10/Il battesimo e la tentazione di Gesù
Nei diversi misteri di Gesù Cristo sopra la terra, la Sapienza eterna ha disposto gli avvenimenti in modo, che le umiliazioni del Verbo Incarnato si alternano ognora con le rivelazioni della sua divinità: Cristo ci appare così nella verità della sua natura divina come nella realtà della sua umana natura.
La ragione profonda di questa celeste economia è di aiutare e di esercitare insieme la nostra fede, fondamento di ogni vita soprannaturale. I mirabili abbassamenti in cui l'amore sprofonda Gesù Cristo, conferiscono alla fede il suo merito, mentre la manifestazione delle divine prerogative le offre il suo appoggio. I misteri della nascita e dell'infanzia di Gesù sono segnati da questi contrasti di ombra e di luce che rendono la nostra fede «ragionevole» pur lasciandola libera; la vita pubblica ne sarà poi in tal modo ripiena, che i Giudei disputeranno aspramente sull'argomento della personalità di Cristo: agli uni non apparirà che come il figlio di un operaio di Nazareth, agli altri apparirà irrefragabilmente come l'inviato dell'Altissimo, annunziato da tutti i profeti per salvare e illuminare il mondo.
Noteremo questa soprannaturale economia negli avvenimenti coi quali Cristo, dopo i trent'anni di esistenza nascosta, dà principio alla vita pubblica: il suo battesimo per mezzo di Giovanni il Precursore nelle acque del Giordano, e la sua tentazione nel deserto.
Contempliamo Gesù in questi due misteri strettamente congiunti; vedremo in essi come la Sapienza infinita sia ammirabile nei suoi pensieri e fino a che punto Cristo, modello nostro, vuole precederci nella via sulla quale dobbiamo seguirlo per essere simili a lui.
I. Presentandosi a Giovanni per ricevere il battesimo di penitenza, Cristo compie un atto di profonda umiltà.
Voi sapete che Dio aveva costituito come Precursore, incaricato di annunziare ai Giudei la venuta del Verbo Incarnato, Giovanni figlio di Zaccaria e di Elisabetta.
Dopo un'esistenza di austerità, sospinto dall'ispirazione divina, Giovanni aveva dato principio, verso il suo trentesimo anno, alla, sua predicazione sulle rive del Giordano. I suoi insegnamenti si riassumevano in quelle parole: «Fate penitenza, perché il regno di Dio si avvicina» (Matth. III, 2). Alle sue incalzanti esortazioni, aggiungeva il battesimo nel fiume, per mostrare agli ascoltatori la necessità di purificare le loro anime e renderle meno indegne della venuta del Salvatore; questo battesimo non veniva conferito che a coloro che si riconoscevano peccatori e confessavano le loro colpe. Ora, un giorno che il Precursore «amministrava il battesimo per la remissione dei peccati», (Marc. I, 4) Gesù Cristo, per il quale era ormai suonata l'ora di uscire dall'oscurità della vita nascosta per manifestare al mondo i segreti divini, si unì alla folla dei peccatori e si presentò con essi per ricevere da Giovanni l'abluzione purificatrice.
Quando l'anima pia si ferma a pensare che colui il quale si proclama peccatore e che si presenta volontariamente per ricevere un battesimo di penitenza è la seconda persona della Santissima Trinità, colui cioè dinanzi al quale gli angeli si velano la faccia e cantano: «Santo, santo, santo», (Is. VI, 3) resta confusa davanti a questo prodigioso abbassamento. L'Apostolo ci dice che Cristo è «santo, innocente, senza macchia, segregato dai peccatori», (Hebr. VII, 26) ed ecco che Gesù medesimo si avanza come un colpevole, domandando il battesimo della remissione dei peccati! Che mistero è questo? Bisogna ricordarsi che in tutti i suoi stati il Verbo Incarnato adempie a un duplice ufficio, quello di Figlio di Dio, per effetto della sua eterna generazione, e quello di capo di una schiatta peccatrice di cui ha assunta la natura e che viene a riscattare. Come Figlio di Dio, può pretendere di assidersi alla destra del Padre suo per gioirvi della gloria che gli proviene nello
splendore dei cieli. Ma, come capo dell'umanità decaduta, avendo assunta una carne, colpevole nella razza, per quanto tutta pura in lui, In similitudinem carnis peccati, (Rom. VIII, 3) non potrà entrare in cielo alla testa del suo mistico corpo che dopo esser passato attraverso le umiliazioni della sua vita e i dolori della sua passione (Luc. XXIV, 26). Nel possesso della sua natura divina, Cristo, dice S. Paolo, non credeva di commettere una usurpazione proclamandosi uguale a Dio nella perfezione; ma per noi, per la nostra salute, è disceso negli abissi degli abbassamenti e, a questo titolo, il Padre suo lo ha esaltato dandogli quel nome di Gesù che contiene nel suo significato la nostra redenzione; esaltando il Figlio suo, «il Padre ci innalza fino al più alto dei cieli»: (Eph. II, 6). E' appunto per precederci che Cristo entra nei cieli (Hebr. VI, 20) tuttavia non vi farà il suo ingresso se non dopo di avere, col sangue suo, tutto pagato alla divina giustizia (Ibid. IX, 12).
Cristo viene infatti per liberarci dalla tirannica schiavitù del demonio sotto il cui potere l'umanità è caduta in seguito al peccato (Joan. VIII, 34); viene per salvarci dagli eterni supplizi che Satana avrebbe il potere di infliggerci, come ministro della giustizia divina (Matth. V, 25). Ora il Verbo Incarnato, Uomo-Dio, non compirà questa redenzione che sostituendosi a noi peccatori e rendendosi solidale dei nostri peccati, a tal punto, secondo dice San Paolo, che Dio l'ha costituito come un peccato vivente (II Cor V, 21). Se prende sopra di sé le nostre iniquità, prenderà altresì sopra di sé i castighi che ci spetterebbero; per cui dovrà subire una somma incommensurabile di abbassamenti e di umiliazioni. Tale è il decreto eterno. Voi potete ora comprendere perché, dall'inizio della sua pubblica vita, al momento di dar principio in un modo manifesto alla sua missione redentrice, Gesù si sottomette a un atto di profonda umiltà, a un rito che lo poneva tra i peccatori. Osservate: quando Giovanni, illuminato dall'alto, riconosce, in colui che si presenta, il Figlio di Dio, colui di cui aveva detto: «Egli è prima di me e io non sono degno di sciogliergli i calzari», (Joan. I, 27; cf. Matth. III, 11; Marc. I, 7; Luc. III, 16) rifiuta energicamente di amministrargli il battesimo di penitenza: «Sarei io che dovrei essere battezzato da voi e voi venite a me!». Che cosa gli risponde Gesù? «Non ti opporre in questo momento, perché ci conviene adempiere così ogni giustizia» (Matth. III, 14). Qual è questa giustizia? Sono le umiliazioni dell'adorabile umanità di Gesù che, rendendo un omaggio supremo all'infinita santità, costituiscono la piena soddisfazione di tutti i nostri debiti verso la divina giustizia. Gesù, giusto e innocente, si sostituisce a tutta l'umanità peccatrice (I Petr. III, 18); e per la sua immolazione è divenuto «l'Agnello di Dio che cancella i peccati del mondo», (Joan. I, 29) «la propiziazione per tutti i delitti della terra»: (Ibid. II. 2) così «egli compie ogni giustizia».
Quando meditiamo questa profonda parola di Gesù, umiliamoci con lui, riconosciamo la nostra qualità di peccatori, e, sopratutto, rinnoviamo la rinunzia al peccato già fatta nel nostro Battesimo.
Il Precursore annunziava questo Battesimo che doveva essere superiore al suo perché sarebbe stato istituito da Cristo in persona: «Io battezzo nell'acqua per indurvi a penitenza, ma colui che deve venire dopo di me è più potente di me e vi battezzerà nello Spirito Santo e nel fuoco» (Matth. III, 11; Marc. I, 8; Luc. III, 16). Il battesimo di Gesù è apparentemente un battesimo di acqua come quello di Giovanni, ma nel medesimo tempo che viene conferito, la virtù divina dello Spirito Santo, che è un fuoco spirituale, purifica e trasforma interiormente le anime.
(Tit. III, 5). Rinnoviamo dunque sovente la nostra rinunzia al peccato. Voi sapete che il carattere di battezzato resta indelebile nel fondo dell'anima nostra, e quando rinnoviamo le promesse fatte al momento della nostra iniziazione, una virtù nuova zampilla dalla grazia battesimale per consolidare il nostro potere di resistenza a tutto ciò che conduce al peccato: le suggestioni del demonio, le seduzioni del mondo e dei sensi. Solo a questo prezzo possiamo tutelare la vita della grazia in noi. Con ciò testimonieremo anche a Gesù Cristo la nostra viva riconoscenza per essersi addossate le nostre iniquità allo scopo di liberarcene. «Egli mi ha amato, diceva S. Paolo quando ricordava questo mistero d'infinita carità, egli mi ha amato e si è dato per me!» (Galat. II, 20) «Che io viva per lui, per la sua gloria e non più per me, per le mie cupidigie, il mio amor proprio, il mio orgoglio, la mia ambizione»! (II Cor V, 15)
II. Cristo è esaltato uscendo dalle acque del Giordano. In qual modo questa testimonianza dell'eterno Padre al principio della vita pubblica di Gesù caratterizzi uno degli aspetti della sua missione redentrice.
«Dopo il battesimo, Gesù uscì subito dal fiume, ed ecco si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come colomba e venire sopra di lui. Nello stesso tempo una voce si fece udire dal cielo: Questo è il mio Figlio diletto in cui ho riposte le mie compiacenze» (Matth. III, 16-17; Marc. I, 10-11; Luc. III, 21-22).
Questa scena misteriosa non è che una applicazione particolare della legge divina che vi ho esposta al principio di queste conferenze: Bisogna che Cristo sia glorificato dal momento che per noi si è umiliato.
Gesù si abbassa fino a confondersi tra i peccatori, e, immediatamente, ecco che il cielo si apre per esaltarlo; domanda un battesimo di penitenza e di riconciliazione ed ecco che lo Spirito di amore attesta di posarsi in Gesù con la pienezza dei suoi doni di grazia; si riconosce degno dei colpi della divina giustizia, ed ecco che il Padre proclama che egli è l'oggetto di tutte le sue compiacenze (Philip. Il, 8-9).
Questa glorificazione solenne di Cristo non riguarda solamente là sua persona, ma possiede un'importanza estesissima che è necessario mettere in luce. In questo momento la missione di Gesù come inviato di Dio è proclamata autentica; la testimonianza del Padre accredita, a così dire, suo Figlio nel mondo e si riannoda con ciò a uno dei caratteri dell'opera di Dio a nostro riguardo. E' infatti da osservare che la missione di Gesù riveste un duplice aspetto: essa ha, e il carattere di una redenzione e quello di una santificazione: riscattare le anime, quindi, compiuto il riscatto, infondere in esse la vita: è tutta qui l'opera del Salvatore. Questi due elementi sono inseparabili ma distinti.
Ne troviamo i germi nelle circostanze che hanno contrassegnato il battesimo di Cristo, preludio alla sua pubblica vita. Or ora abbiamo veduto come, presentandosi per ricevere un battesimo di penitenza, il Verbo Incarnato attesti la sua qualità di Redentore; egli deve quindi compiere l'opera sua con il dono della vita divina che ci conferisce in virtù dei meriti della sua passione e morte (I Joan. IV, 9), «Dio ci ha dato il Figlio suo affinché quelli che credono in lui abbiano la vita» (Joan. III, 15).
La sorgente della vita eterna è, in noi, una luce. Nel cielo, è la luce della visione beatifica. In questa luce, noi viviamo della vita stessa di Dio (Ps. XXXV, 10). Anche quaggiù la sorgente della nostra vita spirituale è una luce, la luce della fede. La fede è una partecipazione alla conoscenza che Dio ha di se stesso. Questa partecipazione è comunicata all'anima dal Verbo Incarnato e diviene per noi una luce che ci guida in tutte le nostre vie e che deve perciò vivificare tutta la nostra soprannaturale attività (Hebr. X, 38). Ora, il fondamento di questa fede è la testimonianza che Dio rende a suo Figlio Gesù: «Ecco il mio Figlio diletto in cui ho poste le mie compiacenze». Cristo è solennemente presentato al mondo come l'inviato del Padre. Tutto quanto ci dirà, sarà l'eco dell'eterna virtù che contempla continuamente nel seno del Padre (Joan. I, 18). «La sua dottrina non sarà la sua, ma del Padre che l'ha mandato» (Cf. Ibid. VII, 16); ripeterà quanto intenderà e nell'ultimo giorno Gesù potrà dire al Padre suo: «Padre, ho compiuto l'opera che mi avete data, vi ho fatto conoscere al mondo» (Ibid. XVII, 4).
Le parole del Verbo Incarnato non hanno prodotto in tutte le anime la luce che ha da essere per loro il principio della salute e della vita. Egli è «la luce del mondo» senza dubbio; ma bisogna «seguirla se si vuole uscire dalle tenebre e arrivare a quella eterna luce che è la sorgente della nostra vita nel cielo» (Ibid. VIII, 12); Dio gradisce solo coloro che ricevono il Figlio suo.
Per ascoltare con frutto le parole di Cristo, bisogna essere attirati dal Padre (Ibid. VI, 37); coloro invece che non vengono attirati dal Padre non ascoltano la voce del Verbo (Ibid. VIII, 47). E chi sono quelli che il Padre attira? Coloro che riconoscono in Gesù il Figlio suo (I Joan. IV, 15). Ecco perché questa pubblica testimonianza data dal Padre a Gesù dopo il suo battesimo costituisce nello stesso tempo e il punto di partenza di tutta la vita pubblica di Gesù, Verbo Incarnato, luce del mondo, e il fondamento medesimo di tutta la fede cristiana e di tutta la nostra santificazione.
Così, questo mistero del battesimo di Gesù, che contrassegna il principio del suo ministero pubblico, contiene come il riassunto di tutta la sua missione quaggiù. Per l'umiliazione che ha voluto subire ricevendo questo rito di penitenza «per la remissione dei peccati», preludio del suo battesimo sanguinoso sulla croce, Cristo «compie ogni giustizia». Fin d'ora rende alle perfezioni infinite del Padre suo oltraggiate dal peccato il supremo omaggio degli annientamenti coi quali realizza la nostra redenzione.
In cambio il cielo si apre, l'eterno Padre introduce personalmente il Figlio suo nel mondo; lo splendore glorioso di questa divina testimonianza annunzia la missione illuminatrice delle anime che il Verbo fatto carne sta per iniziare; lo Spirito Santo riposa sopra di lui per contrassegnare la pienezza dei doni che adornano la sua anima santa e simbolizzare nel medesimo tempo l'unzione della grazia che Cristo ha da comunicare al mondo.
Il battesimo, insieme alla fede in Gesù Cristo, è divenuto per noi il sacramento della divina adorazione e della cristiana iniziazione. E' nel nome della Trinità Santa che ci viene conferito, di quella Trinità che si è rivelata a noi sulle rive del Giordano. Santificata dal contatto dell'umanità di Gesù e unita al «Verbo di verità», (Iac. I, 18) l'acqua ha la virtù di cancellare i peccati di coloro che detestano le loro colpe e proclamano la loro fede nella divinità di Cristo; è il battesimo non soltanto dell'acqua «per la remissione dei peccati, ma dello Spirito che solo può rinnovare la faccia della terra» (Cf. Ps. CIII, 30); da «figli di ira» (Eph. II, 3) che noi eravamo, ci rende figli di Dio, partecipi con Gesù, per quanto in grado inferiore, delle compiacenze del Padre celeste.
Per tal modo, dice S. Paolo, «noi abbiamo per il battesimo spogliato il vecchio uomo (che discende da Adamo) con le sue opere di morte, e rivestito l'uomo nuovo creato nella giustizia e nella verità (l'anima rigenerata dal Verbo e dallo Spirito Santo) che si rinnova incessantemente secondo l'immagine di chi l'ha creata» (Cf. Col. III, 9-10; Eph. IV, 24). Voi lo vedete: come il battesimo ha costituito per Cristo il riassunto di tutta la sua missione redentrice e insieme santificatrice, così esso contiene per noi in germe tutto lo sviluppo della vita cristiana col suo duplice aspetto di «morte al peccato» e di «vita per Dio». Tanto è vero, che, come dice l'Apostolo, «tutti coloro che sono battezzati rivestono Cristo stesso» (Cf. Gal. III, 27); tanto è ciò vero che non facciamo che uno con Cristo in tutti i suoi misteri. O felice condizione dei cristiani fedeli! O insensato accecamento di coloro che dimenticano le loro promesse battesimali! O spaventoso destino di coloro che le calpestano sotto i loro piedi!
Perché, diceva ai Giudei il Precursore, «la scure è già alla radice degli alberi; ogni albero che non porta frutti buoni sarà tagliato e gettato nel fuoco... Ecco, diceva ancora, ecco che colui che è più potente di me [Cristo] tiene il vaglio nella sua mano, pulirà la sua aia, ammucchierà il frumento nel granaio, e brucerà la paglia nel fuoco che non si estingue... (Matth. III, 10-12; Luc. III, 9, 16-17) Il Padre ama il Figlio e ha messo ogni cosa nelle sue mani. Chi crede nel Figlio (d'una fede pratica) ha la vita eterna, ma chi non crede nel Figlio non vedrà la vita e l'ira divina rimane sopra di lui» (Joan. III, 35-36).
III. Subito dopo il battesimo Gesù è spinto dallo Spirito nel deserto per essere sottoposto agli assalti del demonio: ragione di questo mistero.
Appena Gesù fu battezzato, ecco che, come narra il Vangelo, venne condotto dallo Spirito nel deserto. I sacri scrittori usano espressioni diverse per significare questa azione dello Spirito Santo. Gesù fu «condotto», (Matth. IV, 1) dice S. Matteo; fu «sospinto», (Luc. IV, 1) dice S. Luca; «trasportato», (Marc. I, 12) come si esprime S. Marco. Che cosa significa questa varietà di vocaboli se non la veemenza dell'azione interiore dello Spirito nell'anima di Cristo? E a quale scopo viene sospinto così nel deserto? «Per esservi tentato dal demonio»: è la stessa testimonianza del Vangelo. Non è una cosa ben strana? L'eterno Padre ha appena proclamato che Gesù è suo Figlio diletto, l'oggetto delle sue compiacenze, che lo Spirito di amore si posa sopra di lui; ed ecco che subito, statim, questo Spirito lo getta nel deserto per esservi esposto alle suggestioni del demonio. Quale mistero! Che cosa può dunque significare un episodio così straordinario nella vita di Cristo? Perché si comporta cosi all'inizio della sua vita pubblica?
Per afferrarne la profondità e prima di esporne il racconto secondo il Vangelo, dobbiamo ricordare anzitutto il posto che occupa la tentazione nella nostra vita spirituale.
Le perfezioni divine esigono che la creatura ragionevole e libera sia sottoposta a una prova prima di essere ammessa al godimento della futura beatitudine. Occorre che tale creatura sia messa davanti a Dio e davanti alla prova e che, liberamente, essa rinunzi alla sua propria soddisfazione per riconoscere la sovranità di Dio e ubbidire alla sua legge. La santità e la giustizia di Dio reclamano questo omaggio.
Questa scelta, gloriosa per l'Essere infinito, è per noi il fondamento di quel merito che il Signore ricompensa con la beatitudine eterna. Il Concilio di Trento ha definito che è Dio che ci salva, ma in modo che la salvezza sia insieme e un dono della sua misericordia e la ricompensa dei meriti nostri (Sess. VI, cap. 16). La vita eterna sarà la nostra ricompensa perché, avendo dovuto scegliere, abbiamo respinta la tentazione per non aderire che a Dio; sottoposti alla prova l'abbiamo subita per rimanere fedeli alla divina volontà. L'oro si prova nel crogiuolo; la costanza in mezzo alle tentazioni rivela l'anima degna di Dio. Tale è la nobile convinzione di ogni libera creatura.
Gli angeli per primi sono stati sottoposti alla prova. Sebbene ignoriamo esattamente in che cosa consistesse, sappiamo tuttavia che la sua natura corrispose al modo della natura angelica. Voi sapete che gli angeli sono creature esclusivamente spirituali, i loro atti non sono come i nostri, misurati dal tempo, e possiedono inoltre una potenza, un'estensione e una profondità non raggiungibili da nessun atto umano (Evidentemente noi parliamo dell'ordine di natura). Spiriti puri, essi non ragionano. In noi l'estrema mobilità della nostra fantasia, facoltà sensibile legata all'organismo corporeo, presenta alla nostra scelta molteplici beni particolari la cui varietà ritarda l'azione della nostra intelligenza e della nostra volontà per cui passiamo da un bene ad un altro per poi ritornare ad un bene che prima avevamo rigettato. Nell'angelo, natura del tutto spirituale, l'esitazione non è possibile e i suoi atti d'intelligenza e di volontà rivestono un carattere di pienezza, di fissità e d'irrevocabilità che conferiscono loro un'energia incomparabile (S. Thom., De veritate, q. XXIV, a. 10-11). Nessuna umana esistenza, per quanto lunga possa essere, raggiungerà mai, con l'insieme delle sue operazioni, né la potenza, né l'ampiezza e l'intensità dell'atto unico col quale gli angeli hanno dovuto fissare la loro scelta durante la prova. Ecco perché la fedeltà degli angeli è stata così accetta a Dio; ecco perché il peccato di ribellione degli spiriti angelici riveste una gravità che non ci è possibile misurare e di cui siamo incapaci; perché la profondità della conoscenza che ha loro consentito di agire in piena luce ha compenetrato questo unico peccato di una tale malizia che la giustizia divina ha dovuto punirlo con una sentenza immediata di eterna dannazione.
Per noi, l'accettazione della prova, la resistenza alla tentazione, si inseriscono continuamente nella trama della nostra vita quaggiù; la lotta contro le seduzioni corruttrici, la pazienza nelle contraddizioni volute o permesse dalla Provvidenza, sono cose di tutti i giorni: Militia est vita hominis super terram (Job. VII, 1). Ciò stesso costituisce, ogni giorno, un'occasione magnifica di costante fedeltà verso Dio. Un'anima che, dal momento in cui acquista coscienza dei suoi atti fino al momento in cui si separa dal corpo, non avesse mai commessa una colpa deliberata; che, posta tra Dio e le tentazioni suscettibili di distoglierla da lui, avesse preferito costantemente la divina volontà, avrebbe reso a Dio immensa gloria; perché in ciascuno dei suoi atti avrebbe proclamato che Dio solo è suo Signore. «Felice quell'anima che, potendo violare la legge eterna non l'ha violata e, potendo fare il male, non l'ha fatto!» (Eccli. XXXI, 10) Perché il Signore la ricompenserà magnificamente: «Entra, o servo fedele e buono, entra nel gaudio del tuo Signore!…» (Matth. XXV. 21)
Il primo uomo è stato sottoposto alla prova. Egli ha vacillato, ha mancato, ha preferito a Dio la creatura e la sua propria soddisfazione. Egli ha trascinato tutto il genere umano nella sua ribellione, nella sua caduta e nel suo castigo. Il secondo Adamo, che rappresentava tutti i predestinati, dovette tenere una condotta del tutto contraria. Nella sua sapienza adorabile, Dio Padre ha voluto che Gesù Cristo nostro capo e nostro modello fosse posto dinanzi alla tentazione e che, per sua libera scelta, ne riuscisse vincitore e ci insegnasse a vincere. E' una delle ragioni di questo mistero. Ma esiste una ragione più profonda che riallaccia intimamente questo mistero a quello del battesimo.
Che cosa diceva infatti Gesù al Precursore, quando questi si rifiutava di compiere il suo ministero di penitenza riguardo a Gesù? «Adesso lascia fare; ci conviene così compiere ogni giustizia» (Matth. III, 15). Questa giustizia, l'abbiamo già visto, consisteva per Gesù nel sottoporsi alla somma di espiazioni decretate dal Padre suo per la redenzione del genere umano (Matth. XX, 28; Marc. X, 45). Dopo il peccato di Adamo, il genere umano è schiavo di Satana, ed è proprio dalle mani di Satana che Gesù Cristo lo deve salvare; è per distruggere il regno del demonio che è apparso quaggiù (I Joan. III, 8). Ecco perché da quando ha ricevuto il battesimo mediante il quale è contrassegnato come «l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo» (Ibid. I, 29) e strappa tutto il gregge alla potestà del demonio, il Verbo fatto carne entra in lizza col «principe di questo mondo» (Ibid. XIV, 30); ecco perché lo Spirito Santo lo spinge subito nel deserto, come vi si spingeva altra volta il capro espiatorio carico di tutti i peccati del popolo: Ut tentaretur a diabolo.
IV. Racconto evangelico della tentazione.
Contempliamo ora il nostro capo divino alle prese con il principe degli spiriti ribelli.
Voi sapete che Gesù rimase nel deserto quaranta giorni e quaranta notti, «in mezzo ad animali selvatici in una solitudine completa e in un digiuno assoluto»; è la medesima testimonianza del Vangelo (Luc. IV, 2; Marc. I, 13). Per ben comprendere questo mistero della tentazione di Gesù, ricordate ciò che vi ho detto così spesso, che Cristo è simile a noi in tutte le cose (Hebr. II, 17). Ora, immaginate in quale stato di debolezza sarebbe ridotto un uomo che durante quaranta giorni non avesse toccato cibo. Nostro Signore non ha voluto fare dei miracoli per annullare in sé gli effetti del digiuno; tanto è vero che il Vangelo ci narra che dopo questo periodo Gesù sentì la fame
(Matth. IV, 2). E certamente dopo un periodo di tempo così lungo dovette trovarsi in uno stato di spossatezza estrema. Vedremo immediatamente in qual modo il demonio prenderà occasione da ciò per tentarlo. Pertanto, se divide le nostre infermità e le nostre debolezze, la santa umanità di Cristo non può però conoscere il peccato (Hebr. IV, 15); poiché l'anima di Gesù non è soggetta a nessuna ignoranza, a nessun errore a nessuna caduta morale. Vi è bisogno di aggiungere che non risente neppure nessuno di quei movimenti disordinati che risultano in noi dalla colpa originale e dalle abitudini del peccato? Sì, per noi, Gesù subisce la fame e l'abbattimento mentre in se stesso rimane il Santo dei Santi. Quale la conseguenza di questa dottrina? Questa, che la tentazione che Cristo può subire non raggiunge la sua anima e rimane esteriore; egli non può essere tentato che «dai principi e dalle potestà del mondo tenebroso e dagli spiriti del male» (Cf. Eph. VI, 12). Tra questi spiriti dobbiamo pensare che quegli che tentò Cristo fosse dotato di una potenza particolare, ma, per quanto meravigliosa fosse la sua intelligenza, ignorava chi fosse il Cristo. Nessuna creatura può vedere Dio che nella visione beatifica di cui è privo il demonio.
Inoltre, egli non poteva conoscere il centro del mistero che costituisce in Gesù l'unione della divinità con l'umanità. Egli sospettava certamente qualche cosa, né aveva dimenticato la maledizione che pesava sopra di lui da quando Dio aveva stabilito una eterna inimicizia tra lui e la donna che doveva schiacciargli la testa, distruggere cioè il suo regno nelle anime; né poteva ignorare i prodigi che si erano operati dalla nascita di Gesù, come lo dimostra chiaramente il racconto evangelico. Ma questa sua scienza era incerta. Egli voleva, tentando Cristo, conoscere in modo sicuro se era il Figlio di Dio, o almeno vedere se era possibile trionfare di lui, perché lo riteneva senza dubbio un essere straordinario.
Il tentatore si avvicina dunque a Gesù, come ci narra il Vangelo. E, vedendolo in uno stato di esaurimento, tenta di farlo cadere in un peccato di gola. Non in un peccato di grande golosità, presentando a Cristo cibi prelibati. Il demonio aveva un'opinione troppo alta di colui che tentava per credere che sarebbe soggiaciuto a una suggestione di questo genere; ma fa capire a Gesù abbattuto dalla fame che se è il Figlio di Dio, ha certamente il potere di fare miracoli per soddisfarla; e con ciò voleva spingere Cristo ad anticipare l'ora del Padre suo per compiere un prodigio, il cui scopo era tutto personale. «Se tu sei il Figlio di Dio, di' a queste pietre e ciò dicendo mostrava delle pietre ai piedi di Gesù, che diventino pani». Che cosa risponde nostro Signore? Fa conoscere la sua qualità di Figlio di Dio? No. Compie il miracolo proposto dal diavolo? Neppure, ma si contenta di replicare con una parola della Scrittura: «L'uomo non vive solamente di pane, ma di ogni parola di Dio» (Matth. IV, 3-4; Luc. IV, 3-4). Più tardi. durante la vita pubblica, un giorno che gli Apostoli gli porteranno del cibo: «Maestro, mangia».
Cristo darà una risposta analoga: «Io ho un nutrimento che voi non conoscete, cioè compiere la volontà del Padre mio» (Joan. IV, 31-32, 34). E' ciò che fa intendere al demonio. Egli aspetterà, per saziare la sua fame, che il Padre gli venga in aiuto; non anticiperà il momento stabilito dal Padre per mostrare la sua potenza; quando il Padre parlerà, ascolterà la sua voce. Vedendosi respinto, il demonio comprende di avere dinanzi a sé se non il Figlio di Dio almeno un essere di grande santità, perciò farà uso di un'arma più pericolosa. Egli conosce meravigliosamente la natura umana; sa che coloro che sono pervenuti a un alto grado di perfezione e di unione con Dio sono superiori agli assalti dell'appetito grossolano dei sensi, ma possono lasciarsi sedurre dalle suggestioni più sottili dell'orgoglio e della presunzione; possono credersi al di sopra degli altri e pensare che, pur esponendosi volontariamente al pericolo, debbano essere oggetto da parte di Dio di una protezione specialissima. Il demonio tenta dunque di spingere Cristo in questa via. Usando della sua spirituale potenza, trasporta Gesù sul pinnacolo del tempio e gli dice: «Se sei il Figlio di Dio, gèttati giù, perché non vi è per te alcun pericolo: Dio ha comandato agli angeli di portarti nelle loro mani affinché tu non abbia a inciampare contro una pietra» (Matth. IV, 5-6; Luc. IV, 9-11).9 «Se Gesù è Figlio di Dio», l'apparire dall'alto e discendere così in mezzo alla folla che assiepava le piazze, qual segno meraviglioso della sua missione messianica, quale prova evidente che Dio era con lui! E a rendere più seducente la sua suggestione il demonio l'appoggia a sua volta colla parola divina. Ma Gesù replica, in un modo sovrano, con un altro testo sacro: «E' scritto ancora: Tu non tenterai con una vana presunzione il Signore Dio tuo» (Matth. IV, 7; Luc. IV, 12). Ancora una volta il demonio è vinto, e il Verbo di Dio trionfa delle sue insidie.
In un ultimo assalto, lo spirito delle tenebre procura di vincere Cristo. Trasportandolo sopra un'alta montagna, gli mostra tutti gl'imperi del mondo, spiega dinanzi ai suoi occhi tutte le loro ricchezze, tutto il loro splendore, tutta la loro gloria. Quale tentazione per l'ambizione di colui che si credesse il Messia! Se non che occorreva mettervi un prezzo. Non era che un altro stratagemma dello spirito malvagio per conoscere finalmente chi era colui che così potentemente gli resisteva. «Tutto questo è mio, però io te lo darò se, genuflesso, mi adorerai». Voi conoscete la risposta di Gesù, e con quale vigore respinga le suggestioni sacrileghe del maligno: «Indietro, Satana! sta scritto: non adorerai che Dio e non servirai che lui» (Matth. IV, 8-10; Luc. IV, 5-8). Ora il principe delle tenebre si sente completamente smascherato, e non gli resta che ritirarsi. Tuttavia, dice il Vangelo, «non si ritirò che per un certo tempo» (Luc. IV, 13). Il sacro scrittore indica con ciò che durante la vita pubblica il diavolo ritornerà alla carica; con i suoi ministri, se non personalmente, perseguiterà nostro Signore senza tregua: durante la Passione sopratutto si accanirà, per il tramite dei Farisei, a perdere Gesù (Luc. XXII, 53); li istigherà e questi istigheranno la folla a domandare che Gesù sia crocifisso (Joan. XIX, 15). Ma voi sapete che la morte del Signore sulla croce sarà precisamente il colpo decisivo che farà crollare per sempre l'impero di Satana. Tanto la sapienza divina risplende in tutte le opere sue!
(Prefazio della Croce). Aggiunge il Vangelo che essendosi il «tentatore ritirato, gli angeli discesero dal cielo per servire Cristo» (Matth. IV, 11; Marc. I, 13). Era la sensibile manifestazione dell'esaltazione accordata dal Padre a suo Figlio per essersi abbassato fino a subire in nostro nome gli attacchi del demonio. Apparvero gli angeli fedeli e servirono a Gesù quel pane che egli attendeva all'ora segnata dalla provvidenza del Padre suo.
Tale il racconto evangelico della tentazione. Se Gesù Cristo, Verbo Incarnato, Figlio di Dio, ha voluto entrare in lotta con lo spirito maligno, ci meraviglieremo noi che le membra del suo corpo mistico debbano percorrere la medesima via? Tante persone, anche pie, credono che la tentazione sia un segno di riprovazione. Invece è più spesso il contrario! Divenuti per il battesimo discepoli di Gesù, «non possiamo essere al di sopra del maestro», (Cf. Matth. X, 24; Lc VI, 40; Joan. XIII, 16;,XV, 20). «Perché eri accetto a Dio, bisognò che la tentazione ti provasse» (Tob. XII, 13). Dio stesso ce lo dice. Sì, il demonio può tentarci, e tentarci potentemente; e quando crediamo di essere più al sicuro dai suoi colpi nelle ore della preghiera, dopo la santa comunione sì, pur in questi istanti benedetti, può ispirarci pensieri contro la fede, contro la speranza; istigare il nostro spirito all'indifferenza nei riguardi dei diritti di Dio ed alla rivolta; può scatenare in noi tutte le passioni. Egli può e non mancherà di farlo. Ancora una volta non ce ne meravigliamo, non dimentichiamo mai che Cristo, nostro modello in tutte le cose, è stato tentato in tutto, e prima di noi, e non solo tentato, ma persino toccato dallo spirito delle tenebre, avendo permesso al demonio di mettere le mani sulla sua santissima umanità.
Non dimentichiamo mai specialmente che Gesù ha vinto il demonio non solo come Figlio di Dio, ma altresì come capo del1a Chiesa; in lui e per lui noi abbiamo trionfato e trionferemo ancora delle suggestioni dello spirito ribelle (S. Greg., Homilia XVI in Evang.). E' la grazia che ci ha acquistata il nostro divin Salvatore con questo mistero; qui si trova la sorgente delle nostre confidenze nelle prove e nelle tentazioni, e a me altro non resta che spiegarvi come questa confidenza debba essere incrollabile e come per la fede nel Cristo troveremo sempre il segreto della vittoria.
V. Grazia che ci ha meritato Cristo con questo mistero: trionfare della tentazione restando uniti al Verbo Incarnato. Le promesse d'invulnerabilità spirituale esposte nel salmo Qui habitat in adjutorio Altissimi.
La grazia che ci ha meritato il Verbo Incarnato sottoponendosi alla tentazione, è la forza di sconfiggere a nostra volta il demonio, di uscire vittoriosi dalla lotta che dobbiamo sostenere prima di essere ammessi a gioire della vita divina nella beatitudine celeste. Gesù Cristo ha meritato che coloro i quali gli sono uniti partecipino e partecipino nella misura della loro unione con lui alla sua impeccabilità.
Noi tocchiamo qui il centro del mistero. Noi vediamo nel Vangelo che Cristo era impeccabile, inaccessibile al male del peccato, e alla minima imperfezione. Ma qual è la sorgente di questa invulnerabilità morale? La ragione fondamentale è che egli è il Figlio di Dio e, come seconda persona della SS. Trinità, è la santità infinita e non può soccombere al male. Tuttavia, se esaminiamo l'umanità di Gesù in se medesima, osserviamo che è un'umanità creata come la nostra, somigliante alla nostra, perché l'unione con la divinità non ha sottratto ad essa le debolezze compatibili con la qualità di Figlio di Dio. Cristo soffre la fame, la sete, è abbattuto dalla fatica, il sonno gli rende gravi le palpebre, la paura, la tristezza, la noia invadono effettivamente l'anima sua; e tuttavia non vi ha in lui ombra di imperfezione. Se dunque l'umanità di Gesù come tale gode dell'impeccabilità, questo è dovuto al fatto che è confermata nel bene in modo meraviglioso. Orbene, di quale mezzo si è servito Dio per rendere l'anima santa di Gesù inaccessibile al male morale, al peccato e confermarla nella impeccabilità? La fece abitare «sotto la protezione dell'Altissimo» (Ps. XC, 1); o, secondo le parole più significative del testo originale, «nel santuario secreto della divinità». E qual è questo asilo, questo santuario?
E' la visione beatifica.
Come sapete, la visione beatifica è la beata contemplazione di Dio come è in se medesimo. A chi è accordata questa grazia non può più accadere di staccarsi da Dio perché egli vede che Dio è il sommo bene e che nessun bene particolare, per quanto grande esso sia, può reggere al suo confronto. Perciò il peccato che consiste nello staccarsi da Dio, dalla sua volontà, o, ciò che è lo stesso, nello staccarsi da Dio per aderire ad un bene che vediamo in noi o nelle creature, è reso radicalmente impossibile. In questo stato felice, in cui l'intelligenza contempla la stessa virtù non vi è posto né per l'ignoranza né per l'illusione né per l'errore; e la volontà ardente al Bene assoluto che racchiude in sé la pienezza di ogni bene non conosce né esitazioni né defezioni d'alcuna sorta. L'anima che ha raggiunta questa cima si trova, secondo il linguaggio teologico, perfettamente «confermata in grazia».
Questa confermazione nella grazia è una conseguenza della predestinazione ed implica gradi diversi che si misurano in base alla perfezione e all'estensione di questa predestinazione.
L'umanità di Gesù è stata predestinata all'unione col Verbo eterno; cosi nel primo istante della sua esistenza, l'anima di Cristo possedeva come privilegio, risultante da questa unione e come attributo «connaturale», la visione beatifica, per cui essa è confermata in grazia nel grado più elevato, cioè a dire nella impeccabilità essenziale ed assoluta. Nostro Signore, capo di tutti i predestinati, può lanciare questa sfida ai Giudei: «Chi di voi potrà convincermi di peccato?» (Joan. VIII, 46). Dirà ai suoi Apostoli nell'ultima cena: «Ormai non vi dirò più molte cose, perché il principe di questo mondo (il demonio) si leva contro di me, ma niente di lui è in me» (Ibid. XIV, 30). Anche come uomo Gesù Cristo è il santo per eccellenza (Gloria della messa).
In cielo i beati sono «pervenuti all'età perfetta di Cristo», (Eph. IV, 13) hanno raggiunta la misura del dono divino (Ibid. 7); godono della visione beatifica nella pienezza della grazia che è stata loro conferita; partecipano in un modo perfetto, ciascuno secondo il proprio grado, alla figliazione divina di Gesù: perché restano, come lui, fermi per sempre in sanctuario secreto divinitatis; è questa l'impeccabilità eterna.
Quaggiù, non ci è ancora dato di dimorare perfettamente in «quell'asilo della divinità». Che cosa sostituisce sulla terra la visione beatifica? La fede. Con la fede abbiamo Dio sempre presente (II Cor V, 7); questa fede nella cui luce camminiamo è la sorgente della nostra unione con Gesù e la base della nostra perfezione (Gen. XVII, 2). Nella misura con cui, per la fede, viviamo nella contemplazione di Dio e rimaniamo uniti a Gesù Cristo, nella stessa misura diventiamo invulnerabili alla tentazione.
Già sulla terra si incontrano anime così unite a Cristo, anime dalla fede così piena che fin d'ora sono confermate in grazia. Per esempio, la santissima Vergine è stata predestinata ad una esenzione perfetta dal peccato, anche dal peccato originale, ciò che costituisce un privilegio unico: Tota pulchra es, Maria, et macula originalis non est in te (Antifona della festa dell'Immacolata Concezione). S. Giovanni il Precursore è stato santificato fin dal seno di sua madre e i Padri della Chiesa ci dicono che fu confermato nella grazia divina; lo stesso accadde degli Apostoli dopo che ricevettero il dono dello Spirito Santo il giorno della Pentecoste. A tutti Dio accorda una parte in questa. confermazione nella grazia e questa parte è commisurata alla nostra vita di fede. Un'anima che, per la fede, vive abitualmente nella contemplazione di Dio, attinge continuamente a questa sorgente di vita (Ps. XXXV, 10) e partecipa all'unione di Cristo col Padre, e in conseguenza anche all'amore che il Padre porta al suo Figlio Gesù (Joan.. XVII, 23-26). Dio ha per quest'anima vere compiacenze; la protegge, la rende a mano a mano invulnerabile. Tutti i suoi nemici possono attaccarla; «mille cadranno alla sua sinistra, mille alla sua destra ed ella non sarà tocca»; schiaccerà sotto i piedi i demoni, tutto il mondo può sollevarsi contro e accanirsi intorno a lei, ma «ella dirà a Dio: Voi siete il mio protettore e il mio rifugio e Dio la libererà da tutte le insidie e da tutti i pericoli» (Ps. XC, 2, 7, 14).
La Chiesa, che è piena di sollecitudine per i figli suoi e che sa a quali pericoli siano continuamente esposti, che non ignora d'altronde quali potenti grazie di vita ci apportino i misteri del Verbo Incarnato e la nostra unione con lui, ci ricorda, ogni anno, all'inizio della quaresima, il mistero della tentazione di Gesù. Vuole che per quaranta giorni viviamo come lui nello spirito di penitenza, di ritiro, di solitudine e di preghiera.
Per aiutarci ad utilizzare questo tempo, per suscitare in noi i sentimenti che devono animarci, ci fa leggere, all'inizio di questa santa quaresima, il racconto del digiuno, della tentazione e della vittoria di Cristo. Essa inoltre mette sulle nostre labbra il salmo 90 che comincia con quelle parole che vi ho or ora spiegate: «Colui che abita nel tempio della divinità, rimarrà sotto la protezione del Dio del cielo». E' il salmo per eccellenza della fiducia nel colmo della lotta, della prova e della tentazione. Le magnifiche promesse che vi si contengono si applicano anzitutto a Gesù Cristo e, quindi, a tutti i membri del suo corpo mistico nella misura della loro vita di grazia e di fede. Perciò la Chiesa non si appaga di farcelo leggere per intero alla messa della prima Domenica di Quaresima, ma ne estrae ancora, per il suo ufficio canonico, alcuni versetti che ci fa recitare ogni giorno in quel lungo periodo, per metterci continuamente davanti agli occhi le sollecitudini del nostro Padre celeste. «gli ha ordinato ai suoi angeli di proteggerti in tutte le tue vie»; «è lui che libera l'anima mia dal laccio dei cacciatori e dall'amara parola che uccide»; «egli ti coprirà delle sue ali e tu troverai in lui un rifugio pieno di speranza»; «la sua verità ti attornierà come uno scudo per cui non avrai a temere di alcun notturno timore» (Ps. XC, 3-5, 11). Quale confidenza fanno nascere in un'anima queste promesse ricordate ogni giorno! Quale sentimento di sicurezza le ispirano per camminare nella via della salute (II Cor VI, 2) per quanto questa via possa essere fiancheggiata d'insidie e folta di nemici! Dio è con lei; e «se Dio è con noi, esclama S. Paolo, che mai potranno valere quelli che sono contro di noi?» (Rom. VIII, 31) Perché, soggiunge, «Dio non permetterà mai che siamo tentati o provati al di là delle nostre forze; ma ci proteggerà e, con la sua protezione, ci concederà di vincere la prova, superare la tentazione e attestargli la nostra fedeltà, sorgente di meriti e di gloria» (I Cor X, 13).
VI. La fede è, per eccellenza, l'arma della resistenza
Voi potete così constatare come sia invincibile l'anima che «dimora nel tempio della divinità».
Ma non dimentichiamo mai che non vi giungiamo se non mediante la fede in Cristo nostro capo e nostro modello. Il salmista difatti ci assicura che a proteggerci contro gli strali del nemico, «Dio ci circonderà della sua verità come di uno scudo». Questo è anche il pensiero di S. Paolo quando specifica le armi di cui per la lotta spirituale deve premunirsi il cristiano (Eph. VI, 16): «In ogni lotta armatevi dello scudo della fede col quale possiate spengere tutti i dardi infiammati e terribilissimi dello spirito maligno». Anche S. Pietro non parla diversamente: «Il demonio si aggira senza tregua intorno a voi cercando la preda da divorare, ma voi gli resisterete col vigore della vostra fede» (I Petr. V, 9). Avrete osservato che, per respingere il demonio, Gesù Cristo ha fatto appello ogni volta alla parola divina. La stessa tattica condurrà anche noi alla vittoria.
Quando dunque il demonio vi tenta, per esempio, contro la fede, ricordatevi della testimonianza dell'eterno Padre che proclama Gesù suo Figlio diletto; ricordatevi che «quelli soltanto vengono da Dio che credono in Gesù Figlio di Dio» (I Joan. V, 1); quando vi spinge alla sfiducia ripetete la parola di Cristo: «Non è buono che Iddio» (Luc, XVIII, 19; cf. Matth, XIX, 17; Marc. X, 18), ovvero: «Venite a me, o voi tutti che siete affaticati, ed io vi ristorerò...» (Matth, XI, 28) «Io non respingerò quelli che vengono a me» (Joan, VI, 37); se cerca sgomentarvi col ricordo delle vostre colpe, rispondetegli con le parole del Salvatore: «Io non sono venuto per i giusti, bensì pei peccatori» (Matth. IX, 13; Marc. II, 17; Luc. V, 32); e se vi suggerisce pensieri di orgoglio e d'ambizione: «Tutti quelli che s'innalzano saranno abbassati»; (Matth. XXIII, 12; Luc. XIV, 11; XVIII, 14) se vi sprona alla vendetta: «Beati i mansueti»; (Matth. V, 4) se fa balenare ai vostri occhi delle gioie ingannatrici: «Beati i puri...» (Ibid.8). In ogni occasione, In omnibus, armatevi delle parole del Verbo: è uno scudo contro cui tutti i dardi verranno a spezzarsi, a polverizzarsi e a sparire. La fede è l'arma per eccellenza. «Io sono sicura, scriveva S. Teresa, che Dio non permetterà mai al demonio di ingannare una persona che, non avendo nessuna fiducia in se medesima, sarà così salda nella fede che per la più piccola delle verità rivelate sarebbe disposta ad affrontare mille morti» (Vita scritta da se stessa).
E' la fede che, al momento della tentazione, ci ricorda i sovrani diritti di Dio all'obbedienza della sua creatura, la sua infinita santità, le adorabili esigenze della sua giustizia, le inenarrabili sofferenze con le quali Gesù ha espiato il peccato, la gratuità della grazia, la necessità della preghiera, l'eternità delle pene con cui Iddio punisce il peccatore morto impenitente, la beatitudine senza fine con cui ricompensa una fedeltà di pochi anni. Tutte queste verità ci vengono ripetute dalla fede, e per quanto terribili siano le frecce del nemico, per quanto violente le sue suggestioni e prolungata la battaglia, l'anima dalla fede viva trova in questa e nell'unione con Cristo che essa produce, il migliore appoggio della sua resistenza, il principio stesso della sua perseveranza nel bene e il segreto della vittoria. Beata l'anima Dio stesso lo dice «Beata l'anima che sostiene così la tentazione senza esservisi esposta; che passa attraverso il fuoco, con gli occhi sulle parole e sugli esempi di Cristo e sulle promesse divine; essa trionferà fin da questa vita e riceverà più tardi il prezzo della sua generosità e del suo amore» (Jac. I, 12). Perché, dice S. Paolo, Cristo non abbandona i suoi discepoli nella lotta; «pontefice compassionevole, che ha sofferta la tentazione, conosce che cosa è la prova e può sostenerci nel mezzo della battaglia» (Hebr. II, 18; V, 2). Egli ci aiuta con la sua grazia, ci aiuta con la sua preghiera. Egli ripete allora quella domanda che ha indirizzata a suo Padre nel momento in cui stava per subire, ma per uscirne vittorioso, gli ultimi assalti del demonio: «Padre, io non vi domando di toglierli dal mondo, ma di preservarli dal male» (Joan. XVII, 15). E affinché noi crediamo nel suo Figlio Gesù e non ci allontaniamo da lui, affinché, non sicuri di noi stessi, riponiamo in lui solo, con la preghiera, la nostra speranza, affinché egli ci veda ed ami nel Figlio suo (Ibid. 9), il Padre «ci custodirà dal male» e invierà i suoi angeli buoni «perché si avvicinino a noi invisibilmente e ci soccorrano».
E', d'altronde, la promessa magnifica fattaci da lui stesso per bocca del sacro Scrittore nel bel salmo novantesimo che mi piace citare una volta ancora terminando questa conferenza: «Perché si è attaccato a me, dice il Signore, io lo libererò; poiché mi riconosce come l'Onnipotente, io lo proteggerò; mi invocherà e io lo esaudirò, sarò con lui nelle angustie per liberarlo e colmarlo di gloria, gli accorderò lunga serie di anni, e, affinché egli ne gioisca per sempre, gli farò vedere la salute che posso dare io solo» (Ps. XC, 14-16).