propri talenti per perfezionarlo. Questo amore e rispetto della donna nei confronti di suo marito deve trasparire dal suo comportamento nei confronti dei figli (la sposa farà sentire ai figli che è il papà che dirige la casa attraverso di lei), nei confronti delle persone estranee (la sposa è la confidente più intima del marito: deve coprire col velo del rispetto e del silenzio tutto ciò che ha attinenza con il mistero della vita e della fecondità del focolare) e verso il marito stesso (la sposa deve accrescere l'autorità morale del marito attirandolo al bene, sostenendolo nel suo ruolo di padre di famiglia e nelle sue opere). Inoltre, la donna sarà veramente un aiuto per il marito se si concentrerà sulla virtù della purezza: più un cuore è puro, meno mette ostacoli all'azione di Dio, e più riceve dalla sua generosità. La moglie deve in un certo senso “purificare” il marito, nobilitando il rapporto con lui per restituirgli quella dignità e autorità morale che gli è dovuta: la moglie sarà il cuore quando il marito sarà la testa, e il marito sarà forte quanto la moglie sarà pura.

Nel racconto della Genesi, il peccato di Eva mette in risalto l’importanza della sottomissione rispettosa della donna al marito. Dio aveva dato ad Eva suo marito come capo, come protettore, come suo maestro di verità e di virtù: nella dipendenza docile al marito, la donna sarebbe stata al sicuro. Invece, la nostra progenitrice alla domanda del serpente (“Ma è proprio vero che Dio vi ha proibito...?”) preferì rispondere da sola, facendo a meno dell’uomo. Cosa portò l'emancipazione di Eva da Adamo? La donna si lasciò sedurre dal diavolo, disobbedì a Dio e si rivolse al marito con gli stessi inganni che il demonio le aveva appena fatto subire: invece di essere il riflesso di Dio e occasione di santità, Eva si fece specchio del demonio e tentatrice dell'uomo. Una donna sincera con se stessa, capisce da sola di aver bisogno delle spalle larghe del marito, ed in questa dipendenza affettuosa voluta da Dio troverà l'arricchimento della sua personalità e del suo splendore. San Paolo dimostra come l'unione dei coniugi cristiani offre alla donna un posto nobile ed entusiasmante: “Le donne siano soggette ai loro mariti come al Signore, poiché il marito è il capo della donna come il Cristo è il capo della Chiesa (…) E voi mariti amate le vostre mogli come Cristo amò la Chiesa e ha sacrificato Se stesso per lei, per santificarla e purificarla, etc...”. Ne consegue che la sottomissione rispettosa della donna al marito, lungi dall'essere soffocante, è al contrario la porta aperta su di un amore superiore e delizioso e sui benefici che il suo sposo può prodigarle, benefici che la testa vuole elargire al proprio cuore.

La divina sentenza sopra Eva e le sue figlie manifesta chiaramente che la sofferenza accompagna la donna durante tutta la sua vita di sposa e di madre: “Moltiplicherò i tuoi travagli ed i tuoi parti; partorirai tra i dolori i tuoi figli; sarai sotto la potestà del marito, ed egli ti dominerà”. 

La Sacra Scrittura divide le pene della donna in tre categorie: le sofferenze generiche e quotidiane (ad esempio, la cura della casa è un lavoro penoso, nascosto, misconosciuto, monotono, che richiede forza di carattere e il dono di sé ad ogni momento, spesso ripagato con indifferenza o ingratitudine); i dolori del parto (la maternità si realizza solo nel sacrificio e nella rinuncia ai propri interessi); la dipendenza dal marito (la donna, che in Eva ha commesso un peccato d'indipendenza, sentirà il peso della dipendenza). La donna cristiana, consapevole della pena, deve reagire sviluppando due qualità particolari: l'intelligenza e la generosità. L'intelligenza perché deve scorgere nelle sofferenze ordinarie o straordinarie il giusto castigo del peccato della prima madre, di tutte le sue figlie e dei suoi stessi peccati, dunque saprà fare delle sofferenze uno strumento di redenzione. La generosità perché occorre una rinuncia e una dedizione che possono arrivare fino all'eroismo per poter corrispondere davvero alla vocazione della maternità: quando una donna pronuncia il “sì” che la lega per sempre a suo marito, sa che questo “sì” porta con sé tutte le difficoltà inerenti al mettere al mondo una vita, e così la figlia di Eva diventa, in tutta verità, figlia della Beata Vergine Maria; tale generosità, tale accettazione della sofferenza, conferiscono alla madre una nobiltà che la rendono degna di ammirazione.

La bontà divina del Creatore rimarginò subito la maternità decaduta in Eva tramite Maria Santissima, grazie alla quale fu perfettamente restaurata se non anche trasfigurata. “Io porrò inimicizia tra te e la Donna”, ecco il soffio che innalzerà d'ora in poi la vocazione della donna: la maternità è completa solo quando si prolunga con l'educazione dei figli, perché si tratta di generare non solo corpi vivi, ma anche anime vivificate dalla Grazia e dalle altre virtù. Prendendo come modello la Beatissima Vergine Maria, la madre cristiana deve preparare le condizioni di purezza, di intelligenza, di pace e di ordine per la venuta di Gesù Cristo nei suoi bambini ed essa stessa, come la Madonna, deve vivere nella purezza e nella preghiera per non intralciare in nulla l'opera dello Spirito Santo.

Per concludere, si può sintetizzare la vita della madre di famiglia in tre parole, profondamente connesse alla Santissima Vergine:

1. Fiat. Questa parola, pronunciata da Maria nell'istante che divenne la Madre, indica l'atteggiamento di fondo della sposa che sta per diventare madre, cioè un “sì” generoso alla vita che essa deve ricevere e nutrire, un “sì” alle sofferenze provvidenziali legate alla trasmissione della vita e un “sì” a qualsivoglia volontà di Dio sul bambino. La madre cristiana coopera, attraverso il suo “fiat” fiducioso e generoso ad ogni volontà di Dio, alla santificazione delle anime che Dio le ha affidato, dunque esercita una certa maternità soprannaturale verso i suoi cari e verso le persone che gravitano intorno al suo focolare: nel fare questo, deve meditare e prendere a modello e incoraggiamento la maternità spirituale delle religiose e la maternità divina di Maria Santissima.

2. Stabat. L'atteggiamento della Madonna ai piedi della croce, insegna alle madri di famiglia che, se la vocazione delle madri riserva loro gioie molto profonde, devono essere consapevoli della sofferenza che può accompagnarle, e dunque essere capaci di guardare in faccia i dolori che le attendono e ad amare la croce, sia che siano di natura “ordinaria” (dolori del parto, autorità del marito divenuta pesante, pene della vita domestica, preoccupazioni e fatiche inerenti all'educazione dei figli) sia che siano di natura “straordinaria” (la ragazza che non trova marito, la sposa che non può avere figli, la madre di un figlio gravemente malato, le sofferenze della vedova...).

3. Magnificat. Il canto e la letizia di Maria Santissima mostrano alla madre cristiana che se la donna comprende la bellezza della sua vocazione, la sua vita sarà dominata da una gioia semplice e pura. La prima grande gioia della madre sarà la sua vita contemplativa, la sua vita di unione a Dio, la sua vita sotto lo sguardo di Dio. La seconda grande gioia della madre cristiana è di collaborare con Dio all'opera della vita, sapendo che tutto ciò che avviene in lei è opera di misericordia dell'Onnipotente, e quindi la madre che può collaborare da vicino a questo gran dono di Dio esulta di gratitudine e generosità. La terza grande gioia della madre è di mettere al mondo un figlio, cioè di dare alla Chiesa e al mondo ciò che ha ricevuto da Dio: pensa al bene che faranno i suoi figli intorno a loro, nel tempo e nell'eternità e quindi mette tutto il suo cuore e tutta la sua competenza a compiere la sua missione di madre ed educatrice. Questa gioia, che rende la madre cristiana ancora una volta regina della pace nel suo focolare, è necessaria alla madre stessa per portare con leggerezza il peso della quotidianità, è di aiuto al marito per ritrovare la pace e la gioia di cui ha bisogno dopo una giornata faticosa di lavoro, è necessaria ai figli per attingere la felicità e lo slancio che li aiuteranno a sopportare le pene inerenti alla loro crescita e alla loro vita.


Veronica Tribbia