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Né eretico, né scismatico

Io non ho mai smesso di ripeterlo: se qualcuno si separa dal Papa, quello non sarò certo io. La questione si riassume così: il potere del Papa nella Chiesa è un potere supremo, ma non assoluto e senza limiti, in quanto è subordinato al potere divino, che si esprime nella Tradizione, nella Sacra Scrittura e nelle definizioni già promulgate dal magistero ecclesiastico. Infatti il potere pontificio trova i suoi limiti nel fine per il quale è stato dato sulla terra al vicario di Cristo, fine che Pio IX ha chiaramente definito nella costituzione Pastor Aeternus del Concilio Vaticano I. Sicché io, affermando questo, non esprimo una teoria personale.

L'obbedienza cieca non è cattolica.

Nessuno è esentato dalla responsabilità per aver obbedito agli uomini invece che a Dio, accettando ordini da un'autorità superiore, fosse pure quella del Papa, qualora essi si rivelino contrari alla volontà di Dio tal quale la Tradizione ce la fa conoscere con certezza. Non si potrebbe certo pensare ad una tale eventualità, quando il Papa v'impegnasse la sua infallibilità; ma egli lo fa soltanto in un ristretto numero di casi. È un errore pensare che tutte le parole uscite dalla bocca del Papa siano infallibili. […]

Occorre riconoscere che il Papa Paolo VI ha posto un serio problema alle coscienze dei cattolici. Questo Pontefice ha causato più danni alla chiesa della Rivoluzione del 1789. Fatti precisi quali la firma apposta all'articolo 7 dell'Institutio Generalis come pure al documento sulla libertà religiosa, sono scandalosi. Ma non è affatto semplice il problema di sapere se un Papa può essere eretico. […] bisognerebbe dunque esaminare in quale misura Paolo VI ha voluto impegnare la sua infallibilità in casi come quelli che ho citato. 

Ora possiamo notare che egli ha agito più da liberale che da simpatizzante per l'eresia. In effetti, non appena gli veniva fatto notare il pericolo che correva, rendeva il testo contraddittorio aggiungendovi una formula opposta a quanto era stato affermato nella redazione: si conosce l'esempio famoso della nota esplicativa preliminare inserita alla fine della costituzione Lumen Gentium sulla collegialità, una formula equivoca, tipica del liberale incoerente per natura.

Il liberalismo di Paolo VI, riconosciuto dal suo amico il card. Danièlou, è sufficiente a spiegare i disastri del suo pontificato. Il cattolico liberale è una persona dalla doppia personalità, in contraddizione continua. Vuole rimanere cattolico, ma è posseduto dalla sete di piacere al mondo. Un Papa può essere liberale e restare Papa? La Chiesa ha sempre ripreso severamente i cattolici liberali […].

Noi vogliamo restare uniti a Roma, al successore di Pietro, rifiutando però del tutto il liberalismo di Paolo VI, per fedeltà ai suoi predecessori.

È chiaro che nei casi come quello della libertà religiosa, della compartecipazione eucaristica autorizzata dal nuovo diritto canonico, della collegialità concepita come l'affermazione di due poteri supremi nella Chiesa, incombe al clero e ai fedeli cattolici il dovere di resistere e di rifiutare l'obbedienza.

Tale resistenza deve essere pubblica, se il male è pubblico e costituisce oggetto di scandalo per le anime. [...]

 


Mons. Marcel Lefebvre - Lettera aperta ai cattolici perplessi, cap XXI