17/La missione dello Spirito Santo
In che cosa la missione visibile dello Spirito Santo rientra nel ciclo dei misteri di Gesù
«Se voi mi amaste, diceva Gesù Cristo ai suoi Apostoli, vi rallegrereste perché vado al Padre» (Joan. XIV, 28).
Per quanti, infatti, amano Gesù Cristo, la sua ascensione costituisce una sorgente inesauribile di gioia. E' la glorificazione suprema di Gesù nel più alto dei cieli, ed insieme la realizzazione di quella preghiera di Cristo: «Padre, glorificatemi di quella gloria che ho avuto in voi prima ancora che il mondo fosse» (Ibid. XVII, 5). Noi siamo nell'allegrezza contemplando Gesù, Figlio di Dio, nostro Redentore e nostro Capo, seduto alla destra del Padre suo, dopo di avere adempiuta quaggiù, negli abbassamenti della sua incarnazione e nelle umiliazioni della sua morte, la sua missione di salvezza.
Ma nostro Signore non diceva solamente ai discepoli: «La mia ascensione deve rallegrarvi », ma aggiungeva: «Essa vi deve essere anche utile (Ibid. XVI, 7): «In verità vi dico, è bene per voi che me ne vada, poiché se non me ne vado, il Paraclito non verrà a voi; ma se me ne vado, ve lo manderò». Tutte le parole del Verbo Incarnato sono, come dice lui stesso, «spirito e vita» (Ibid. VI, 64). Esse sono gravi e profonde, e talora misteriose: ve ne sono poi di quelle che sono difficili a comprendersi e che non è possibile approfondire che nella luce della preghiera. La parola di Gesù che dianzi abbiamo ascoltata a proposito della sua partenza dalla terra è una di queste.
«E' bene per voi che io me ne vada». Come può esser mai un bene per gli Apostoli che Gesù se ne vada e che li abbandoni per risalire al Padre suo? Non è per loro la sorgente di ogni bene, la causa di ogni grazia? Non è egli «la via, la verità, la vita»? (Ibid. XIV, 6) Non ha detto: «Nessuno può andare al Padre se non per me»? (Ibid.) Come dunque può essere utile agli Apostoli l'abbandono di Gesù? Non avrebbero potuto rispondergli con tutta verità: O divino Maestro, non andate; noi non abbiamo bisogno d'altri che di voi, voi ci bastate (Ibid. VI, 69). Restando con voi, non disponiamo di tutte le grazie? «Rimanete dunque con noi» (Luc. XXIV, 29).
Ma la parola del Maestro divino è assoluta: «Io vi dirò la verità»: «No, io non posso rimanere di più, è tempo che ritorni al Padre mio ed è utile per voi che io vi lasci». Perché? «Perché io possa mandarvi lo Spirito Santo».
E' questo il mistero, ed è appunto questo mistero che noi contempleremo per quanto ci sarà possibile, perché tutto qui è soprannaturale e solo la fede ci può esser di guida. [...]
I. Ciò che rappresenta lo Spirito Santo nella Trinità.
Non possiamo comprendere le parole di Gesù sull'argomento dello Spirito Santo se non rievochiamo innanzi tutto quanto la Rivelazione ci insegna sulla vita di questo Spirito nella santa Trinità. Che cosa ci dice la fede? Che vi è un Dio, Padre, Figliuolo e Spirito Santo: tre persone distinte in una stessa unità di natura.
Come sapete, il Padre non procede da nessuno: egli è il Principio senza principio, la causa prima di tutta la vita intima in Dio, l'origine prima di tutte le comunicazioni ineffabili nella SS. Trinità. Il Padre, conoscendosi, genera, con una Parola infinita, un Figlio unigenito e perfetto, a cui comunica tutto ciò che egli è, tranne la proprietà personale di essere Padre (Joan. V, 26).
Il Figlio è eguale in tutto al Padre; egli è l'espressione adeguata, l'immagine perfetta del Padre, egli possiede con lui la stessa natura divina. Il Padre e il Figlio si dànno l'un all'altro con un amore perfetto e da questo dato di amore del Padre al Figlio e del Figlio al Padre procede, in modo misterioso, lo Spirito Santo che è la terza persona. Lo Spirito Santo termina il ciclo delle operazioni interiori di Dio ed è il termine finale delle comunicazioni divine nell'adorabile Trinità.
Tra queste persone, per quanto distinte non vi è né superiorità né inferiorità: crederlo sarebbe gravissimo errore: tutte e tre sono eguali in potenza, in sapienza, in bontà, perché tutte e tre possiedono ugualmente, in una maniera indivisibile, la medesima unica natura divina con tutte le sue perfezioni infinite; per cui ogni nostra lode è indirizzata insieme e al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Tuttavia, se tra loro non vi è né disuguaglianza, né dipendenza, vi è però un ordine di natura e di origine che caratterizza le stesse comunicazioni. La «processione» del Figlio presuppone, quantunque non vi sia differenza di tempo, il Padre, principio primo; la «processione» dello Spirito Santo presuppone il Padre e il Figlio, di cui egli è il reciproco dono.
Vi è qui un modo di parlare che a noi non è lecito respingere. Gesù vuole che tutti i suoi discepoli siano battezzati «nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (Matth. XXVIII, 19). E' questo il linguaggio stesso del Verbo Incarnato che esprime una divina realtà la cui intima comprensione ci sfugge, ma che, essendo il linguaggio stesso di Gesù, dobbiamo rispettare, credendo fermamente nell'ordine delle persone della Trinità. Al modo stesso che dobbiamo custodire intatta, nella nostra dottrina e nella nostra preghiera, l'unità di natura, così dobbiamo ugualmente riconoscere la distinzione delle persone, distinzione che si fonda sulle comunicazioni che esse hanno tra di loro e sulle loro scambievoli relazioni. Vi è, insieme, eguaglianza ed ordine, vi è identica perfezione e distinzione di proprietà.
Queste verità costituiscono un mistero ineffabile di cui non è possibile parlare che balbettando. Tuttavia nostro Signore ha voluto rivelarcene l'esistenza nei suoi ultimi colloqui con i discepoli, alla vigilia della sua morte, «affinché la nostra gioia fosse completa»: (Joan. XV, 11) egli ci dice anche che noi siamo suoi amici appunto perché ci ha fatto conoscere i segreti dell'intima vita di Dio, (Ibid. 15) nell'attesa che ne possiamo gioire nell'eterna felicità.
E perché mai ci avrebbe rivelati questi segreti, se egli, sapienza infinita, non avesse giudicato che ci sarebbero stati utili?
Ma notatelo tuttavia: quest'ordine di principio, di origine, che sussiste nelle ineffabili comunicazioni delle persone tra loro e che costituisce la loro distinzione, Dio non ce l'ha rivelato soltanto con la sua parola ma ce lo ha voluto manifestare ancora nelle sue opere.
Gesù ci dice nel Vangelo che «la vita eterna consiste nel conoscere che il Padre è il vero Dio e che Gesù Cristo è colui che egli ha mandato», (Ibid. XV II, 3) come pure ci dice spessissimo che «suo Padre l’ha mandato» (Ibid. III, 17; IV, 34: VI, 29; etc). Questa parola «mandare», frequentemente usata da Gesù Cristo, caratterizza la distinzione delle persone. E' il Padre che «manda»; è il Figlio che «è mandato»; l'ordine di origine che sussiste in cielo da tutta l'eternità tra il Padre e il Figlio è per tal modo manifestato nel tempo. Perché, ci dice Gesù nel medesimo luogo evangelico, parlando del Padre suo: «Noi siamo uno»; (Joan. X, 30) «tutto ciò che il Padre mio possiede, anch'io lo possiedo; e tutto ciò che possiedo io, lo possiede pure il Padre» (Joan. XVII, 10).
Lo stesso termine è usato da Gesù parlando dello Spirito Santo. Egli dice agli Apostoli che «suo Padre manderà loro lo Spirito Santo», (Joan. XIV, 26) e dice pure che «lo manderà lui stesso». (Ibid. XVI. 7). Voi lo vedete: tanto il Padre che il Figlio «mandano»; così parla Gesù dello Spirito: e nostro Signore vuole contrassegnare con ciò l'ordine che sussiste in Dio nella «processione» dello Spirito Santo.
II. Ragione per la quale la discesa dello Spirito Santo sui discepoli non avviene che dopo l'ascensione.
Noi tocchiamo qui la ragione profonda per la quale Gesù diceva ai suoi Apostoli: «Quando sarò tornato in cielo vi manderò lo Spirito».
Gesù Cristo nella sua natura divina è, con il Padre, il principio da cui procede lo Spirito Santo. Il dono dello Spirito Santo alla Chiesa e alle anime è una grazia inestimabile, perché questo Spirito è l'amore divino in persona. Sennonché, come dicevo prima, ci è stato meritato, come ogni altra grazia, da Gesù: è il prezzo della sua passione e di tutte le sofferenze da lui sostenute nella sua santa umanità. Non era dunque conveniente che questa grazia non fosse largita al mondo se non quando l'umanità, che l'aveva meritata, fosse entrata nella gloria? Ora questa glorificazione non è avvenuta nella sua pienezza e non ha raggiunto il suo coronamento che nel giorno dell'Ascensione. Solo allora questa santa umanità è entrata definitivamente in possesso della gloria che le spettava per il duplice titolo di umanità unita al Verbo e di vittima offerta al Padre per meritare ogni grazia alle anime. Assisa alla destra del Padre nella gloria dei cieli, l'umanità del Verbo Incarnato sarà per tal modo associata all'«invio» che sarà fatto dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio. Ora comprendiamo perché nostro Signore dica lui stesso agli Apostoli: «Vi è utile che io me ne vada, perché se non me ne vado non vi manderò lo Spirito; ma se io ritorno al Padre mio, ve lo manderò». Come se egli dicesse: Io vi ho meritata questa grazia con la mia passione; perché essa vi sia accordata occorre che alla mia passione segua la mia glorificazione; quando la gloria che mi spetta mi sarà stata donata da mio Padre ed io siederò alla sua destra, vi manderò lo Spirito Consolatore.
I Padri della Chiesa (Cf. S. August., Enarr. in Psalm. CIX; Sermones CXLIII et CCLXIV; S. Leo, Sermo II, de Ascensione Domini) aggiungono anche un'altra ragione riguardante i discepoli.
Gesù indirizzava un giorno ai Giudei queste parole: «Dal seno di colui che crede in me, zampilleranno fiumi di acqua viva».
L'Evangelista S. Giovanni, riferendo questa promessa, aggiunge che Cristo «diceva questo dello Spirito che dovevano ricevere coloro che credevano in lui. Lo Spirito non era ancora stato dato, perché Gesù non era ancora stato glorificato» (Joan. VII, 38-39). La fede doveva essere dunque, per così dire, la sorgente della venuta dello Spirito Santo in noi. Ora, finché Gesù Cristo visse sulla terra, la fede dei discepoli rimase imperfetta. Essa non sarebbe divenuta intera, non avrebbe raggiunta la sua pienezza se non quando l'ascensione avrebbe sottratto ai loro occhi la presenza umana del loro divino Maestro. «Poiché hai veduto, hai creduto, diceva Gesù a Tommaso, dopo la sua risurrezione; ma beati coloro che non hanno veduto e che hanno creduto!» (Joan. XX, 29). «Dopo l'ascensione, la fede dei discepoli, più formata, andrà a cercare Cristo più lontano, più in alto, assiso vicino al Padre ed a lui eguale» (S. Leo, Sermo II, de Ascensione Domini, c. IV).
La fede degli Apostoli, dopo l'Ascensione, divenne più pura, più intima, più viva, più efficace, e «fiumi di acqua viva» si riversarono in essi con magnifica impetuosità.
Noi sappiamo infatti con quale magnificenza abbia Gesù adempiuta la sua divina promessa, e in qual modo dieci giorni dopo l'Ascensione, lo Spirito Santo, mandato dal Padre e dal Figlio, sia disceso sugli Apostoli convenuti nel cenacolo, e con quale ricchezza di grazie e di carismi questo Spirito di verità e di amore si sia diffuso nelle anime dei discepoli.
III. L'opera del divino Paraclito mell'anima degli Apostoli: li colma di verità, di amore, di forza e di consolazione.
Quale è stata infatti l'opera dello Spirito Santo nell'anima degli Apostoli il giorno di Pentecoste?
A ben comprenderla, bisogna ricordare anzitutto la dottrina della Chiesa sul carattere delle opere divine. Voi sapete che nel regno della vita soprannaturale e della grazia, come pure nelle opere della creazione naturale, tutto ciò che è prodotto al di fuori di Dio, nel tempo, viene operato dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo senza distinzione di persona. Le tre persone agiscono allora nell'unità della natura divina. La distinzione delle persone non esiste che nelle comunicazioni incomprensibili che costituiscono la vita intima di Dio.
Sennonché, nell'intendimento di farci meglio ricordare queste rivelazioni sulle persone divine, la Chiesa, nel suo linguaggio, attribuisce tale o tal'altra azione ad una delle tre divine persone in particolare, a seconda dell'affinità che intercede tra questa azione e le proprietà esclusive per le quali questa persona si distingue dall'altre.
Così, il Padre è il primo Principio, che non procede da alcun altro, e da cui procedono il Figlio e lo Spirito Santo. E così l'opera che contrassegna l'origine prima di ogni cosa, la creazione cioè, gli è attribuita in modo particolare. Il Padre ha creato da solo? No, certamente; anche il Figlio e lo Spirito Santo creavano nel medesimo tempo del Padre e in unione con lui. Tuttavia tra la proprietà, speciale al Padre; di essere il primo principio nelle comunicazioni divine, e l'opera della creazione, vi è quella tale affinità che ha permesso alla Chiesa di poter attribuire, senza errore, l'opera della Creazione in modo speciale al Padre.
Il Figlio, il Verbo, è l'espressione infinita del pensiero del Padre,ed è considerato sopra tutto come sapienza. Le opere nelle quali questa perfezione risplende in modo particolare, come l'ordine del mondo, vengono in modo particolare attribuite a Lui. Ed è questa sapienza che, uscita dalla bocca dell'Altissimo, coglie e determina tutte le cose in un perfetto equilibrio con forza e insieme con soavità (Antifona del 17 dicembre. Cf. Eccli, XXIV, 5; Sap. VIII, 1).
La medesima legge è applicata dalla Chiesa allo Spirito Santo. Che cosa è nell'adorabile Trinità? E' il termine, il compimento supremo, la consumazione della vita in Dio; egli chiude il ciclo intimo delle ammirabili operazioni della vita divina. Per ricordarci questa proprietà che è a lui personale, la Chiesa gli attribuisce specialmente tutto ciò che, nell'opera della grazia e della santificazione, riguarda il compimento, il coronamento, la consumazione; Egli è l'artista divino che con i suoi ultimi tocchi conduce l'opera alla sua perfezione suprema (Inno Veni Creator). L'opera attribuita allo Spirito Santo nella Chiesa come nelle anime, è di condurre al suo fine, al suo termine, alla sua perfezione ultima il lavoro incessante della santità.
Meditiamo ora, per poco tempo, le operazioni divine dello Spirito nelle anime degli Apostoli.
Egli le riempi di verità. Ma, mi direte, Gesù non lo aveva già fatto? Certamente. Non aveva egli stesso proclamato di «essere la verità»? (Joan. XIV, 6) Era venuto al mondo per rendere testimonianza alla verità (Ibid. XVIII, 37) e sappiamo da lui stesso che ha condotto a termine completamente la sua missione (Ibid. XVII, 4).
Sì, ma ora che ha lasciato gli Apostoli, spetta allo Spirito Santo diventare il Maestro interiore. «Egli non parlerà da sé», diceva Gesù, intendendo con ciò significare che lo Spirito Santo, procedendo dal Padre e dal Figlio e da loro ricevendo la vita divina, ci parlerà l'infinita verità che egli riceve dalla sua processione ineffabile. «Egli vi dirà tutto ciò che ha inteso, cioè, ogni verità», «egli vi ricorderà tutto ciò che io vi ho insegnato»; egli mi farà conoscere a voi; egli vi mostrerà come io «sia degno di ogni gloria» (Ibid. XIV, 26; XVI, 13-14).
Che cosa ancora? «Gli Apostoli non dovranno affannarsi a cercare quel che dovranno rispondere. quando i Giudei li trascineranno davanti ai tribunali e loro proibiranno di predicare il nome di Gesù, perché lo Spirito Santo stesso ispirerà le risposte» (Matth. X, 19-20; Marc. XIII, 11; Luc. XII, 11). E così «essi potranno rendere testimonianza a Gesù» (Act. 1, 8).
E siccome è con la lingua, organo della parola, che si rende testimonianza e che la predicazione di Gesù dovrà spandersi in tutto il mondo, così questo Spirito, il giorno della Pentecoste, discende visibilmente sugli Apostoli sotto la forma di lingue.
Ma queste lingue, sono lingue di fuoco. Perché? Perché lo Spirito Santo viene per riempire di amore i cuori dei discepoli. Esso è l'amore personale, sussistente della vita in Dio. Egli è anche come il soffio e l'aspirazione dell'amore infinito ove noi attingiamo la vita. Si racconta nella «Genesi» che Dio «soffiò la vita nella materia fatta col fango della terra» (Gen. II, 7). Questo soffio vitale era il simbolo dello Spirito cui noi dobbiamo la vita soprannaturale. Nel giorno di Pentecoste, lo Spirito divino apportava alla Chiesa una tale ricchezza di vita che, a significarla, «un fragore venuto dal cielo, somigliante a vento impetuoso, riempi tutta la casa ove gli Apostoli erano convenuti» (Act. II, 2).
Discendendo in loro, lo Spirito Santo vi diffonde quell'amore che è lui stesso. Bisogna che gli Apostoli siano ripieni di amore perché predicando il nome di Gesù, facciano nascere l'amore del loro Maestro nell'anima dei loro uditori; bisogna che la loro testimonianza sia così piena di vita da portare il mondo ai piedi di Gesù Cristo.
Questo amore, ardente come una fiamma, potente come un soffio di tempesta, è ancora necessario agli Apostoli per affrontare i pericoli preannunziati da Cristo quando dovranno predicare il suo nome. Lo Spirito Santo li riempì di forza.
Contemplate S. Pietro, il principe degli Apostoli. La vigilia della passione di Gesù giura di seguirlo fino alla morte; ma, la notte stessa, alla voce di una serva, rinnega il Maestro, giura «di non conoscere quell'uomo» (Matth. XXVI, 74; Marc. XIV, 71). Contemplatelo invece ora nel giorno della Pentecoste. Annuncia Cristo a migliaia di Giudei, rimprovera loro in un linguaggio pieno di libertà, di averlo crocifisso; rende testimonianza della sua risurrezione, li esorta vivamente a fare penitenza, e a ricevere il battesimo (Act. II, 23-24, 38). Non è più il discepolo timido che teme il pericolo e «si mantiene in distanza»; (Marc. XIV, 54) è il testimone che proclama al cospetto di tutti, con parole energiche e ardite, che Cristo è il Figlio di Dio.
Quale energia nelle parole di Pietro! L'Apostolo non è più riconoscibile. La virtù dello Spirito Santo l'ha trasformato e l'amore che nutre per il divino Maestro è ormai forte e generoso. Nostro Signore aveva predetto lui stesso questa trasformazione quando ai suoi discepoli, prima di salire al cielo, disse: «Rimanete a Gerusalemme fino a quando sarete rivestiti della forza dell'alto» (Luc. XXIV, 49).
Contemplate ancora il medesimo Pietro e gli altri Apostoli pochi giorni dopo l'avvenimento. Ecco che i Giudei si commuovono alle loro parole, ai miracoli che essi compiono, alle conversioni che operano nel nome di Gesù. I principi dei Sacerdoti e i Sadducei, che hanno fatto morire Gesù Cristo, fanno venire i suoi discepoli e proibiscono loro di predicare il Redentore. Voi conoscete la loro risposta: «Noi non possiamo obbedire ai vostri ordini; non possiamo non rendere testimonianza di ciò che abbiamo veduto ed udito» (Act. IV, 18-20).
Che cosa li fa parlare con un tale coraggio, essi che, la notte della passione, abbandonarono Gesù e che nei giorni susseguenti alla resurrezione «si tenevano nascosti, a porte chiuse, per la paura che incutevano loro i Giudei» (Joan. XX. 19). E' lo Spirito di verità, lo Spirito di amore, lo Spirito di forza.
Perché il loro amore per Cristo è così forte essi si offrono per lui ai tormenti. I Giudei, constatando che gli Apostoli non tengono in alcun conto la loro proibizione, li citano dinanzi ai tribunali, ma Pietro dichiara in nome di tutti che essi debbono «obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (Act. V, 29).
Voi sapete che cosa fecero allora i Giudei. Per aver ragione di questa costanza, batterono gli Apostoli con le verghe prima di rilasciarli. Ma notate ciò che lo scrittore sacro vi aggiunge. Uscendo dal tribunale, egli dice, «gli Apostoli erano pieni di gioia per essere stati giudicati degni di soffrire degli obbrobrii per il nome di Gesù» (Act. V, 41). Donde veniva loro questa gioia nelle sofferenze e nelle umiliazioni? Dallo Spirito Santo; poiché egli non è soltanto lo Spirito di forza, ma è anche di consolazione. «Io pregherò mio Padre, aveva detto loro Gesù, ed egli vi darà un altro consolatore» (Joan. XIV, 16-17).
Ma Gesù Cristo non è egli stesso un consolatore? Certo; non ci ha detto, infatti: «Venite da me, o voi tutti che soffrite, ed io vi consolerò»? (Matth. XI, 28). Non è, come dice S. Paolo, «un pontefice che prova compassione per i nostri dolori, essendo egli stesso passato per il dolore»? (Hebr. IV, 15)
Sennonché questo divino Consolatore doveva sparire agli occhi corporei dei discepoli; ed egli pregava il Padre di inviar loro un altro consolatore, eguale a lui e Dio come lui.
Essendo Spirito di verità, questo consolatore soddisfa i bisogni della nostra intelligenza; essendo Spirito di amore colma i desideri del nostro cuore; essendo Spirito di forza ci sostiene nella fatica, nelle prove e nel dolore. Lo Spirito Santo è il consolatore per eccellenza.
Consolator optime, Dulcis hospes animae, Dulce refrigerium! (Sequenza Veni Sancte Spiritus)
Oh! «Venite in noi, o padre dei poveri, o distributore dei doni celesti, o consolatore pieno di bontà, ospite soave dell'anima, o conforto pieno di dolcezza!».
IV. L'assemblea dei discepoli nel cenacolo rappresenta tutta quanta la Chiesa: azione meravigliosa ed incessante dello Spirito Santo nella Chiesa. La Pentecoste perdura ancora.
E' per noi che è venuto lo Spirito Santo; l'assemblea del Cenacolo rappresentava tutta la Chiesa. Lo Spirito non viene «che per rimanere sempre con lei». E' la stessa promessa di Gesù (Joan. XIV, 16).
Il giorno di Pentecoste è disceso visibilmente sugli Apostoli; da quel giorno la santa Chiesa si è propagata su tutta la terra; è il regno di Gesù, regno governato dallo Spirito Santo insieme al Padre ed al Figlio. Egli perfeziona nelle anime l'opera di santità cominciata dalla redenzione. Egli è nella Chiesa ciò che l'anima è al corpo: lo spirito che l'anima e la vivifica, che salvaguarda l'unità producendo in essa effetti molteplici e vari, e che le apporta ogni vigore e bellezza.
Osservate, infatti, quale ricchezza di grazie e di carismi inondi la Chiesa il giorno dopo la Pentecoste. Leggiamo negli «Atti degli Apostoli», che sono la storia della Chiesa primitiva, che lo Spirito Santo discendeva visibilmente su quanti venivano battezzati e li colmava di grazie meravigliose. Con quale compiacenza S. Paolo le enumera! «Vi è diversità di doni, ma il medesimo Spirito ne è la sorgente... A ognuno è data, per il comune vantaggio, la manifestazione dello Spirito. Ad uno è data dallo Spirito una parola di sapienza, all'altro una parola di scienza, a questi il dono di una fede straordinaria, a quegli il dono delle guarigioni; qui la potenza di operare dei miracoli, là il dono delle profezie; altrove il discernimento degli spiriti, la diversità o l'interpretazione delle lingue». Ed aggiunge l'Apostolo: «Ma è il medesimo Spirito che produce questi doni, distribuendoli a ciascuno come a lui piace» (1 Cor XII, 4 seq.).
Era lo Spirito Santo promesso e mandato dal Padre e da Gesù che largiva questa pienezza e questa intensità di vita soprannaturale ai primi cristiani; i quali, per quanto differenti potessero essere, non avevano tuttavia «che un cuor solo e un'anima sola» (Act. IV, 32).
In seguito, lo Spirito Santo rimane nella Chiesa in modo permanente, indefettibile, esercitandovi una azione incessante di vita e di santificazione (Joan. XIV, 17). Egli la rende infallibile nella verità: «Quando lo Spirito di verità sarà venuto, diceva Gesù, vi sarà guida in ogni verità» (Ibid. XVI, 13) e vi guarderà da ogni errore. Egli fa risplendere nella Chiesa una meravigliosa fecondità soprannaturale, fa nascere e sviluppare nelle vergini, nei martiri, nei confessori quelle virtù eroiche che sono uno dei segni della santità. In una parola egli è lo Spirito che lavora nel fondo delle anime, con le sue ispirazioni, allo scopo di rendere la Chiesa che Gesù ha fatta sua una volta per tutte col suo sangue prezioso «pura, immacolata, senza ruga», degna di essere presentata da Cristo al Padre suo nel giorno del trionfo finale.
Questa azione interiore dello Spirito è incessante; perché la Pentecoste non è ancora terminata. Nel suo aspetto storico, come missione visibile, essa ha avuto termine senza dubbio. Ma essa permane ancora nella sua virtù. La missione dello Spirito Santo nelle anime è ormai invisibile, ma non per questo risulta meno feconda. Guardate la Chiesa nel giorno stesso in cui celebra l'ascensione. Qual è la sua preghiera, dopo aver cantata la glorificazione del suo Sposo divino e averne gioito con la più grande allegrezza? Si rivolge così a Gesù Cristo: «O Re della gloria, o Signore, le cui opere fanno risplendere la vostra potenza, e che siete asceso oggi nel più alto dei cieli, non ci lasciate orfani, ma inviateci colui che il Padre ha promesso, lo Spirito di verità» (Antifona dei secondi Vespri dell'Ascensione). O Pontefice onnipossente, ora che siete assiso alla destra del Padre vostro e che gioite in tutta la pienezza del vostro trionfo, pregate il Padre vostro, come ce lo avete promesso, affinché ci invii un altro consolatore: per i dolori della vostra umanità voi avete meritata questa grazia per noi, il Padre vi ascolterà perché vi ama; perché voi siete il suo Figlio diletto egli manderà insieme a voi lo Spirito che ha promesso quando ha detto: «Io diffonderò lo Spirito di grazie e di preghiere sopra tutti gli abitanti di Gerusalemme»; inviatelo su di noi, affinché egli vi rimanga eternamente! La Chiesa adunque prega come se la Pentecoste dovesse rinnovarsi per noi e ripete questa preghiera ogni giorno dell'ottava dell'Ascensione; poi, nel giorno della solennità di Pentecoste, moltiplica le sue lodi allo Spirito in un linguaggio pieno di smagliante ricchezza, e l'invoca con una insistenza senza pari e con gli accenti più commoventi: «Venite, o Spirito Santo, colmate i cuori dei vostri devoti, accendete in essi il fuoco del vostro amore! (Versetto dell' Alleluia della Messa) O luce beatissima, penetrate con la vostra luminosità nei più intimi recessi del cuore dei vostri fedeli! (Sequenza Veni Sancte Spiritus). Sorgente viva, fuoco ardente, amore, unzione spirituale, venite! Versate, inondate la luce nei nostri spiriti, diffondete l'amore nei cuori nostri, sostenete con la vostra forza incessante la nostra debolezza!» (Inno Veni Creator).
Se la Chiesa, nostra madre, ispira questi desideri nelle anime nostre e queste preghiere sulle nostre labbra, non è solamente per commemorare il ricordo della missione visibile che ebbe luogo nel cenacolo, ma anche perché questo mistero si rinnova in noi tutti in una maniera interiore.
Ripetiamo con la Chiesa queste ardenti aspirazioni. Domandiamo al Padre celeste di inviarci questo Spirito. Per la grazia santificante, noi siamo i figli suoi; ora è proprio questa qualità di figli che spinge il Padre a colmarci di favori: appunto perché ci ama come suoi figli, ci fa il dono del Figlio suo; tanto è vero che la comunione è «il pane dei figli» (Sequenza Lauda Sion); è ancora perché siamo suoi figli che ci invia il suo Spirito che è uno dei suoi doni più perfetti: Donum Dei altissimi (Inno Veni Creator). Che cosa ci dice, infatti, S. Paolo? (Galat. IV, 6) «Perché siete figli suoi, Dio ha inviato nei vostri cuori lo Spirito del Figlio suo». E' lo Spirito del Figlio perché procede dal Figlio come dal Padre e perché è mandato dal Figlio nel tempo stesso che è mandato dal Padre. Perciò nel Prefazio della Pentecoste cantiamo: «E' veramente cosa degna e giusta... che noi vi rendiamo grazie, Signore santo, Padre onnipotente, Dio eterno, per Gesù Cristo nostro Signore, che essendo salito al di là dei cieli, ed essendosi assiso alla vostra destra, diffonde in questo giorno sui figli di adozione lo Spirito Santo che aveva promesso».
Così a quanti sono figli di adozione, a quanti sono fratelli di Gesù per la grazia santificante, è largito lo Spirito Santo. E poiché questo dono è divino, e contiene tutti i doni più preziosi di vita e di santità, la sua effusione in noi, che si è mostrata cosi copiosa nel giorno di Pentecoste, è «una sorgente di gioia che riempie di allegrezza il mondo intero» (Prefazio della Pentecoste).
V. Operazioni dello Spirito Santo bele anime nostre; nostri doveri verso di Lui.
Ma non abbiamo già ricevuto, mi direte, lo Spirito Santo nel Battesimo e più specialmente ancora nel sacramento della Cresima?
Senza dubbio; ma noi lo possiamo ricevere con sempre maggiore abbondanza insieme a lumi più vivi, a forze più possenti: egli può far zampillare sempre nei cuori nostri sorgenti sempre più profonde di consolazione e incendiarli di un amore sempre più ardente.
E questa operazione feconda dello Spirito in noi può rinnovarsi non solo nei santi giorni della Pentecoste, ma anche ogni volta che riceviamo un sacramento, un accrescimento della grazia, poiché egli non fa che uno col Padre e col Figlio (Joan. XIV, 23).
Lo Spirito Santo viene in noi per dimorarvi, vi dimora per santificarci, per regolare ogni nostra attività soprannaturale, per farci parte dei suoi doni di sapienza e di intelligenza, di consiglio e di forza, di scienza, di pietà e di timore che sono altrettante disposizioni soprannaturali deposte in noi allo scopo di farci agire come debbono agire i figli di Dio (Rom. VIII, 14).
Egli dimora in noi, ospite divino, pieno di amore e di bontà, allo scopo di aiutarci, di illuminarci, fortificarci e mai non ci abbandonerà se con una colpa mortale non lo discacciamo dalle anime nostre, il che S. Paolo chiama «spengere lo Spirito», (I Thess. V, 19) scacciare questo Spirito di amore preferendo a lui, in un modo assoluto, qualche creatura.
Seguiamo ancora il consiglio dell'Apostolo e non «contristiamo» (Eph. IV, 30) lo Spirito, non resistiamo alle sue ispirazioni con qualsivoglia peccato per quanto leggero, pienamente deliberato, freddamente eseguito, con un «no» risposto volontariamente a tutto ciò che egli ci ispira di buono e di bene.
La sua azione è quanto mai delicata, e quando l'anima gli resiste deliberatamente, frequentemente, essa offende lo Spirito; lo obbliga a poco a poco a tacere; allora si ferma nel cammino della santità e corre serio pericolo di uscire anche dalla strada della salvezza. Che mai può fare quest'anima senza maestro che la guidi, senza luce che la illumini, senza forza che la sostenga, senza gioia che la trasporti?
Siamo invece fedeli a questo Spirito che viene in noi, con il Padre ed il Figlio, per stabilirvi la sua dimora. «Non sapete voi, dice ancora S. Paolo, che siete, per la grazia, il tempio di Dio e che lo Spirito Santo abita in voi?» (I Cor III, 16). Ogni accrescimento della grazia è come un nuovo ricevimento di questo ospite divino, una nuova presa di possesso delle nostre anime da parte di lui ed una nuova stretta di amore.
Come sono benefiche le sue operazioni nell'anima fedele! Egli le fa «conoscere il Padre»: Per te sciamus, da Patrem, (Inno Veni Creator) e con ciò, produce in essa insieme al dono della pietà, l'atteggiamento di adorazione e di amore ch'ella deve sempre avere verso il Padre celeste. Sentite ciò che dice esplicitamente S. Paolo: «Lo Spirito viene in aiuto alle nostre debolezze, poiché non sappiamo ciò che dobbiamo domandare nelle nostre preghiere, ma lo Spirito stesso prega per noi con gemiti inenarrabili» (Hom. VIII, 26). E qual è questa preghiera? «Voi avete ricevuto, egli dice, uno Spirito di adozione nel quale gridiamo: Abbà (Padre). Lo stesso Spirito rende testimonianza alla nostra anima che noi siamo figli di Dio» (Rom. 15-16). Egli ci fa conoscere anche il Figlio: Noscamus atque Filium; (Inno Veni Creator) egli ci manifesta Gesù; è il maestro interiore che ci fa conoscere Cristo e ci dà l'intelligenza delle sue parole e dei suoi misteri; «perché, dice Gesù, egli procede da me come da mio Padre, ...egli mi glorificherà in voi» (Joan. XVI, 14). E diffondendo in noi la scienza divina e tenendoci per mezzo dell'amore in presenza di Gesù e ispirandoci di adempire sempre ciò che gli è gradito, fa regnare in noi Gesù Cristo. Con la sua azione infinitamente delicata e supremamente efficace forma Gesù in noi. Non consiste in questo la sostanza di tutta la santità?
Domandiamogli dunque di venire in noi, di trattenervisi e di accrescervi l'abbondanza dei suoi doni. La fervida preghiera è una condizione della sua venuta nelle nostre anime. L'umiltà è la seconda. Presentiamoci a lui con l'intima convinzione della nostra spirituale povertà, disposizione questa eccellente per ricevere colui di cui la Chiesa canta (Sequenza Veni Sancte Spiritus): «Senza il vostro soccorso non vi è nulla nell'uomo che non possa nuocere a lui». Prendiamo dunque in prestito dalla Chiesa le sue vive aspirazioni: «Venite, o Spirito di amore, venite, o ristoro nella
fatica, o riparo dagli ardori avvampanti, o consolazione nelle lacrime. Lavate le nostre macchie, irrorate le nostre aridità, guarite le nostre piaghe, ammorbidite la nostra ostinazione, riscaldate la nostra frigidità, riconducete i nostri passi sulla retta via»:
Lava quod est sordidum, Riga quod est aridum, Sana quod est saucium; Flecte quod est rigidum, Fove quod est frigidum, Rege quod est devium (Ibid.)
Nonostante le nostre miserie, invochiamo lo Spirito Santo, il quale, a motivo appunto di queste stesse miserie, vorrà esaudirci.
E poiché egli non fa che uno col Padre e col Figlio, rivolgiamoci anche al Padre e diciamogli: «Padre, inviate in noi, nel nome del vostro Figlio Gesù, lo Spirito di amore, affinché ci riempia del sentimento intimo della nostra figliazione divina.
«E voi, o Gesù, pontefice nostro, assiso ora alla destra del Padre vostro, richiedetelo per noi, affinché questa missione dello Spirito che ci avete promessa e meritata, sia abbondante "come un fiume impetuoso che rallegri la città delle anime", o meglio, secondo la vostra stessa parola, "un fiume di acqua viva zampillante fino all'eterna vita"».