Il comunismo
INCOMPATIBILITA' DEL COMUNISMO CON IL CATTOLICESIMO. LA VERITA' DIMENTICATA (O CELATA) SUL COMUNISMO.
INTRODUZIONE
[...] Papa Pio XI, nell'Enciclica Divini Redemptoris, ha dichiarato che il comunismo è "intrinsecamente perverso" e ha condannato ogni possibilità di collaborazione tra esso e la Chiesa cattolica: questa decisione rimane valida ancora oggi, dinanzi a quella che è stata definita l'"evoluzíone" del comunismo, secondo la quale da alcuni anni a questa parte il comunismo sí sarebbe profondamente trasformato e avrebbe così ampiamente cambiato aspetto? La risposta a questa domanda presuppone la conoscenza e la comprensione di ciò che è il comunismo. Questa conoscenza appare oggi come un dovere imperioso per chiunque abbia una funzione da svolgere, un'azione o un'influenza da esercitare, decisioni da prendere in campo economico, sociale, politico, intellettuale, religioso.
Il comunismo resta un enigma per la maggior parte degli uomini e sembra pieno di contraddizioni e di mistero […] Sicuramente gran parte dei patrioti e dei cristiani ha assunto nei confronti del comunismo atteggiamenti assolutamente impulsivi e irrazionali, determinati da una ignoranza totale di esso, sia che lo combatta, come accadeva quasi sempre nell'anteguerra, sia che si getti tra le sue braccia, com'è successo recentemente. L'atteggiamento più grossolano è quello che confonde il comunismo con il disordine e l'anarchia: di conseguenza, quelli che lo combattevano in nome dell'ordine e della disciplina si meravigliano constatando l'ordine perfetto e la disciplina di ferro che regnano nell'esercito e nello Stato russi e nell'organizzazione comunista. Altri, invece, vedevano il comunismo soprattutto come un antimilitarismo, e lo combattevano per amore dell'esercito e delle tradizioni militari: quale sorpresa è stata per loro scoprire il formidabile militarismo sovietico! Per altri ancora il comunismo consiste nella soppressione di ogni forma di proprietà privata e nella distruzione totale del capitalismo, e lo combattevano per difendere la proprietà o per conservare il capitalismo: ma il regime sovietico non lascia oggi sopravvivere molte forme di proprietà privata, e non ha forse edificato un formidabile capitalismo di Stato? Infine, i cattolici vedevano soprattutto il comunismo come antireligioso: ed ecco che il regime sovietico pratica la tolleranza religiosa, mentre i comunisti tendono la mano ai cattolici cercando la loro alleanza. Pertanto, un grande numero di uomini che combattevano il comunismo stupidamente, senza conoscerlo, sono giunti oggi a pensare, altrettanto stupidamente, e senza uscire dalla loro ignoranza, che la Russia non sia più comunista o che il comunismo abbia rinnegato la tradizione di Marx e di Lenin. Di conseguenza questo nuovo comunismo diviene un alleato possibile, oppure, secondo una espressione consacrata dalla tattica politica e militare, "una carta da giocare".
Lo scopo di questo trattato non è di fare l'elogio o la critica del comunismo, di auspicare una posizione piuttosto che un'altra nei suoi confronti - lasceremo al lettore la libertà di trarre le sue conclusioni - ma semplicemente di documentare, di presentate i fatti come sono nella loro brutale nudità, in breve, di far conoscere il comunismo mediante una esposizione assolutamente oggettiva di ciò che esso è. Per fare questo, basta essersi data la pena che quasi nessuno si è data - di leggere le opere di Marx, di Engels e di Lenin, delle quali la maggior parte dei nostri contemporanei non ha letto neanche una riga; tutto vi è detto, e in modo molto preciso: basta leggerle. Se lo si facesse, si vedrebbe in modo particolare che nei testi composti tra il 1907 e il 1910 - dunque ben prima della rivoluzione russa e di quel periodo che si è poi chiamato "l'esperienza del potere" - Lenin ha preannunziato, per una fase ulteriore dello sviluppo dell'azione comunista, i minimi particolari della politica attuale della Russia, come per esempio il militarismo dello Stato comunista, la sua tolleranza religiosa e la mano tesa ai cattolici. E' sufficiente conoscere il comunismo per capire che, se vi è attualmente una profonda trasformazione di esso, questa trasformazione si realizza secondo le più genuine esigenze del pensiero di Marx e di Lenin, e secondo un piano di sviluppo deciso ormai da alcuni decenni con una logica rigorosa e implacabile.
[…] Forse alcuni immaginano che il comunismo consista unicamente in una dottrina economico-sociale, in un sistema che verta sostanzialmente su problemi economici e sociali. Niente affatto. I principi economici e sociali del marxismo non possono essere compresi se non in funzione dei principi filosofici di cui essi sono la rigorosa conseguenza. Il marxismo è una concezione totale dell'uomo e del suo destino, una guida globale di vita e d'azione per l'umanità. Non bisogna immaginarsi Marx come un agitatore politico o sociale; Marx era un filosofo che ha trascorso la sua vita a scrivere un numero imponente di grossi volumi filosofici, molto difficili da leggere. Lenin si è dedicato all'azione politica e sociale soltanto dopo essere stato anche lui un filosofo discepolo di Marx, ed è da questa filosofia che sono derivate tutta la prassi comunista e tutta l'organizzazione dello Stato sovietico. […] Bisogna attribuire la completa ignoranza della natura del comunismo, oggi così diffusa, al rifiuto di inoltrarsi sul terreno filosofico, di risalire fino alle origini filosofiche, che tutto spiegano e da cui tutto deriva. Non meravigliamocene: tutta la storia delle civiltà e delle grandi trasformazioni storiche è dominata e si spiega per mezzo di principi filosofici e religiosi, di cui la potenza del denaro e delle armi è sempre e soltanto uno strumento; da questi principi filosofici e religiosi nascono i caratteri essenziali di ogni epoca e le grandi trasformazioni della storia.
Come il Medio Evo è derivato dai principi cristiani, il Rinascimento dal pensiero degli umanisti, il secolo XVII dalla filosofia di Cartesio e dal giansenismo, la Rivoluzione del 1789 dai filosofi del secolo XVIII, così il comunismo è derivato dalla filosofia di Marx, Engels e Lenin. Si resterà sempre alla superficie dei problemi della nostra epoca e non si potrà mai svolgere azione duratura e profonda finché non ci si deciderà a prendere in esame quei principi filosofici che sono il fondamento di ogni vita civile. Come far capire la filosofia di Marx nella sua efficacia storica e nella sua azione per trasformare il mondo? [...] La filosofia di Marx è l'esito, il frutto più maturo, il risultato ultimo di tutto il pensiero moderno: impossibile farla comprendere senza ripercorrere a grandi linee le principali tappe di questo pensiero moderno e senza evidenziare per quale strada si sia arrivati al marxismo. Inoltre, il pensiero moderno - e la sua espressione ultima, il marxismo - possono difficilmente essere capiti se non si comprende a che cosa si oppongono. Tutta la filosofia moderna, infatti, si è costituita in opposizione e attraverso la critica progressiva di ogni concezione cristiana e tradizionale. Vedremo che il marxismo non è altro che la negazione assoluta di tutti i principi cristiani e tradizionali. Crediamo, dunque, che sia impossibile comprendere adeguatamente il marxismo in ciò che ha di più sconcertante, senza comprenderlo nella sua opposizione totale al cristianesimo e a tutto il pensiero tradizionale dell'umanità. Eccoci dunque obbligati a percorrere una via molto lunga per portare il nostro lettore a una comprensione più chiara del comunismo. Dapprima dobbiamo richiamare le convinzioni fondamentali sulle quali si basa da venti secoli il pensiero cristiano, e vedremo come il comunismo affermi punto per punto il contrario di esso; poi dovremo mostrare come il pensiero moderno, formatosi gradualmente in opposizione a tali convinzioni, abbia dato alla fine il suo frutto più completo, con il marxismo.
PENSIERO CRISTIANO E PENSIERO MODERNO
Si tratta dunque anzitutto di mettere in rilievo alcune convinzioni fondamentali del pensiero cristiano e tradizionale, per meglio comprendere, confrontandole con esse, le posizioni marxiste che vi si oppongono. [...]
La prima convinzione fondamentale, non soltanto del pensiero cristiano, ma di tutto il pensiero umano fino a due secoli fa, è che l'affermazione umana abbia un significato; che "sì" e "no" siano due parole con un senso compiuto e non intercambiabili (il "sì, sì; no, no" proclamato da Gesú nel Vangelo: che si sia sí e che no sia no); che non si possa dire un giorno il contrario di quanto si è detto il giorno precedente senza essere infedele al proprio pensiero e senza essere almeno una delle due volte in errore; in altre parole, che esista una verità e un errore che non si confondano tra loro. […] Procediamo: è convinzione spontanea di ogni uomo, non solo che esista una verità distinta dall'errore, ma anche che questa verità non dipenda da noi; che noi non ne siamo arbitri; che essa si desuma da ciò che è e s'imponga alla nostra intelligenza. Per esempio, un fatto che s'impone alla nostra intelligenza è il riconoscere che 2 + 2 = 4 e non dipende da noi che sia diversamente, come pure riconoscere che l'uomo è bipede e non dipende da noi che sia diversamente. Si e no hanno un senso per la generalità degli uomini, perché la generalità degli uomini pensa che la nostra intelligenza debba riconoscere la realtà quale essa è, e che le cose siano quelle che sono e che non dipenda da noi che esse siano diversamente. La prima convinzione fondamentale del pensiero comune è la dipendenza della nostra intelligenza dalla verità o dalla realtà da conoscere.
La seconda convinzione fondamentale è che esistano un bene e un male; cose buone e cose cattive; che il bene e il male non siano la stessa cosa; e che il bene sia da amare e da ricercare. Per l'uomo comune, la parola "buono" ha un senso, come la parola "sì" e la parola "vero". E anche qui bisogna andare oltre la convinzione spontanea che non dipenda da noi che ciò che è buono sia cattivo e ciò che è cattivo sia buono; che il bene e il male esistono nella realtà; e che ciò che è bene s'imponga alla nostra volontà per essere amato e ricercato; e ciò che è male, per essere evitato. Per esempio: non abbiamo inventato noi che la lealtà e la sincerità sono cose buone e che la menzogna è, invece, una cosa cattiva. Anche in questo caso la convinzione fondamentale del pensiero comune afferma una dipendenza: la dipendenza della nostra volontà dal bene da amare e da volere.
Precisiamo e approfondiamo il significato di queste due convinzioni, usando un linguaggio più filosofico. Esse affermano la necessaria sottomissione del nostro pensiero e della nostra volontà a un oggetto che si impone loro e da cui esse dipendono, cioè la sottomissione del nostro pensiero alla verità da conoscere, e della nostra volontà al bene da amare e da volere. La sottomissione all'oggetto: ecco la regola spontanea della coscienza umana che il pensiero moderno si è accanito a demolire e che il marxismo ha abbattuto completamente. Ma perché questa sottomissione all'oggetto nel pensiero tradizionale? Per la convinzione che l'uomo sia un essere imperfetto, limitato, incompleto, che tende a perfezioni da acquisire, che deve dunque sottomettersi e subordinarsi a ciò che lo completa, lo perfeziona, lo realizza. La nostra intelligenza, inizialmente priva di ogni conoscenza e immersa nell'ignoranza, trova il suo arricchimento e la sua perfezione nella sottomissione alla verità, grazie alla quale acquisisce la scienza. L'uomo, cui mancano tante cose, trova il suo bene, si perfeziona e diventa migliore subordinandosi al bene da amare e da volere.
Le convinzioni prime che abbiamo ora indicato, sono alla base tanto del pensiero greco che del pensiero cristiano: esse sono puramente e semplicemente tradizionali. Ma il cristianesimo le spiega e dà loro fondamenti più profondi: la ragione della imperfezione umana, che esige la sottomissione dell'uomo su un oggetto per perfezionarsi, sta nel fatto che l'uomo è creatura; che non si è fatto da sé e che non ha creato la realtà che lo circonda, ma che tutto questo - sé stesso e tutte le cose - sono opera di Dio. Da ciò deriva una dipendenza radicale da Dio, che si trova alla base stessa dell'esistenza di ogni creatura. Perché la nostra intelligenza deve sottomettersi a una verità che le si impone e che non ne dipende? Perché non siamo noi ad aver fatto la realtà, ma è Dio che l'ha creata, e noi possiamo solo arricchire la nostra intelligenza - che nulla ha creato - con la conoscenza di questa realtà cosi com'è, cioè come Dio l'ha creata. La sottomissione al reale è, in ultima analisi, la sottomissione dell'intelligenza creata da Dio, creatore di questa realtà. Perché diventiamo migliori soltanto se la nostra volontà si sottomette a un bene da amare e da volere, che le si impone e non ne dipende, e se si subordina a fini da perseguire, nei quali troviamo le perfezioni che ci mancano? Perché Dio ci ha creati così. Perché non ci siamo fatti da noi stessi e non abbiamo deciso noi stessi la nostra natura, le sue leggi e le sue esigenze, ma siamo come Dio ci ha fatti, con in noi esigenze e bisogni di cui è autore. Se è questo o quel bene che bisogna amare e volere, questo o quel fine che bisogna perseguire per diventare migliori e perfezionarci, ciò deriva dal fatto che noi siamo così come siamo, dunque dal fatto che Dio ci ha creati così come siamo. Le leggi che ci conducono al nostro bene - cioè le leggi morali - derivano da ciò che siamo e, di conseguenza, derivano dall'Autore della nostra esistenza, dal quale dipendiamo; e noi non ne siamo gli arbitri. Creatura, l'uomo non ha niente da sé stesso: dipende da Dio, nella sua esistenza, nella verità da conoscere, nel bene da amare per perfezionarsi. La base del pensiero cristiano è l'affermazione di questa dipendenza radicale dell'uomo da Dio, dipendenza che non è affatto per lui una costrizione esterna, ma l'intima sorgente della sua stessa esistenza, come di ogni bene e di ogni perfezionamento.
Ecco il pensiero contro il quale, di fronte al quale si è costituito il pensiero moderno fino ad approdare al marxismo, che ne è la negazione radicale.
La corrente dominante che ha guidato tutto questo pensiero moderno e ne ha segnato le tappe principali, è ciò che in filosofia si chiama idealismo. Ci si stupirà, forse, che da lì si debba approdare al marxismo, che è comunemente conosciuto come materialista; eppure Marx è un discepolo di Hegel e il suo pensiero si è formato alla scuola di Hegel che per altro è all'origine di tutti i grandi totalitarismi contemporanei. Ora, Hegel è precisamente il termine della corrente idealista, il filosofo che ha professato ciò che si chiama l'idealismo assoluto, e vedremo che, per capire il marxismo, bisogna spiegarlo con quanto chiameremo un rovesciamento materialista dell'idealismo hegeliano.
Che cos'è dunque l'idealismo? Alla base di tutto il pensiero moderno vi è un atteggiamento d'orgoglio, una rivendicazione d'indipendenza totale dello spirito umano che si manifesta nel rifiuto di quella sottomissione all'oggetto che era alla base del pensiero cristiano: l'uomo vuole trovare tutto in sé stesso e solo in sé stesso, senza dover riconoscere alcuna dipendenza né doversi sottomettere. L'idealismo è l'intelligenza che vuole trovare tutto in sé stessa, nelle proprie idee o concezioni, e rifiuta qualsiasi sottomissione a una verità che le si imponga, che da lei non dipenda e che non sia una costruzione dello spirito. L'idealismo è lo spirito umano che vive nelle sue proprie costruzioni, senza dipendere da alcuna realtà da conoscere cosi come essa è. Il pensiero, per l'idealismo, non è conoscenza di una realtà oggettiva che lo domini e lo modelli, ma è semplicemente ideale e pura costruzione dello spirito, che si sviluppa secondo le proprie leggi, che sono le leggi dello spirito indipendente da qualsiasi realtà che non sia in tale convinzione. E' facile vedere fino a che punto questo sistema filosofico abbia impregnato gran parte della psicologia contemporanea. Basta osservare come gli uomini, in tutte le loro attività, si allontanino sempre più dalla sottomissione al reale, dalla docilità a ciò che è per ascoltare solo le costruzioni del loro spirito, fino al giorno in cui esse si infrangono contro la realtà esistente, di cui non hanno voluto tenere conto. In modo particolare si può notare come l'uomo contemporaneo sia fecondo di costruzioni sociali che sono pure creazioni dello spirito, puri schemi geometrici e giuridici concepiti a priori e vuoti di qualsiasi realtà umana: quasi bastasse un decreto della "Gazzetta Ufficiale", che crei un quadro giuridico e amministrativo, per fare esistere una società reale fatta di uomini vivi.
Bisogna anche rilevare - cosa che sulle prime sorprende e richiede riflessione per essere compresa - le solidarietà profonde esistenti tra idealismo e materialismo. Infatti, il nostro pensiero non ci è imposto dalla realtà da conoscere, se i nostri giudizi non sono regolati dalla pura verità oggettiva, se sono pure creazioni del nostro spirito, da dove mai potranno derivare? Se il nostro pensiero e i nostri giudizi non sono più sottomessi alla verità, essi si formeranno secondo l'arbitrio delle nostre passioni, delle nostre preferenze sentimentali, dei nostri istinti animali, dei nostri interessi materiali; vale a dire, insomma, che dipenderanno dalla struttura del nostro organismo, dallo stato dei nostri nervi e delle nostre ghiandole, e tutto alla fine dipenderà dalle sole forze materiali; vediamo già come il materialismo marxista potrà allacciarsi a un principio idealista.
Un'altra solidarietà è quella che lega l'idealismo al pragmatismo, vale a dire alla filosofia che afferma il primato dell'azione e che basa tutto su di essa. Anche questo a prima vista sorprende, ma riflettendo si capisce che, se non esiste più una realtà da conoscere una verità da contemplare, se esistono solo le costruzioni dello spirito, ne deriva che c'è solo da agire (essendo il pensiero stesso creazione, cioè azione), c'è solo da vivere in una funzione perpetuamente e unicamente costruttrice. Per contemplare è necessario un oggetto: la contemplazione è assimilarsi all'oggetto, abbandono e sottomissione di sé all'oggetto. Il rifiuto dell'oggetto e di ogni sottomissione o dipendenza, conduce fatalmente all'azione pura. Anche qui si vede come il puro pragmatismo marxista si possa allacciare a una origine idealista. Ogni atteggiamento anticontemplativo, ogni attivismo, è sulla via del marxismo.
Ci rimane ora da esaminare come l'idealismo, che guida tutto il pensiero moderno sulla china che conduce al marxismo, abbia potuto nascere e svilupparsi per tappe. Il primo germe di questo idealismo si trova nel secolo XVII in Cartesio, per il quale l'anima umana è un puro pensiero, un puro spirito del tutto indipendente dal corpo e dai sensi (di modo che tutta la vita animale, tutto ciò che non è nell'ordine del puro pensiero, è abbandonato a un completo materialismo, materialismo oltre il quale presso gli enciclopedisti del secolo XVIII non sussisterà più nulla). Ne deriva che per Cartesio il pensiero non dipende dal reale, è separato dal reale e basta a sé stesso. Se Cartesio mantiene, malgrado questo, una verità che domina il pensiero, ciò avviene perché questo pensiero per lui dipende direttamente da Dio, che è l'unico garante della verità di esso. Circolo vizioso, perché bisogna supporre la verità del pensiero per scoprire la verità di Dio, che diventerà poi la garanzia della verità del pensiero stesso.
Basterà sopprimere questo intervento divino, che assicura al pensiero la sua conformità al reale, perché il pensiero sia definitivamente rinchiuso in sé stesso, senza alcun legame possibile con una realtà, che diventa così inconoscibile. Questo passo è compiuto da Kant, primo maestro dell'idealismo moderno e della filosofia tedesca che, da Kant a Fichte e da Hegel a Marx, dominerà tutto il pensiero moderno. [...] Per Kant, il pensiero è ormai solo creazione dello spirito umano, secondo lo sviluppo autonomo delle sue proprie leggi. Allora non vi e più una verità che s'impone, e questa autonomia del pensiero genera la dottrina della libertà di pensiero, con la quale ogni uomo diventa padrone del suo pensiero, senza che alcuna regola di verità s'imponga a lui. D'altra parte la stessa cosa Kant sostiene riguardo alla coscienza umana, che sarà l'unica sorgente della propria legge, si creerà da sola la sua regola di condotta o la sua morale, da cui la libertà di coscienza. Queste due libertà, questo fondamentale rifiuto di necessità oggettive che non dipendono dall'uomo e alle quali l'uomo deve sottomettersi, costituiscono l'origine di tutto il liberalismo moderno, della totale rivendicazione d'indipendenza assoluta dell'uomo.
Questa è solo la prima tappa dell'idealismo. La seconda sarà percorsa da Fichte, un discepolo di Kant. Kant supponeva, al di fuori dello spirito creatore del suo pensiero, una realtà inconoscibile: questo reale inconoscibile è ancora troppo per l'idealismo; e in Fichte non rimane che l'Io autore del pensiero, quell'Io il cui dinamismo operante crea il pensiero. Non bisogna credere che queste siano solo fantasticherie di filosofi, senza conseguenze per la vita dei popoli. [...] Se non vi è più una realtà stabile che sia e duri, rimane solo il dinamismo dello spirito operante, ed è finita per le forme stabili del diritto e della morale; resterà solo un'azione senza regola morale, che si adatta al dinamismo della vita e si conforma a tutti i bisogni vitali della potenza germanica. Si comprende quindi che in questo sta la sorgente di tutto ciò che ha costituito la base del germanesimo da più di un secolo: la rivendicazione dei bisogni della vita, dell'azione, dello spazio vitale, contro il diritto e la morale. Proprio a tale filosofia la Francia deve quattro invasioni.
L'idealismo assoluto, tuttavia, è ancora ben lontano dall'essere realizzato con Fichte, e lo sarà soltanto grazie a Hegel, che regna all'Università di Berlino nel secolo scorso e che avrà Marx come discepolo. In effetti l'Io di Fichte è ancora una realtà con la quale l'idealismo, negatore di qualsiasi realtà, non ha niente da spartire: Hegel percorre l'ultima tappa dell'idealismo ammettendo solo l'Idea pura, la cui evoluzione genera contemporaneamente tutte le coscienze individuali, e tutta la storia del mondo. Nella filosofia di Hegel non esiste più alcuna realtà, l'Idea è tutto: ecco l'idealismo assoluto. Ma se l'Idea permane, essa non può evolversi e costituire tutta la storia. La storia nascerà da ciò che Hegel chiama la dialettica, e questo è di importanza capitale, perché il materialismo di Marx si caratterizzerà come " materialismo dialettico ".
Abbiamo già osservato che l'uomo comune ammette spontaneamente che sì non è no, che sì e no si escludono a vicenda, che ogni cosa è ciò che è, e che l'assurdo o la contraddizione sono impossibili. Hegel (e Marx lo seguirà) rifiuta questa convinzione spontanea: l'Idea non è ciò che essa è, perché diviene, cambia continuamente ed esiste solo per contraddirsi, per rinnegare sé stessa incessantemente, di modo che il sì chiama il no, e si confonde con il no nel mutamento; così non vi è nulla di ciò che esiste che perduri se non la contraddizione continua in una continua evoluzione. Con la dialettica, l'idealismo assoluto diventa un evoluzionismo assoluto e se Marx cambierà l'idealismo in materialismo, conserverà però la dialettica e l'evoluzionismo, in modo che si potrà comprendere il suo pensiero solo riallacciandolo a quello di Hegel. La dialettica presenta tre fasi: la tesi, in cui l'idea compare; l'antitesi, in cui si passa alla contraddizione; la sintesi, punto di partenza di una nuova evoluzione. Ogni momento nega il momento precedente, ed è così che si crea la storia: la storia è una rivoluzione continua, l'idea è in un movimento continuo di azione rivoluzionaria per far la storia negando, contraddicendo e mutando ciò che è. Tutto ciò che si presenta come realtà si deve negare, distruggere, perché si faccia la storia nella contraddizione e nella rivoluzione continua. Non vi è più alcuna verità stabile, che sia vera oggi, ieri, domani: affermare e negare non hanno più senso, l'uno e l'altro si chiamano e si confondono, resta solo l'azione che fa la storia.
Hegel trova nello Stato e nella sua organizzazione militare e amministrativa l'idea che fa la storia; lo Stato è un'idea, una concezione creatrice di storia. E sarà lo Stato prussiano di Bismarck, che non conosce altra legge se non quella del suo proprio sviluppo, o lo Stato totalitario di Mussolini, che assorbe in sé gli individui, poiché le coscienze individuali hanno esistenza solo nell'idea che le produce nella sua evoluzione.
Hegel in realtà è all'origine di tutti i totalitarismi, che così sono tutti fratelli, poiché il razzismo hitleriano e il marxismo ne derivano entrambi, sebbene sotto aspetti diversi. Il nostro scopo, in queste pagine, è di soffermarci più a lungo sul marxismo: occorre tuttavia far notare in poche frasi la derivazione dell'hitlerismo da Hegel. L'hitlerismo è ciò che si potrebbe chiamare una trasposizione vitalistica della filosofia di Hegel: esso si oppone all'idealismo facendo delle idee un semplice prodotto, un semplice strumento o un organo della vita, delle forze vitali che sono il vero agente creatore di storia. E ritroviamo l'evoluzionismo assoluto applicato alla forza creatrice, al dinamismo della vita che si trova al piú alto grado nella razza superiore: la sola legge della storia sarà l'espansione vitale della razza superiore, e non vi sarà altra verità né altro diritto all'infuori delle esigenze continuamente mutevoli dell'espansione vitale della razza. Ed è questa razza superiore il grande agente di rivoluzione, che modella la storia e crea la verità e il diritto con le sue necessità vitali. Da tutto ciò derivano quelle che ci sembrano le contraddizioni continue dell'hitlerismo: Hitler potrà dichiarare che riconosce le frontiere della Polonia quando l'espansione tedesca ha bisogno della benevolenza polacca per attaccare i Ceki; poi, sei mesi più tardi, si scaglierà contro le stesse frontiere polacche quando l'espansione tedesca si volge verso la Polonia. La verità e il diritto in tal modo cambiano con le esigenze di espansione vitale della razza, che fanno la verità e il diritto; la storia è fatta di contraddizioni perenni della vita, il cui dinamismo rivoluzionario unisce il sì con il no, l'affermazione con la negazione, per realizzare un'opera gigantesca di trasformazione.
Ma l'hitlerismo è solo una trasposizione vitalistica dell'idealismo hegeliano. Il marxismo ne è una trasposizione più completa, una trasposizione materialistica, e quindi un vero capovolgimento.
LA FILOSOFIA MARXISTA
Il marxismo è una trasposizione materialista della filosofia di Hegel: vogliamo con ciò dire che esso si oppone all'idealismo (e opera un vero e proprio capovolgimento del sistema hegeliano) facendo delle idee un semplice prodotto dell'evoluzione delle forze materiali nel cervello umano, di modo che le forze materiali vengano a essere il vero agente creatore di storia. L'Idea, che era tutto per Hegel, non è niente per Marx, se essa non è il prodotto di un cervello, esso stesso prodotto delle forze materiali: in questo modo il materialismo è integrale. Ma questo materialismo conserva l'evoluzionismo assoluto di Hegel: non c'è alcuna realtà che sia, che resti o che perduri, vi sono solo forze materiali in perenne conflitto e, di conseguenza, in perenne contraddizione; l'azione e il conflitto di tali forze, creatori di perenni trasformazioni, fanno della storia - che ne è il frutto - una perpetua evoluzione nella contraddizione e nella lotta. Questo materialismo è dunque un materialismo storico, un materialismo per il quale non esiste niente altro che la storia, ed essa stessa è solo un cambiamento incessante, generato dalle forze materiali in incessante lotta. Esso, poi, è anche un materialismo dialettico, essendo l'evoluzione storica fatta di un ritmo di opposizioni generatrici di cambiamento ed essendo ritmata per tesi, antitesi e sintesi, come in Hegel. Non vi è dunque per Marx alcuna verità che meriti un sì o un no, che darebbe un senso a un'affermazione, ma sì e no, affermare e negare, si chiamano e si confondono nella contraddizione, principio del cambiamento; l'evoluzione nega domani ciò che oggi afferma, soltanto la contraddizione è regina e non esiste alcuna verità da affermare.
Ci si inganna dunque profondamente quando si dà alla parola "materialismo" il suo significato più comune, per attribuirlo al marxismo. Marx ha definito la sua filosofia come materialismo "storico" o "dialettico": la maggior parte dei nostri contemporanei, ignorando Hegel e non sapendo ciò che questo significhi, dimenticano le parole "storico" o "dialettico" e perciò considerano il marxismo come un materialismo comune, non ricordando altro che la parola "materialismo". Ora, si chiama normalmente materialismo la filosofia che considera la materia come l'unica realtà; tuttavia questo materialismo ammette una realtà, quella della materia, di una materia che esiste e che dura e che è la sostanza di cui sono fatte tutte le cose. Essa ammette dunque una verità, la verità che afferma la realtà della materia e spiega tutto con la sola materia. Marx ha solo sarcasmi per questo materialismo, che qualifica come materialismo "contemplativo" o "dogmatico" (contemplativo, perché considera la materia come una realtà o un oggetto da conoscere; dogmatico, per la sua affermazione della realtà della materia) opponendolo al suo materialismo storico o dialettico. Per Marx non vi è alcuna realtà materiale che esista e duri, vi sono solo forze materiali la cui azione perennemente trasformatrice non lascia esistere nulla ( “Tutto ciò che esiste merita di morire” dice Engels) Non è dunque la materia, ma il conflitto incessante delle forze materiali in azione, a costituire la base della sua filosofia. [...]
Lo spirito, per Marx, non ha un grado maggiore di esistenza della materia stessa: esso è il prodotto delle forze materiali. Ma può essere uno strumento potente dell'azione delle forze materiali agenti nella storia; e i marxisti non temeranno - a causa della natura del loro materialismo - di servirsi all'occorrenza di un linguaggio spiritualista, per prendere in esame l'azione storica delle idee o di altre forze spirituali (morali o religiose, per esempio) quali organi potenti per l'azione delle forze materiali che lottano e agiscono attraverso i cervelli umani. Dottrina, ideali, costumi, doveri, religione, tutto questo è solo il prodotto delle forze materiali e lo strumento della loro azione. Neppure l'individuo ha un grado maggiore di esistenza propria: egli è solo una rotella dell'immenso conflitto delle forze materiali che modella la storia. Quale sarà il posto e il destino dell'uomo in una simile concezione? L'uomo non ha più verità da conoscere: non c'è alcuna realtà esistente o stabile che possa essere oggetto di conoscenza, neppure la materia, come nel materialismo contemplativo o dogmatico (Engels dice: “Questa filosofia dialettica dissolve tutte le nozioni di verità assoluta, definitiva, e le condizioni umane assolute che vi corrispondono. Non vi è niente di definitivo, di assoluto, di sacro, davanti ad essa; essa mostra la caducità di tutte le cose e non esiste altro per essa che il processo ininterrotto del divenire e del transitorio”).
Ogni ricerca di verità, ogni affermazione di dottrina, ogni atteggiamento contemplativo, sono impietosamente rifiutate. Non resta che agire, realizzarsi per mezzo dell'azione, coinvolgendo sé stessi nella lotta e nel conflitto, esercitare l'azione trasformatrice, che plasma l'evoluzione perpetua della storia. Non v'è esistenza che nell'azione, e nell'azione materiale: non si esiste se non agendo e trasformando continuamente sé stessi attraverso la propria azione. Per Marx l'uomo non è niente altro all'infuori dell'azione materiale che svolge, e non possiede realtà diversa dall'azione materiale da lui esercitata. Questa è l'essenza stessa del marxismo, che è una filosofia dell'azione materiale pura, un totalitarismo dell'azione materiale (come l'hitlerismo è un totalitarismo dell'espansione vitale). Ne risulta immediatamente che per il marxismo l'uomo tanto più esisterà e tanto più sarà uomo, quanto più eserciterà un'azione materiale potente: e qui è contenuto tutto il marxismo. Con la sua azione materiale l'uomo fa la storia, così che tutta la storia umana, è solo la storia dell'azione produttiva dell' umanita e nient'altro che il conflitto tra le forze produttive; ogni epoca della storia è solo un sistema e una lotta di forze produttive. L'uomo esiste perché modifica il mondo con il suo lavoro, l'umanità si genera dal conflitto delle forze produttive. L'uomo è lavoro ed esiste solo modificando il mondo col suo lavoro: nell'uomo vi è solo il lavoratore. Il lavoratore è l'essenza dell'umanità, il marxismo è un totalitarismo del lavoro. Pertanto non è solo la storia che l'uomo crea e trasforma senza tregua con la sua azione materiale, ma anche e soprattutto sé stesso. Cogliamo qui fino a che punto marxismo e cristianesimo siano agli antipodi e diametralmente opposti . Il cristianesimo pensa che l'uomo sia stato creato da Dio e abbia ricevuto da Dio una natura umana stabile che lo fa essere e rimanere uomo, il marxismo invece pensa che l'uomo si crei da sé, si dia da sé la propria esistenza e si modifichi senza tregua per mezzo della propria azione materiale. Non si può eliminare l'idea di Dio in un modo più totale che sopprimendo l'idea di qualsiasi esistenza che venga da lui per riconoscere soltanto quella di un'azione eternamente modificatrice. Il marxismo non riconosce alcuna natura umana stabile che faccia sì che l'uomo sia uomo. L'uomo con la sua azione si dà da sé stesso la sua natura e la modifica senza sosta; l'uomo cambia la sua natura cambiando il sistema delle forze produttive. Il lavoratore industriale di oggi non è più lo stesso uomo che era il contadino e l'artigiano di un tempo; ha cambiato natura, è un'altra umanità che si è generata attraverso la rivoluzione industriale, come è una nuova umanità che deve generarsi attraverso la rivoluzione marxista (Marx scrive: “Tutta la storia è solo una trasformazione continua della natura umana”).
Ogni grande opera storica è dunque un vero snaturamento dell'uomo: essa consiste nel cambiare l'essenza dell'umanità. Da qui la volontà marxista di strappare il più possibile l'uomo alla natura, al ritmo naturale delle stagioni e della vegetazione, che sfugge in parte alla sua azione, per giungere a un mondo completamente meccanizzato che sia pura creazione del lavoro umano. Si tratta di ricreare un mondo che non sia quello creato da Dio, ma soltanto opera dell'uomo. In questo senso il marxismo è un umanesimo totale; per esso niente esiste se non attraverso l'azione umana, e non riconosce niente altro che l'uomo, il quale si fa da sé attraverso la propria azione. L'azione umana, come la concepisce il marxismo, è essenzialmente rivoluzionaria: l'uomo tanto più esisterà e sarà tanto più uomo, nella misura in cui trasformerà più profondamente ciò che esiste e trasformerà più profondamente sé stesso. Nel rifiuto assoluto di ogni verità da conoscere o riconoscere, di ogni contemplazione di ciò che è, il marxismo chiama l'uomo alla più gigantesca opera di rivoluzione, alla più potente azione di trasformazione e di sconvolgimento. Per Marx non vi è altra verità all'infuori delle esigenze dell'azione materiale più potente e delle necessità dell'azione rivoluzionaria. A seconda del cambiamento di queste esigenze e di questi bisogni, la verità cambierà dall'oggi al domani, il sì si muterà in no, poiché l'affermazione non esprime alcuna verità e ha il solo scopo di esprimere le esigenze dell'azione. Non è dunque per conversione, né per ipocrisia che i comunisti cambiano senza tregua, e dicono e fanno ogni giorno il contrario di ciò che hanno fatto e detto il giorno precedente; ciò è conforme alle più pure esigenze del marxismo ed essi non sarebbero marxisti se agissero diversamente; poiché il marxismo è un evoluzionismo integrale, essi devono - in quanto sono marxisti - evolversi e contraddirsi senza tregua. Bisogna, una volta per tutte, convincersi che ciò che essi dicono non esprime alcuna verità, ma unicamente le esigenze della loro azione, poiché per essi niente esiste all'infuori di questa azione. L'azione è una evoluzione perpetua in cui il sì diventa no a ogni momento. Riconoscere una verità, equivarrebbe a riconoscere qualche cosa che esiste, e con ciò rinunziare a trasformarla con la propria azione. Per Marx, conoscere è niente, condurre un'azione è tutto (“Non si tratta di conoscere il mondo, ma di trasformarlo” scrive Marx).
Marx non s'interessa maggiormente a un ateismo contemplativo o dogmatico che a un materialismo ugualmente contemplativo o dogmatico: il suo è un ateismo pratico, un rifiuto di Dio attraverso l'azione creatrice di una umanità e di un mondo che non vengono da Dio. Ma il rifiuto di Dio è in questo modo molto più totale che in un ateismo dottrinale. Per rifiutare completamente Dio occorre un rifiuto totale di tutto ciò che è stato creato da Lui o che viene da Lui. Dunque non bisogna accettare nessuna realtà stabile, nessuna natura durevole che sarebbe nell'uomo e nelle cose, nessuna verità costante, ma occorre opporsi sempre a ciò che esiste trasformandolo con l'azione rivoluzionaria. Con essa ci si crea e si crea la storia, nel rifiuto di ogni dipendenza da Dio, e ci si pone in un atteggiamento che cosi è totalmente "senza Dio". Non solo in modo dottrinale, ma con il rifiuto pratico e totale di Dio i comunisti sono senza Dio, perciò essi si professano "senza Dio militanti". E qui, per qualificare il loro materialismo, bisogna porre l'accento sulla parola "militanti", come sulla parola "storico". Questa parola, "militanti", significa che si sopprime Dio non con una negazione intellettuale, come nell'ateismo dottrinale, ma con l'azione e la lotta rivoluzionaria contro tutto ciò che viene da Lui, contro tutta la sua creazione. [...] Il marxismo va all'estremo della rivendicazione d'indipendenza totale della creatura, ed è con ciò soprattutto che esso è l'ultimo frutto di tutto il pensiero moderno: è il rifiuto definitivo di qualsiasi realtà da cui l'uomo dipenderebbe e che gli si imponesse, sia che si tratti di una verità qualsiasi, di una realtà da conoscere così com'è, o che si tratti della sua stessa natura umana. Con l'azione, e l'azione sola, facendo sé stesso e la storia senza dipendere da nulla e da nessuno e senza accettare alcunché di esistente, l'uomo conquista una indipendenza assoluta, essendo solo creatore e trasformatore attraverso l'azione e nient'altro. Non è possibile un rifiuto più assoluto di ogni oggetto, di ogni esistenza che sia posta dinanzi e prima dell'attività umana che s'imponga a questa e la sottometta: la nostra azione non è sottomessa a niente e non dipende da nulla di esistente, c'è solo ciò che essa fa, nient'altro che l'azione pura.
Occorre qui fare bene attenzione a ciò che è la pura azione materiale rivoluzionaria per un marxista. Per l'uomo comune l'azione ha uno scopo, si agisce per ottenere o realizzare un bene, di modo che l'azione è subordinata o sottomessa a questo bene ricercato, il quale costituisce così un oggetto posto dinanzi al nostro volere come la realtà da conoscere dinanzi alla nostra intelligenza. E' evidente che il marxismo, non ammettendo alcuna dipendenza né alcun oggetto, non ammetterà neppure un bene da amare o realizzare in misura maggiore di quanto ammette che vi sia una verità da conoscere. Un bene e un male la cui distinzione e opposizione si impongano a noi, sono altrettanto inaccettabili per il marxismo quanto un sì e un no, una verità e un errore. Per il marxismo non vi è bene da amare né da realizzare, non c'è che l'azione da condurre. Ammettere un bene che sia un fine, qualche cosa di buono che si debba amare perché è buono, significherebbe imporre una dipendenza all'azione umana. Il marxista che vive il suo marxismo non può amare nulla, poiché l'amore mette in dipendenza dell'oggetto amato; il marxismo è il rifiuto definitivo di ogni amore come di ogni verità. Se un comunista ci presenta qualche ideale come un fine, per esempio l'ideale di giustizia sociale messo innanzi alle rivendicazioni operaie, oppure l'ideale patriottico, proposto oggi al popolo russo o al popolo cinese, è unicamente perché la presenza di un ideale nei cervelli umani diventa in questi casi un mezzo efficace per trascinarli all'azione e alla lotta, un organo o uno strumento d'azione e di lotta delle forze materiali. Stiamo certi, però, che il comunista che vive il suo marxismo, ha in vista solo l'azione rivoluzionaria e la lotta da condurre; l'ideale che mette avanti è solo un mezzo per condurre meglio tale azione e tale lotta, e non ha, in sé stesso, alcun valore ai suoi occhi: esiste solo in funzione di questa azione e di questa lotta e solo per tutto il tempo che è utile a essa.
Questa esposizione del marxismo ci mostra a qual punto, in tutto e totalmente, il marxismo stesso sia esattamente il contrario e l'opposto del cristianesimo e di tutte le concezioni cristiane, e con quale intelligenza inaudita e a dire il vero sovrumana, esso prenda di contropiede il cristianesimo e realizzi praticamente il materialismo e l'ateismo infinitamente meglio delle dottrine materialiste o atee. La filosofia cristiana dimostra l'esistenza di Dio partendo dall'esistenza dell'uomo e dell'universo e come causa e origine di questa esistenza; essa insegna che, se non ci fosse Dio a comunicare l'esistenza a esseri che non se la sono potuta dare da soli, bisognerebbe concludere che niente esiste. Il marxismo fa fronte rigorosamente a questa prova ammettendo che, effettivamente, niente esiste, e conclude che Dio non esiste poiché niente esiste; supponendo poi che si trovi, di fronte a noi o in noi, qualche esistenza che sia il segno e la traccia di Dio, esso insegna che non bisogna accettarla, ma sopprimerla attraverso l'azione rivoluzionaria che gli è propria. Così il marxismo resta solo un umanesimo esclusivo, che ammette solo l'azione umana. A questo umanesimo esclusivo il pensiero moderno, imperniato esclusivamente sull'uomo, doveva fatalmente pervenire. Chiunque vuole riconoscere soltanto la crescita e l'indipendenza dell'individuo o della persona umana, o anche della collettività o della società umana, e rifiuta di sottomettere tale crescita e indipendenza a Dio e alla sua legge e di orientarle verso Dio, apre fatalmente la strada al marxismo, sebbene solo il marxismo giunga al termine di questa strada. Chiunque rifiuterà il primato della contemplazione, l'abbandono dell'intelligenza a una verità da conoscere e della volontà a un bene da amare, per rifugiarsi nell'ebrezza dell'azione pura e curarsi solo di agire, è sulla strada del marxismo. Il capitale o l'industriale del secolo scorso o di oggi, che fa del lavoro produttivo e dei suoi risultati materiali lo scopo e l'essenza della vita umana, pianta un albero di cui il marxismo sarà il frutto. Tutti coloro che annunciano che la civiltà futura sarà una "civiltà del lavoro", ossia una civiltà in cui il lavoro è il valore supremo della vita, sanno poi che l'unica civiltà totalmente e unicamente "del lavoro" è il marxismo? Ma al punto di crisi a cui siamo giunti oggi, le soluzioni di compromesso non sono più possibili: si tratta di essere o marxisti o cristiani. Tra comunismo e cristianesimo bisogna scegliere: non si possono associare le due cose, o metterle d'accordo, o farle collaborare. Lo studio della filosofia marxista che abbiamo fatto sarebbe sufficiente se il marxismo fosse una dottrina. Ma esso non è una dottrina, nel senso corrente di questo termine, poiché non ammette alcuna verità da affermare al di fuori delle verità continuamente mutevoli e contraddittorie che risultano dalle esigenze dell'azione rivoluzionaria. Abbiamo mostrato la sua natura profonda dicendo che il marxismo è la ricerca dell'azione materiale più potente, dato che l'uomo esiste ed è uomo solo per mezzo di questa azione. Ne deriva che, nel marxismo, la filosofia non esiste senza l'azione, che essa si confonde con l'azione stessa, poiché afferma soltanto ciò che l'azione le fa affermare; di conseguenza non vi è filosofia marxista senza azione marxista e l'azione rivoluzionaria appartiene all'essenza stessa della filosofia, non avendo la filosofia altra funzione che non sia quella di realizzare l'azione materiale più potente. Per un comunista cosciente del proprio marxismo, il comunismo non è una verità (ed è per questo motivo che egli potrà senza tregua contraddirsi senza conversione e senza ipocrisia, ma in virtù del suo stesso comunismo e rimanendo perfettamente comunista), il comunismo è un'azione. [...].
Dunque, la natura stessa del marxismo esige che completiamo il nostro studio, esponendo l'azione marxista e il suo sviluppo da Marx e da Lenin ai giorni nostri.
L'AZIONE MARXISTA
L'azione rivoluzionaria marxista, in seguito a ciò che abbiamo appena spiegato, è molto diversa dalla nozione corrente di rivoluzione. Per l'uomo comune, che si propone di realizzare un bene, una rivoluzione è un mezzo in vista di un fine, che è una società migliore e durevole. Tale non è evidentemente la concezione del marxista, per il quale non vi è un bene da realizzare, ma soltanto un'azione da condurre. L'azione rivoluzionaria non è per lui un mezzo: essa stessa è voluta come l'opera gigantesca nella quale l'uomo nuovo creerà sé stesso, si tratta di trovare i mezzi di quella azione rivoluzionaria. Ora, all'epoca di Marx, si presenta un mezzo eccellente: l'estrema miseria e la totale insoddisfazione della classe proletaria. La felicità del proletariato non rappresenta un fine per il marxista, come si crede comunemente, ma la miseria del proletariato un mezzo per l'azione rivoluzionaria.
Niente poteva essere più conforme ai bisogni del marxismo quanto la condizione del proletariato nel secolo XIX. Per sviluppare una volontà rivoluzionaria totale, che non voglia conservare niente, che non mantenga niente di conservatore, che voglia trasformare tutto, creare una società completamente nuova, ci volevano uomini che non avessero rigorosamente niente, che fossero strettamente spogli di tutto. Ciò non fu sempre il caso del povero o dell'operaio, ma nel secolo scorso fu esattamente il caso del proletario. Supponiamo una classe di uomini che siano poveri, persino molto poveri, ma che per l'insieme delle istituzioni, delle abitudini, dei costumi, dispongano ciò nonostante di un certo numero di diritti, di una certa stabilità delle loro condizioni di vita e per conseguenza di una certa sicurezza di durata; che, tutto sommato, abbiano una condizione di vita assicurata e un posto riconosciuto nella società, per quanto piccolo esso sia. Questi uomini saranno forse malcontenti della loro situazione, ne reclameranno forse il miglioramento: reclameranno dunque certe trasformazioni, ma non reclameranno mai una trasformazione totale, non saranno mai totalmente rivoluzionari; essi hanno ancora qualche cosa da conservare, per quanto poco sia, e ancora per qualche aspetto parteggiano per l'ordine stabilito.
In tal modo l'operaio delle antiche corporazioni poteva in certi periodi vivere molto poveramente, ma aveva nella sua corporazione uno stato di vita riconosciuto, certi diritti, qualche cosa di sicuro. Era perciò radicato nell'ordine sociale, non era "proletario" nel senso in cui questa parola significa che non si è più partecipi, attraverso nessuna radice, dell'ordine sociale esistente, perché non vi si ha nessun diritto riconosciuto, nessuno stato di vita stabilito, nessuna sicurezza, e vi ci si trova come un semplice straniero, un viandante o un vagabondo, cioè in una instabilità totale. Ora, per il marxismo, tutto ciò che è stabilito o esistente, tutto ciò che ha stabilità o durata, è una abominazione, perché ostacola l'azione rivoluzionaria. Ciò di cui il marxismo ha bisogno è precisamente il proletariato.
A causa del liberalismo che ha soppresso ogni istituzione professionale per lasciare sussistere solo individui isolati completamente liberi, soltanto coloro che possiedono strumenti di lavoro avranno una certa sicurezza, un regime stabilito e durevole di vita e di lavoro.
Gli altri hanno per vivere solo la forza delle loro braccia da affittare giorno per giorno a quelli che possiedono gli strumenti di lavoro, che li adoperano a loro piacimento, avendo tutta la libertà di sfruttarli; essi divengono proletari, che non hanno nessun diritto da far valere, nessuna certezza del domani, nessuna di vita e di lavoro; costoro non sono più legati da nulla a una società che li ignora, non riconosce loro alcun posto, non fa che utilizzarli. In breve, essi sono abbandonati a uno sfruttamento totale, non avendo alcun diritto sugli strumenti di lavoro né sui frutti del loro lavoro, interamente posseduti da altri. Marx, che ha mirabilmente analizzato ciò, dirà che non si è fatto loro un torto parziale, ma un "torto totale"; essi si troveranno dunque di fronte al mondo esistente come inesistenti, in uno stato di negazione totale: cioè essi sono pronti per l'azione rivoluzionaria totale che Marx cerca. Non essendo inquadrati in alcuna forma sociale esistente, essendo sradicati da tutto ciò che ha esistenza stabile nella società, essi hanno la perfetta instabilità e l'indeterminazione della pura materia, e saranno la materia con cui si farà l'azione rivoluzionaria.
Il marxismo, che si identifica con l'azione materiale più potente, si identificherà dunque con l'azione rivoluzionaria del proletariato e consisterà nel determinare l'azione rivoluzionaria del proletariato. Il proletariato, per Marx, è la classe il cui stato completamente spoglio e sradicato creerà una potenza rivoluzionaria che permetterà l'azione più gigantesca di trasformazione e di produzione di un mondo nuovo. Tutto dunque consisterà nel fatto che i proletari prendano coscienza della loro solidarietà di classe nella loro comune miseria, e del loro ruolo rivoluzionario, del loro stato comune di sfruttamento e dell'azione rivoluzionaria alla quale questo stato li chiama: in poche parole, tutto consisterà nel far nascere in loro ciò che Marx chiama la "coscienza di classe", la coscienza di essere una classe sfruttata, di essere solidali in questo sfruttamento, e, cominciando da questo, solidali anche nel condurre una lotta di classe, la lotta di coloro che non soltanto non hanno nulla, ma che non sono nulla, contro tutti i possidenti, tutti gli inseriti, tutti coloro che sono qualcosa nell'ordine sociale esistente. Bisognerà anche far prendere coscienza ai proletari della forza
materiale del loro numero, della potenza materiale che essi rappresentano una volta uniti tutti nella solidarietà di classe e nell'azione rivoluzionaria. La lotta di classe dovrà essere interamente materialista: ogni ricerca di un bene spirituale, di un ideale religioso o morale distoglierebbe il proletariato dalla pura rivendicazione dei beni materiali di cui è stato spossessato secondo la formula classica, essa sarebbe per lui un "oppio" e gli impedirebbe di essere totalmente dedito all'azione rivoluzionaria di classe.
Ogni legame religioso, ogni legame con la famiglia o la patria, che rappresenti una stabilità qualsiasi, che porti il proletario a legarsi a qualche cosa, a non essere totalmente escluso, dovrà essere combattuta: il proletario deve essere totalmente dedito alla sua coscienza rivoluzionaria, alla sua lotta di classe al di sopra delle frontiere di tutti i legami umani. Da qui la formula internazionale: "Proletari di tutto il mondo, unitevi".
La sola collettività che il proletario deve conoscere è dunque la collettività di classe: è la sola dove non sia uno straniero, poiché non è più legato da nulla ad alcun ordine esistente. Ma dal disegno di questa collettività di classe, emerge il collettivismo integrale (da cui il nome di comunismo preso dal marxismo). La potenza materiale che deve imporsi e creare un mondo nuovo esiste soltanto nella collettività proletaria unita: l'individuo di per sé non è nulla, esisterà solo acquisendo la coscienza di classe, fondandosi nella sua collettività di classe, diventando un elemento della forza materiale collettiva della sua classe. Non si tratta di ottenere che gli strumenti di produzione cambino di mano rimanendo oggetto di proprietà individuale ("Nel comunismo -dice Lenin- tutti i cittadini sì trasformano in impiegati salariati dallo Stato". "Bisognerà - dice Marx - centralizzare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato"): si tratta di ottenere, e in questo consisterà il comunismo, la loro appropriazione collettiva da parte della classe proletaria organizzata per lo sfruttamento collettivo di tutte le ricchezze del mondo; di realizzare così la più grande potenza materiale di produzione, la gigantesca potenza materiale collettiva di trasformazione della terra per mezzo dell'industria umana che oggi la Russia sovietica vuole incarnare. Per quest'opera del proletariato organizzato, l'individuo dovrà piegarsi a una disciplina di ferro: sarà solo una rotella dell'azione rivoluzionaria collettiva, un meccanismo della potenza materiale collettiva, utilizzato come uno strumento per la potenza collettiva, come lo era lo schiavo dell'antichità.
Abbiamo visto che il proletario è lo strumento privilegiato per l'azione marxista a causa del suo stato di sfruttamento completo, che gli permette di essere totalmente rivoluzionario; ma lo è anche perché questo stato di proletario si riscontra proprio nella classe dei lavoratori dell'industria, e sappiamo che per Marx l'uomo non è nient'altro che il lavoratore: esiste solo trasformando il mondo con la sua industria. Basterà dunque che il proletariato organizzato si impadronisca collettivamente degli strumenti di lavoro per realizzare una società nuova che sarà solo lavoro, e in cui nessuna vita familiare, morale o religiosa distoglierà gli uomini dall'unica attività di lavoro dall'attività di potenza materiale di produzione per trasformare il mondo; in tale società tutta l'umanità sarà solo un unico produttore collettivo infinitamente potente, essendo ormai il singolo individuo soltanto un membro, un organo della potenza collettiva. Il marxismo viene così a identificarsi con la volontà di potenza materiale collettiva della classe proletaria.
Anche qui, sul piano del lavoro e della vita economica, l'opposizione assoluta tra il comunismo e il cristianesimo appare evidente. Nella concezione cristiana della vita, il lavoro è un mezzo, mezzo necessario che costituisce anche un dovere, ma soltanto un mezzo, per assicurare all'uomo le risorse materiali che gli sono necessarie e permettergli con questo di conseguire la perfezione della sua vita umana nelle attività superiori di ordine intellettuale, artistico, educativo, familiare e sociale, religioso. Il marxismo non ammette un bene superiore in vista del quale il lavoro sarebbe un mezzo: l'uomo si realizza nel lavoro e con il lavoro stesso. Il cristianesimo considera tutte le attività economiche (La stessa parola "economico", deriva del greco oìkos, che significa "casa" o "focolare" e nel suo senso originario si applica a tutto ciò che possa servire alla vita dei focolari, cioè delle famiglie)- produzione, scambio, attività di qualsiasi mestiere - come destinate ad assicurare il benessere delle famiglie dove gli uomini nascono, sono educati, conducono la loro vita, poiché la produzione materiale ha valore solo nella misura in cui serve alla vita degli uomini. L'economia marxista mira solo alla potenza materiale collettiva più gigantesca che possa esistere e riduce gli uomini a strumento di questa potenza (Si vede da ciò l'assurdità dell'atteggiamento di colui che arrivasse al marxismo per combattere il capitalismo, quando il marxismo è il frutto del supercapitalismo e completa la sua ricerca della sola potenza materiale; il cristianesimo rifiuta contemporaneamente il materialismo capitalista e il marxismo, subordinando l'uomo a valori superiori alla sola potenza materiale): poco importa alla Russia sovietica che in un certo anno, masse di esseri umani siano morte di fame, se ciò ha permesso di realizzare una certa tappa del piano quinquennale, mirante all'instaurazione della più grande potenza collettiva. Come l'hitleriano vive solo nella potenza vitale della razza, a causa di essa e per essa, così il comunista vive solo nella potenza materiale collettiva, a causa di essa e per essa.
Sappiamo, d'altronde, che per Marx la società umana è solo un insieme di rapporti di forze materiali di produzione, e che questi rapporti di forze devono causare la rivoluzione proletaria. Le idee che la propaganda fa nascere e diffonde sono soltanto le leve o le chiavi con le quali le forze materiali fanno presa sui cervelli per trascinare gli individui alla lotta. Ciò spiega perché la propaganda comunista - esattamente come quella hitleriana - non cerchi affatto di convincere di una verità, ma di trovare i mezzi più efficaci e gli slogan più adatti a far presa sui cervelli, poco importa se siano veri o falsi: l'importante è che siano efficaci e, in ogni caso, li si cambierà secondo le circostanze (Lenin vuole che il partito comunista sia "un partito capace dì seguire la mentalità delle masse e di influenzarle"). L'espressione "imbottire i cervelli" trova qui il suo significato più letterale, che non ha niente di peggiorativo da un punto di vista marxista: la propaganda e l'introduzione materiale nei cervelli della massa di idee-forza che li faranno agire per la lotta rivoluzionaria ( Lenin raccomanda "l'arte di acconsentire ai compromessi politici, il barcamenarsi, gli zigzag, le manovre di conciliazione e di ritirata, in breve tutte le manovre necessarie ad affrettare la presa del potere politico").
Chiarita la natura dell'azione rivoluzionaria marxista, ci resta ora da esaminare il suo sviluppo storico. Quando l'azione rivoluzionaria marxista comincia a porsi come tesi (non dimentichiamo la dialettica e l'evoluzione tesi - antitesi - sintesi), essa trova come ostacolo tutto ciò che esiste e costituisce un fattore qualsiasi di stabilità, tutto l'ordine sociale esistente, ed essa si opporrà alla totalità di questo ordine stabilito e a tutto ciò che può rappresentarvi una parte di conservazione o di durata. Questa totale opposizione potrà dare allora al marxismo un aspetto anarchico o nichilista: in realtà non vi è in esso un solo atomo di anarchia, poiché la lotta rivoluzionaria distruttrice è condotta con una disciplina di ferro e una coesione formidabile, che devono portare alla disciplina di ferro della collettività proletaria trionfante. Lo Stato comunista sarà il più dittatoriale e il più totalitario degli Stati (Lenin scrive: "La dittatura del proletariato è un dominio non limitato dalla legge, si regge sulla violenza"), poiché deve asservire totalmente l'individuo alla potenza materiale collettiva.
L'opposizione totale a tutto ciò che è stabilito, opposizione che costituisce la tesi marxista - cioè la prima fase dell'azione rivoluzionaria - prende di mira particolarmente la proprietà, l'esercito e la patria, la famiglia e la religione.
La proprietà sarà considerata come una abominazione, perché lega l'uomo a qualche cosa di esistente e lo radica. Essa impedisce agli uomini di essere proletari interamente disponibili per l'azione rivoluzionaria e, inoltre, per la potenza materiale collettiva. Ci si è talvolta stupiti nel vedere l'azione politica dei marxisti favorire lo sviluppo delle grosse, concentrazioni anonime capitaliste e danneggiare la piccola proprietà personale, contadina e artigiana. Questo stupore dimostra che non si è compreso niente del marxismo e che lo si immagina sotto la forma semplicistica della difesa dei "piccoli" contro i "grandi": il marxismo, al contrario, è la ricerca di una azione rivoluzionaria per la quale occorre il più grande numero di grossi possidenti. I piccoli proprietari, i piccoli padroni, non sono proletari; essi costituiscono qualche cosa di stabile, il cui grande numero sarebbe un ostacolo all'azione rivoluzionaria. Il grande numero dei piccoli proprietari soddisfatti renderebbe impossibile, alla collettività proletaria, l'appropriazione collettiva di tutti i beni. Il marxismo si comporta dunque in modo da favorire una proletarizzazione crescente, cioè da aumentare ogni giorno la grande massa dei proletari. Bisogna perciò che tutta la proprietà sia sempre più concentrata nelle mani di pochi: la più forte concentrazione capitalistica prepara la rivoluzione proletaria, che avrà solo da espropriare qualche grosso organismo capitalista per rimettere tutto nelle mani della collettività proletaria. […] Il supercapitalismo è d'altronde un inizio di collettivismo, perché concentra una proprietà immensa nelle mani di un solo organismo capitalista. Un piccolo numero di grossi organismi capitalisti anonimi, proprietari di tutto, si avvicina molto di più all'unica collettività proletaria anonima, proprietaria di tutto, che non milioni di piccoli proprietari e di piccoli padroni. Nel supercapitalismo, come nel collettivismo, il lavoratore è solo una rotella di un formidabile meccanismo anonimo. Marx, d'altra parte, ha analizzato con una lucidità mirabile come il desiderio sfrenato di guadagni sempre maggiori, desiderio scatenato dal liberalismo, trascina con sé fatalmente una concentrazione di capitali sempre maggiore e una proletarizzazione delle masse sempre in aumento, e come ciò a sua volta porti fatalmente alla rivoluzione proletaria e alla concentrazione totale nelle mani della collettività proletaria. Il marxismo deve, dunque combattere particolarmente tutto ciò che potrebbe sostenere la piccola proprietà personale e il piccolo padronato. Allo stesso modo deve combattere ogni tentativo di restaurazione corporativa che restituirebbe al lavoratore un posto riconosciuto e uno stato di vita in una organizzazione professionale e lo toglierebbe dalla condizione proletaria, radicandolo in un ordine sociale esistente.
Quando il marxismo si pone - al tempo della tesi - come lotta rivoluzionaria contro l'ordine stabilito, deve inoltre combattere l'esercito, la cui forza è al servizio di questo ordine stabilito, e la patria, nella quale gli uomini potrebbero trovare qualche legame con la società esistente, qualche radice nelle tradizioni stabilite. Se il proletario è uno sradicato totale, è anche un senza patria o non ha altra patria che la patria internazionale della classe proletaria rivoluzionaria. Questa fase dell'azione marxista è espressa da un inno come L'Internazionale.
Anche la famiglia è un elemento di continuità sociale, di durata, dunque di radicamento; essa non potrebbe trovare posto nella lotta rivoluzionaria, perché potrebbe solo impedire di darsi totalmente all'azione rivoluzionaria.
Quanto alla religione, sarà evidentemente la peggiore abominazione per il marxismo, poiché pretende di legare l'uomo a una verità e a un bene assoluti, in ultima analisi a Dio. "Ogni idea religiosa è un'abominazione indicibile", diceva Lenin. Abbiamo già spiegato l'opposizione totale esistente tra il marxismo e ogni idea religiosa ("La critica della religione è la prima condizione di ogni critica" dice Marx).
Ma l'azione marxista non si arresta alla tesi: essa si sviluppa nella storia e deve essere perpetuamente creatrice e contraddittoria, secondo le leggi della dialettica. La lotta rivoluzionaria deve sfociare nella presa del potere da parte del proletariato e nella costituzione dello Stato comunista di dittatura del proletariato (Marx scrive: "Il proletariato deve impadronirsi del potere politico, erigersi in classe nazionale dirigente, costituirsi lui stesso in nazione". Da cui Stalin: "Tutto consiste nel conservare il potere, nel consolidarlo, nel renderlo invincibile"). Ed ecco l'antitesi contrariamente alla lotta condotta precedentemente contro gli Stati esistenti, lo Stato comunista dovrà essere il più forte, il più potente e il più stabile degli Stati, che metta tutta la popolazione al proprio servizio con una disciplina implacabile, e che eserciti su di essa la dittatura più assoluta. Riguardo alla società comunista universale costituita dalla collettività proletaria organizzata, sarà il termine o la sintesi, ma si situa in un avvenire più o meno lontano; occorre tornare al presente, alla fase dell'antitesi, per esaminare l'azione marxista dello Stato comunista.
Non dimentichiamo che il marxismo non è altro che la ricerca dell'azione materiale più potente: ormai l'azione materiale più potente si trova nella potenza materiale dello Stato comunista. Ecco perché oggi il marxismo più puro non consiste in niente altro che nell'assicurare la più grande potenza materiale della Russia sovietica. Lo Stato comunista dispone della potenza rivoluzionaria per trasformare il resto del mondo (Stalin scrive: "Il fine: consolidare la dittatura del proletariato in un solo Paese e servirsene come punto d'appoggio"), con la sua forza materiale realizzerà l'opera gigantesca di trasformazione del mondo, dalla quale deve nascere una umanità nuova.
Allora - ed è qui che l'aspetto dell'antitesi è più tipico -, diventerà possibile recuperare tutti gli elementi che hanno potuto servire ai vecchi ordini stabili per farli contribuire alla potenza dello Stato comunista: si potrà dunque essere condotti a "tendere la mano" a tutto ciò che era stato dapprima rigettato, per recuperarne la forza per l'azione rivoluzionaria, donde una serie di posizioni contraddittorie imposte soltanto dalle esigenze dell'azione e che stupiranno solo coloro che ignorano la dialettica e la logica interna del marxismo (Stalin scrive: "In certi casi, in certe condizioni, il potere proletario può trovarsi costretto ad abbandonare provvisoriamente la via del cambiamento rivoluzionario dell'ordine di cose esistente, per impegnarsi sulla via della trasformazione graduale, [...] sulla via delle riforme e delle concessioni alle classi non proletarie al fine di disgregare queste stesse classi").
Se, per esempio, lo Stato comunista ha bisogno di incremento demografico per essere potente, e se la famiglia appare in determinate circostanze storiche come il mezzo più efficace di incremento, si incoraggerà la famiglia, per metterla al servizio della maggiore potenza dello Stato comunista.
Se la conservazione di certe forme di proprietà privata o di responsabilità personale appare come favorevole al rendimento della produzione, industriale o agricola, potendo con ciò contribuire alla maggiore potenza materiale dello Stato comunista, si giudicherà che queste forme di proprietà privata sono completamente conformi al comunismo.
Allo stesso modo si instaurerà una forte gerarchia e quadri privilegiati, se ciò è necessario ad accrescere la potenza dello Stato comunista.
Ma i due campi in cui la contraddizione tra le due fasi dell'azione marxista è più sorprendente, sono certamente quelli che riguardano l'esercito e la patria e quello che riguarda la religione. Certamente qui la politica di Mosca sorprende di più, ed è qui che essa è più conforme alle esigenze più profonde del marxismo e che le segue con la maggiore intelligenza.
Mentre l'azione marxista era antimilitarista prima della presa del potere e contro gli eserciti che sostenevano l'ordine stabilito da rovesciare, è evidente che lo Stato comunista, per avere la più grande potenza materiale, deve avere non soltanto l'industria più potente, ma anche l'esercito più potente ed essere il più militarista degli Stati, come ne è il più totalitario e il più dittatoriale.
La propaganda anticomunista di prima della guerra ha dato la misura della sua stupidità e della sua ignoranza cercando di far credere che il regime sovietico fosse un fallimento materiale: è evidente, invece, che si sarebbe dovuto accumulare la più formidabile potenza materiale là dove si metteva tutto in azione per questo, e solo per questo, facendo di una intera popolazione lo strumento integralmente consacrato a questa sola potenza materiale.
La stessa stupidità e la stessa ignoranza hanno impedito di capire che questo regime doveva tutto sacrificare per assicurare innanzi tutto la potenza del suo armamento e del suo esercito. La disciplina di ferro necessaria a un forte esercito è in tutto conforme alla costituzione di uno Stato in cui l'individuo è solo un ingranaggio dell'organizzazione collettiva messa interamente al servizio della potenza collettiva, e in cui ha esistenza solo dentro questa potenza collettiva. E' d'altronde facile fare rilevare le affinità profonde che esistono tra comunismo e militarismo. Il comunismo è il regime di caserma esteso a tutta quanta la vita e a tutto quanto il popolo; la caserma è l'istituzione più completamente comunista che possa esistere, poiché non lascia alcuna parte alla vita privata, fissa tutto con un regolamento nei minimi particolari, stabilisce rigidamente la parte di lavoro che ognuno dovrà fornire e la parte di vitto, vestiario e mobilio che riceverà, con una ripartizione e una distribuzione interamente collettive.
In ciò che riguarda la patria, lo Stato comunista dovrà dapprima utilizzare il sentimento patriottico delle popolazioni che esso domina come un mezzo particolarmente efficace per farle contribuire alla sua potenza e ai suoi successi, esattamente come nella fase precedente dell'azione marxista il sentimento di giustizia delle masse operaie era un mezzo particolarmente efficace per farle contribuire all'azione rivoluzionaria. Quanto a coloro che vivono all'estero, e non sono cittadini dello Stato comunista, è evidente che, se sono marxisti, dovranno considerare questo Stato come
la loro vera patria e tutto sacrificare ai suoi interessi. Per ciò che si riferisce al loro atteggiamento verso la patria alla quale appartengono legalmente, dipenderà esattamente da quanto esigono gli interessi dello Stato comunista, e, a seconda del variare di tali interessi, il loro atteggiamento potrà variare da un giorno all'altro. Questo atteggiamento sarà antipatriottico, antimilitarista, e spingerà alla sedizione e alla diserzione se la loro patria legale è in conflitto con lo Stato comunista. Se, al contrario, la loro patria legale è alleata dello Stato comunista, essi saranno i più patrioti, i più militaristi, i più zelanti. I loro cambiamenti di atteggiamento, le loro contraddizioni, sono perfettamente logiche: le esigenze dell'azione marxista, che costituiscono per loro la sola verità, richiedono che servano con tutti i mezzi gli interessi dello Stato comunista e seguano esattamente le fluttuazioni della sua posizione diplomatica. E quando lo Stato comunista è in guerra, il marxismo non può evidentemente consistere in niente altro che nel contribuire con tutti i mezzi alla vittoria dei suoi eserciti.
Più incompreso ancora è l'atteggiamento attuale del comunismo nei riguardi della religione, la tolleranza religiosa praticata nella Russia sovietica e la "mano tesa" dai comunisti ai cattolici. Questa incomprensione deriva dal fatto che si considera sempre il comunismo come un ateismo dottrinale invece di capire che esso è, come abbiamo spiegato, un ateismo pratico. Non si tratta affatto, per il comunismo, di opporre una verità atea a una verità religiosa. La propaganda dottrinale antireligiosa in sé stessa, se non è richiesta dalle esigenze dell'azione rivoluzionaria materialista, non interessa il marxismo, come tutto ciò che è dottrinale. Parlando dell'anticlericalismo massonico, Lenin definisce ciò "dilettantismo di intellettuali borghesi", e si capirà facilmente ciò che questa espressione sulla sua bocca può avere di sovranamente sprezzante. Il marxismo farà propaganda antireligiosa soltanto se ciò è utile all'azione rivoluzionaria, cioè soltanto nella misura, continuamente mutevole da un'ora all'altra, in cui la religione apparirà come un ostacolo attuale all'azione rivoluzionaria. Ma la vera azione antireligiosa del marxismo non consiste affatto nel combattere la religione da fuori con una propaganda contraria: consiste nel sopprimere la religione da dentro, nello svuotare gli uomini di ogni vita religiosa e di ogni concezione religiosa, prendendoli e trascinandoli interamente nell'azione puramente materialista. Vi saranno dunque molti casi in cui, per trascinare i cristiani in questa azione puramente materialista e con ciò svuotarli dall'interno di tutto il loro cristianesimo, bisognerà "tendere loro la mano" e offrire loro la collaborazione ("Non bisogna - dice Galperin - che vi presentiate alla gioventù cristiana con espressioni di lotta antireligiosa: sarebbe un grosso errore psicologico. Ma è facile trascinarla per qualche cosa: per la conquista del pane quotidiano, per la libertà, per la pace, per la società ideale i Nella misura in cui attireremo i giovani cristiani in questa lotta per obiettivi precisi, li strapperemo alla Chiesa"). Poco importa se con ciò si contraddice un atteggiamento che in precedenza era ostile: non si tratta né di conversione, né di ipocrisia: comandano soltanto le esigenze dell'azione. Se il successo dell'azione da condurre richiede la collaborazione dei cristiani, questo successo per un marxista deve evidentemente passare innanzi a tutto, e allora la verità marxista sarà "la mano tesa". E non è una scoperta recente, ma è conforme a una logica sviluppatasi da lungo tempo. Abbiamo detto che bastava prendersi la pena di leggere Lenin, - e il Lenin precedente la presa del potere - per trovarvi annunciata tutta la politica che è venuta dopo. Ecco un esempio particolarmente sorprendente. Nel 1909, allorché l'azione marxista è ancora nella fase della lotta antireligiosa aperta, Lenin spiega chiaramente ciò che sarà la politica della "mano tesa". Leggiamo dunque questo testo di una logica marxista implacabile: "Bisogna saper lottare contro la religione [...] non si deve confinare la lotta contro la religione in una predicazione ideologica astratta [...]. Bisogna collegare questa lotta alla pratica concreta del movimento di classe [...] Prendiamo un esempio. Immaginiamo il proletariato di una regione o di un ramo industriale formato da uno strato di socialisti molto illuminati, che, beninteso, sono atei, e di operai molto retrogradi, che hanno ancora dei legami con la campagna e la condizione contadina, che credono in Dio e frequentano la chiesa o perfino sono sottomessi all'influenza del prete del luogo, che, per esempio, sta per fondare un sindacato operaio cristiano. Supponiamo che la lotta economica in questo luogo abbia portato allo sciopero. Un marxista è forzatamente tenuto a collocare il successo dello sciopero in primo piano, a reagire risolutamente contro la divisione - durante questa lotta - degli operai in atei e cristiani, e combattere risolutamente questa divisione. In queste circostanze la propaganda atea può rivelarsi superflua e nociva [...] dal punto di vista del progresso reale della lotta di classe che, nelle condizioni della società capitalista moderna, condurrà gli operai cristiani al socialismo e all'ateismo cento volte meglio di un sermone ateo esplicito".
Non si potrebbe essere più chiari. Facciamo bene attenzione alla frase essenziale: in circostanze in cui l'azione marxista consiste in uno sciopero, "un marxista è forzatamente tenuto a collocare il successo dello sciopero in primo piano". Ne deduciamo che, nelle circostanze attuali, un marxista è forzatamente tenuto a collocare la potenza dello Stato sovietico innanzi tutto.
CONCLUSIONE
Chi non ha compreso tutto ciò, non può comprendere nulla del comunismo, né - di conseguenza - dei problemi attuali dominati dalla presenza e dalla potenza formidabile del comunismo. Fare conoscere il comunismo così com'è, in un modo puramente oggettivo, per permettere ai nostri lettori di giudicare i problemi di oggi e di prendervi posizione con conoscenza di causa, è tutta la ragion d'essere di questo libro.
E' chiaro che al giorno d'oggi, quando il pensiero moderno e il movimento d'indipendenza assoluta dell'uomo - che portano al primato dell'azione - hanno dato il loro frutto supremo nel marxismo, è vano cercare nella crisi attuale del mondo compromessi o soluzioni intermedie tra il cristianesimo e il comunismo. Bisogna scegliere l'uno o l'altro, il primato marxista della potenza materiale e dell'azione trasformatrice del mondo, o il primato cristiano della contemplazione che subordina l'uomo, in cerca della sua perfezione, alla verità da conoscere, al bene da amare e, infine, a Dio.
Edificare il regno di Dio o generare una potenza indefinita di trasformazione della natura: questo è il dilemma; ebrezza orgogliosa dell'azione rivoluzionaria che domina il mondo, o dono di sé per la costruzione della Città di Dio.
Jean Daujat (27/10/1906 - 31/05/1998)