In tempi di epidemia...
[Editoriale n.9 - aprile 2020]
Scriviamo questo editoriale in piena emergenza sanitaria dovuta al virus influenzale cosiddetto coronavirus che ha già fatto migliaia di morti e chissà quanti altri decessi ancora si dovranno contare.
Molte persone piangono i propri cari stroncati dal virus; molte altre, infette, stanno lottando contro di esso.
Da settimane si è costretti a vivere barricati in casa per evitare di essere contagiati; se si è costretti a muoversi occorre indossare una mascherina e seguire scrupolosamente ogni precauzione per scongiurare una potenziale infezione che può anche essere letale.
Tutto il mondo è sottosopra a causa di un microbo, un microscopico microbo che tuttavia ha fatto delle abitudini di vita e di ogni aspetto politico, economico e sociale tabula rasa: l'esistenza d'un tratto è radicalmente cambiata, per tutti, nessuno escluso.
Ora, davanti a questo incredibile scenario ci si può porre in due soli modi: continuare a vivere senza credere in Dio e dunque seguitare a negarne l'esistenza (fiducia all'uomo e alla scienza che sapranno porre rimedio a tutto... ma è così?), oppure credere nel Creatore e nelle Sue Leggi (poiché tutto è disposto da Dio e sotto il Suo controllo).
Nell'Imitazione di Cristo (cap.XLIV De non attrahendo sibi res exteriores) sta scritto: "O Signore, a che siamo giunti! Ecco, si piange per un danno materiale, si fatica e si corre per un modesto guadagno, mentre si dimentica il detrimento spirituale o tardi appena appena ci si riflette. Si mette ogni cura in quello che poco giova o nulla, e si sorvola con negligenza quello che è di somma necessità; ciò perchè l'uomo si riversa tutto sulle esteriorità e, a meno che si riprenda tosto, in esse si adagia beato. Aiutami Tu, o Signore, nelle mie tribolazioni, perchè vano è il soccorso dell'uomo".
Dunque occorre alzare gli occhi al cielo, tornando a prosi le domande esistenziali tra cui spiccano senza dubbio quelle relative al senso del male, della sofferenza, del dolore.
Soprattutto davanti a calamità naturali e al numero di vittime che provocano, si è tentati persino di incolpare Dio della propria sofferenza non capendo mai fino in fondo il significato del famoso detto popolare “non si muove foglia che Dio non voglia” richiamato delle parole evangeliche “anche i capelli del vostro capo sono tutti contati” (Lc12,7).
Siamo dunque sudditi di un dio crudele? I Santi e il Magistero perenne della Chiesa ci dicono altro: Dio è giusto e allo stesso tempo misericordioso.
Giustizia e Misericordia, nel corso degli eventi storici, non sono mai separate, l'una implica l'altra.
Resta da capire in che modo sussiste tale vincolo.
Il teologo domenicano Padre Roger-Thomas Calmel, nel saggio Teologia della Storia, evidenziava: “Molti non sanno più riconoscere il Signore quando Egli visita, con i flagelli della giustizia, una città o un popolo che ha prevaricato; molti non credono più agli interventi della giustizia divina.
Con il pretesto che il Vangelo annuncia la liberazione e la misericordia, trovano inammissibile parlare di castighi celesti: una simile concezione sarebbe superata e retrograda.
La verità è diversa. Se è indubbio che il tempo della redenzione è un tempo di misericordia e di liberazione, è altrettanto certo che i colpi della giustizia sono molto spesso necessari per riportare i malvagi sul sentiero della dolcezza e della misericordia.
Ricordiamoci del buon ladrone e che il suo esempio ci illumini. È molto probabile che non avrebbe ottenuto il perdono e provato gli effetti della misericordia di Gesù se non fosse stato punito e se non avesse finito col riconoscere la mano di Dio nella propria punizione”.
Che cosa pensare, del resto, della società contemporanea che si fa beffe della Legge naturale (che è Legge di Dio) legalizzando ad esempio l'aborto e il peccato di Sodoma definendoli conquiste sociali? Che dire di quelle amministrazioni politiche che concedono le proprie città alle sfilate blasfeme del gaypride? Che dire poi del silenzio e della complicità di quei chierici e quelle curie di fronte a tali scandali? Che dire di coloro (e tra questi ve ne sono anche di quelli che si definiscono cattolici!) che difendono e promuovono i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio?
Il catechismo di San Pio X è chiarissimo in merito: “Tra i peccati mortali sono più gravi e funesti i peccati contro lo Spirito Santo e quelli che gridano vendetta al cospetto di Dio (1.commettere omicidio volontario; 2.l'atto impuro contro natura; 3.oppressione dei poveri; 4.defraudare l'operaio della giusta mercede)”.
Di questi ultimi il catechismo dichiara: “Questi peccati sono odiosissimi e provocano più degli altri i castighi di Dio”, cioè sono peccati che chiedono giustizia al Signore già nella vita presente a motivo della loro malizia e del grande turbamento che provocano nei rapporti tra gli uomini e nella società.
Dunque le calamità collettive quali terremoti, guerre, siccità, carestie, epidemie... sono permesse da Dio per un duplice scopo: affinché l'uomo, sua creatura, non scordi la propria precarietà e, ritornando al suo Creatore, si purifichi attraverso la sofferenza; e affinché si scontino i peccati sociali.
Perché una cosa è certa: Gesù Cristo continua a restare al centro della storia. Egli la domina e la governa, con giustizia e con misericordia.
Infatti il Signore è presente nella Sua Chiesa e non smette di venirvi: si pensi all'offerta misteriosa che Egli, in ogni S.Messa, fa del Suo Corpo immolato per la moltitudine umana in remissione dei peccati.
Ma non è solo in questo modo che il Signore giunge prontamente. “Quando una moltitudine di deboli innocenti – scriveva Padre Calmel (Teologia della Storia) - o forse semicolpevoli viene trascinata nello stesso turbine in cui vi sono alcuni apostati forsennati, anche quando la folla dei minores, fuorviata più o meno volontariamente, viene colpita insieme al piccolo gruppo dei majores che hanno prevaricato con diabolica lucidità, si può sempre affermare che il Signore viene.
O ancora: Egli viene attraverso le persecuzioni che si abbattono sulle nazioni cristiane, mentre tanti fedeli sono impreparati o tiepidi.
Per mezzo di tutti questi avvenimenti che ci sconcertano, è Lui che ci raggiunge.
Per quanto possa sembrare sorprendente a prima vista, tale interpretazione appare legittima se teniamo conto che il Signore fa cooperare tutte le cose al bene di coloro che ama, ordina tutto per il bene dei suoi eletti e, per prima cosa, le croci.
Non sembri arbitraria la seguente parafrasi dell'Apocalisse: vedete la parte considerevole che hanno il Drago e le due bestie nella diffusione della menzogna e dello scandalo. Sentite i loro furiosi latrati. Ma non abbiate paura, non sono loro i padroni; sono tenuti al guinzaglio e vinti in anticipo.
In occasione del loro terribile scatenarsi, Gesù va incontro alla Sua Chiesa al fine di prepararla per il giorno del Suo avvento glorioso. Resta il padrone degli avvenimenti e fortifica ciascuno di noi per farci riportare la vittoria.
Non permetterà che si perda uno solo di questi piccoli che credono in Lui. E viene subito. Non nel senso che il Suo ritorno glorioso sia immediato, ma perché prepara subito la Chiesa al Suo ritorno glorioso, anche se regnano le tenebre più fitte e l'apostasia si impadronisce di tutta la terra. […]
Un cuore semplice, un'anima illuminata dalla fede e che veneri con ardore la Croce di Cristo saprà riconoscere la Sua venuta in situazioni analoghe a quelle dei cristiani di Roma del secolo XVI che, dopo il saccheggio della città da parte dei lanzichenecchi luterani, vennero venduti come bestiame ai Turchi e ai Mori, mercanti di schiavi e seguaci di Maometto.
Eroici nella fede e nell'amore, quei cristiani, ridotti in schiavitù ma inaccessibili all'apostasia, non dubitarono mai che il Signore non venisse prontamente, e dalle loro anime non venne sradicata la pace.
Scrivo queste cose senza alcuna illusione sulla profondità inaudita di miseria e d'angoscia legate a un simile eroismo, sulla qualità segretissima di una pace interiore che rimane viva in mezzo a tali orrori.
Non ignoro affatto che la sorte di molti nostri fratelli nella fede è certamente peggiore di quella dei cristiani vittime del sacco di Roma sotto Papa Clemente VII. Non provo nessuna attrattiva per un qualsiasi e non ben definito romanticismo del martirio. […]
Ma scorgo anche la perfezione della fedeltà che può realizzarsi in mezzo all'angoscia; penso che quando il Signore invia dei castighi sulla terra non lo fa solo per punire i colpevoli, ma per trarre, dal coraggio dei santi, una testimonianza di fedeltà che non era ancora salita fino a Lui. E la stessa cosa la si può affermare per le persecuzioni.
Soltanto una tale valutazione dei castighi divini o delle persecuzioni, permette di sfuggire alla vertigine della disperazione di fronte ai grandi tormenti che si scatenano con una stupidità bestiale, quelle ondate spaventose che ingoiano senza vedere e senza udire tanti innocenti insieme ai malvagi. Senza dubbio l'ondata è cieca, ma è tenuta in pugno dal Signore che sa, che vede e che governa per il bene degli eletti.
Soprattutto in queste ore tenebrose, Egli illumina le anime di buona volontà, le riconforta, le lega a Sé indefettibilmente.
Dal profondo di queste anime lacerate, frantumate nella parte più intima, sale una preghiera talmente umile e veemente alla quale il Signore non resiste: e scende in loro dando la forza di vincere i nemici.
Gli sforzi della menzogna e della malvagità, incessantemente rinnovati lungo il corso della storia, non servono in definitiva che a ottenere dai servi di Dio una nuova forma di fedeltà”.
Perciò, per non abbatterci quando i mali e i castighi ci schiacciano, ricorriamo sollecitamente alle Sacre Scritture e troviamo conforto negli insegnamenti della vera Chiesa di Cristo.
Dalle Sacre Scritture, predicava San Giovanni Crisostomo (omelia sulla conversione e sull'orazione), “trarremo infatti lo spunto per pazientare ancora; saremo confortati sentendoci in comunione con chi ha sofferto come noi e apprendendo il modo di liberarci dagli affanni in cui siamo incorsi, e dopo la remissione delle colpe torneremo a comportarci come prima senza però né cadere nella negligenza né montare in superbia. Poiché quando le cose ci vanno male, naturalmente ci facciamo piccoli e umili e dimostriamo una grande pietà; questo è il fine proprio delle prove, costringere alla resa anche chi abbia il cuore di pietra facendogliene sentire la durezza”.
Dalla Chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo troveremo conforto poiché, accedendo con cuore contrito e con sincero pentimento per le mancanze e i peccati commessi, la Chiesa è una casa di cura, non un tribunale. “Qui – rammentava San Giovanni Crisostomo – non ti si chiede conto dei peccati, ti si concede la remissione delle colpe. Manifesterai a Dio soltanto il tuo peccato: contro Te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi io l'ho fatto (Sal50,6), e ti sarà rimessa la colpa”(omelia sulla penitenza).
La Chiesa dunque sarà il nostro riparo: uniti a Lei imploriamo l'aiuto del Cielo contro le calamità che tanto ci opprimono; uniti a Lei ripetiamo l'invocazione liturgica con la quale si è ricorso, nel corso dei secoli, nelle Rogazioni: A fame, peste et bello libera nos Domine!