Quella sberla ai FI
E così, l’istituto dei Francescani dell’Immacolata è stato commissariato e affidato chiavi in mano a un frate cappuccino. Padre Fidenzio Volpi, così si chiama il Commissario apostolico, si è presentato con una lettera che, a parte il tradizionale “Pace e bene”, sembra ricalcata su quelle dei burocrati di Ceasusescu: sterminata citazione del capo seguita da minacciosa conclusione. Dal combinato disposto della missiva del commissario con il relativo decreto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, si evince che i frati Francescani dell’Immacolata, con il loro pallino per la Messa in rito antico e il Breviario tradizionale l’hanno combinata proprio grossa: hanno commesso il peccato di lesa “ecclesialità”. Hanno portato nocumento a quel brumoso concetto, caro a papa Francesco, nel quale tra poco verranno magari inseriti gli abbondanti frutti spirituali del ramadan musulmano esaltati nel blitz di Lampedusa, ma non quelli della Messa in latino.
“Il Santo Padre Francesco” recita il decreto della Congregazione “ha disposto che ogni religioso della Congregazione dei Frati Francescani dell’Immacolata è tenuto a celebrare la liturgia secondo il rito ordinario e che, eventualmente, l’uso della forma straordinaria (Vetus Ordo) dovrà essere esplicitamente autorizzata dalle competenti autorità, per ogni religioso e/o comunità che ne farà richiesta”.
Qui sta la prima, grande sorpresa di questo provvedimento: nell’interpretazione unanime dei mass media, Josè Mario Bergoglio è un papa fortemente orientato alla misericordia, alla tenerezza, all’attenzione al punto di vista altrui, al dialogo. In poche parole, una versione 2.0 del “papa buono” di roncalliana memoria.
Ora, leggendo i due documenti che si abbattono con pugno di ferro sui Francescani dell’Immacolata, di questa bonomia, di questa logica della tolleranza davvero non ve n’è traccia.
Come il Texas del visionario Cormac McCarthy, questa Chiesa non è un paese per vecchi. Quando la realtà si confonde con la fantasia psichedelica più sfrenata, per fare chiarezza bisogna affidarsi a certe pagine della letteratura.
Se quella dei vescovi che si dimenano in mondovisione agli ordini di un Fiorello da strapazzo al rito di “Flashmob” è la Chiesa giovane di Francesco tanto amata dal mondo, se il modello subito scovato dai media per la nuova frontiera degli eventi eclesiali che tanto si confanno al papa che viene dalla fine del mondo è Woodstock, risulta difficile trovare un posto per i poveri Francescani dell’Immacolata.
Loro che si fanno fotografare tutti insieme, gli uomini da un parte e le donne dall’altra con tanto di saio e la statua della Madonna in primo piano. Loro che pregano, digiunano, si mortificano, celebrano e celebrano la Messa senza straziare il povero Corpo di Cristo. Loro che praticano e insegnano un morale improntata al più vivo rigore. Loro che vanno in missione a portare Cristo prima della pasta al pomodoro e dell’aspirina. Loro che sono poveri e umili senza ostentazioni e senza mettersi in favore di telecamera e di obiettivo fotografico come va di moda sotto il nuovo pontificato.
Questi provvedimenti draconiani disegnano una Chiesa che giudica vecchi i Francescani dell’Immacolata, pericolosi deviazionisti dalla rotta (per la verità piuttosto incerta) dell’ecclesialità contemporanea. Vecchi questi religiosi? Loro che sono nati solo nel 1970, attraverso un percorso di recupero della originaria spiritualità di Francesco d’Assisi, tutta incentrata su Maria, sui sacramenti, sulla preghiera e la mortificazione. Pericolosi per la cattolicità i Francescani dell’Immacolata? Questi fraticelli miti e queste suore oranti, che si rifanno alla gigantesca figura di Padre Massimiliano Kolbe, il francescano conventuale che aveva in testa il sogno di avvolgere il mondo in un mare di fogli di stampa cattolica.
Si parla di quel Padre Kolbe che morì in un lager nazista offrendo sé stesso al posto di un detenuto padre di famiglia. L’agonia di Massimiliano durò due settimane senza acqua né cibo, mentre la maggioranza dei condannati era morta di stenti. Sopravvissero in quattro, tra cui Kolbe, e continuavano a pregare e cantare inni a Maria. Le guardie delle SS addette alla custodia non ne poterono più, e finirono il prete cattolico con un’iniezione di acido fenico. Era 14 agosto 1941, vigilia della Festa dell'Assunzione di Maria. All'ufficiale medico nazista che gli fece l'iniezione mortale nel braccio, Padre Kolbe disse: «Lei non ha capito nulla della vita...» e mentre l'ufficiale lo guardava con fare interrogativo, soggiunse: «...l'odio non serve a niente... Solo l'amore crea!». Le sue ultime parole, porgendo il braccio, furono: «Ave Maria». Le stesse parole con cui i Francescani dell’Immacolata oggi salutano nei cinque continenti ogni persona che incontrano.
Qual è dunque la ratio di questi provvedimenti che decapitano i Francescani del loro fondatore? Si commissaria un ordine religioso che conquista vocazioni tra i ragazzi e ragazze che amano impegnarsi in qualcosa di serio e di grande. E quindi di difficile. Evidentemente, c’è chi ritiene che questa Chiesa non sia un paese per loro. Almeno fino a quando continueranno, o purtroppo avranno continuato, a essere così e a fare della tradizione e della liturgia tradizionale l’alimento da cui trarre forza. Ecco il nodo, ecco forse la pietra dello scandalo: da anni i Francescani dell’Immacolata – in un regime per altro bi ritualista – hanno recuperato la celebrazione e la teologia della messa di San Pio V, della messa di sempre.
Giunti a questo indizio, a questo elemento probatorio a carico dei religiosi dal saio azzurrino, si può concludere che c’è della logica in quanto sta accadendo. E qualsiasi logica che si rispetti non può essere inclusiva. Non fino al punto di tenere insieme il carnevale di Rio e la Messa gregoriana. L’et et che troppi cattolici hanno stiracchiato per ogni dove rendendolo liso e pieno di buchi si è rotto proprio dove ha incontrato dei frati che hanno mostrato che il genio di San Francesco non è stato rivoluzionario ma tradizionale. E che una famiglia francescana, numeri alla mano, torna a fiorire quando riprende a lottare con il mondo invece che a farselo amico.
Perché il cattolicesimo, che ha al vertice della sua teologia San Tommaso d’Aquino, non può essere ridotto a una gigantesca poltiglia irrazionale, a un vago sentimento pompato dalla sapiente regia dei mass media. La trasmissione della fede avviene in una drammatica e insieme fantastica lotta fra l’anima di ogni singolo individuo e il suo Creatore. Questo appuntamento decisivo può forse, nella migliore delle ipotesi, essere propiziato da adunate oceaniche. Ma nessuno torna da un evento massivo e massificante con la conversione in tasca: per proseguire su quel cammino, ci vuole la grazia sacramentale.
Qui si inserisce la prima osservazione che l’incredibile vicenda del commissariamento dei Francescani dell’Immacolata ci suggerisce: è in atto da decenni, in una fetta preponderante della teologia sedicente cattolica, un’operazione essenzialmente luterana, di de-sacramentalizzazione della Chiesa. Si parla di Cristo, si parla del Vangelo, si parla delle beatitudini, si parla dei poveri, ma sganciandosi progressivamente, in modo prima lento e poi veloce ed inesorabile, dalla centralità assoluta dei sacramenti.
A cominciare dalla Messa, passando poi per la confessione, la cresima, il battesimo. Quale parroco, ormai, ha fretta di battezzare un bambino? SI fa tutto con una calma olimpica, perché tanto, ormai, in Paradiso ci si va comunque.
Karl Rhaner e la sua teoria dei “cristiani anonimi” hanno vinto la partita, e reclamano il loro trofeo: una Chiesa nella quale i sacramenti non sono più necessari. Basta sostituirli con una serie di gesti, scatenando lo spirito creativo del Popolo di Dio e di quello che resta dei suoi pastori.
Si passa così dal karaoke al rosario, o dal Flashmob alla confessione, con la stessa disinvoltura con cui Fantozzi passava dalla cucina al salotto, fasciato nei suoi indimenticabili mutandoni e canottiera. Così ci si fa belli agli occhi del mondo, ci si mostra moderni e aperturisti, liquidatori di turiboli incensanti, preti rigidamente avvolti in splendide pianete, magari addirittura girati verso l’altare. Ora, i Francescani dell’Immacolata sono indiscutibilmente del tutto estranei a una simile ecclesiologia anit-sacramentale. E probabilmente è per questo che qualcuno vuole toglierli di mezzo.
C’è una seconda, amara constatazione suggerita da questa vicenda: fu Joseph Ratzinger, ex Papa ed ex cardinale vivente, a inventare la categoria delle “minoranze creative”. Tradotto per il volgo, Benedetto XVI pensava a gruppi di cattolici tosti che, pur partendo dalla consapevolezza di essere pochi e magari nemmeno buoni, si battessero in modo intelligente come truppe scelte dentro il ventre di un mondo secolarizzato e ostile. Gente, insomma, controcorrente e per nulla prona al conformismo e al pensiero unico. Bene: i Francescani dell’Immacolata sono un esempio formidabile di questa categoria di credenti. Chi li perseguita deve sapere che sta combattendo contro le “minoranze creative” di cui parlava Ratzinger.
Terza e conclusiva considerazione: il commmissariamento dei Francescani rivela il permanere, che dura ormai da cinquant’anni, di una sorta di “degasperismo psicologico” nel modus operandi delle gerarchie cattoliche. Il politico trentino definì una volta la democrazia cristiana “un partito di centro che guarda a sinistra”. La Chiesa post conciliare ha assunto in molti dei suoi uomini esattamente questo schema mentale. Per questi prelati, o teologi, o parroci di periferia, il pericolo viene sempre e soltanto da destra. Le migliaia di suore americane che professano e praticano tesi palesemente non cattoliche alla fine se la cavano con un buffetto e con parole piene di rispetto e di comprensione; i Francescani dell’Immacolata finiscono commissariati.
Si potrebbero fare centinaia di esempi di questo genere, scelte che in pochi lustri hanno lentamente trasportato il baricentro dell’ecclesiologia ufficiale a sinistra. Prova ne sia, ad esempio, il silenzio del mondo cattolico ufficiale di fronte all’approvazione imminente di una legge liberticida come quella sulla cosiddetta omofobia. La regola è sempre la stessa: ci si allinea con il mondo nel combattere ciò che appartiene più o meno a un pensiero tradizionale, si tace o addirittura si applaude agli slogan del luogocomunismo progressista. Per riprendere il titolo di un lucido pamphlet dedicato alla Dc dallo storico Roberto de Mattei, è proprio questo il “centro che ci portò a sinistra”.
Ora, a fronte di qualunque sia la decisione dei Francescani dell’Immacolata circa l’intimazione di non celebrare più la Messa in rito gregoriano dal 12 agosto, rimane l’iniquità della sanzione. E rimane la libertà della coscienza di non soggiacere a un ordine palesemente ingiusto. Se la Congregazione vaticana ritiene che il fondatore abbia imposto con la forza l’adozione del rito antico, i suoi frati dimostrino che invece l’hanno seguito in coscienza e quindi continueranno a fare ciò che nessuna legge della Chiesa non proibisce a nessun sacerdote.
Impugnare un procedimento ingiusto e resistervi in piena coscienza è quanto di più terribile possa temere chi esercita un potere iniquo. C’è qualcosa di misteriosamente e tremendamente metafisico nel singolo individuo che si presenta davanti al superiore per dichiararlo ingiusto: è la dichiarazione che non agisce come esigerebbe il suo essere, che è qualcosa di meno, di non rispettabile. Per questo i totalitarismi comunisti esigevano che le vittime sottoscrivessero la propria condanna. Perché, in definitiva, la legittimazione non veniva dalla propria forza e dalla propria prepotenza, ma dalla debolezza e dall’arrendevolezza altrui.
Se l’anomalia dei Francescani dell’Immacolata verrà tolta di mezzo senza che le vittime di un provvedimento iniquo abbiano in qualche modo resistito, sarà compiuto, prima di tutto, il male della Chiesa. Perché si consentirà a chi occupa le posizioni di potere di essere sempre un meno di ciò che dovrebbero essere. Anche se tutto questo si nasconde dietro l’immagine mediatica di un pontificato tenero e misericordioso. La Chiesa non è un’istituzione da far cadere, ma da amare e curare. Anche con la decisione e la forza.
Alessandro Gnocchi - Mario Palmaro (quotidiano IL FOGLIO)