La forza del silenzio
Ogni non credente in Dio vive lo scandalo di vedersi consegnato ad un universo che lo può schiacciare senza riuscire a vedere l’Amore infinito ed eterno che non cessa di vegliare ogni creatura, anche mentre accade il male.
L’Amore che non interviene e fa sentire abbandonato il malcapitato è in realtà rispettoso della libertà che non Gli ha dato consenso.
La nostra epoca urla spesso la propria accusa al Dio assente ed indifferente di fronte al dolore e alla morte, ma si tratta della stessa folla che ha dato il proprio assenso legale alle ragioni della morte, salvo ritrovarsi incapace di accettarla ogni volta che essa bussa inattesa nella sua scomoda realtà.
Alla fine l’uomo si ribella proprio contro Chi è stato escluso dalla vita, il che equivale ad emettere un rumore vuoto, che non possiede né risposta, né speranza.
Diverso è il grido di chi tiene aperto l’accesso all’Invisibile, sapendoLo presente a sovrintendere il nostro pellegrinaggio terreno: in tal caso anche l’angoscia, l’inquietudine e l’agitazione possono trovare riposo, passando dalla ribellione all’accettazione, da una vita che invece di bestemmiare Dio, Lo adora anche quando c’è la croce.
Questo chiaramente non cancella il male; non l’ha cancellato il Verbo Incarnato che pure è venuto a liberarci dalla schiavitù del peccato che è l’origine del disordine che dissemina dolore e morte.
Liberarci dalla schiavitù del peccato significa affrontare il male senza l’orgoglio che ci fa montare dalla ribellione dei sentimenti a quella morale, facendoci giudici dell’Unico Giusto, protagonisti di una vana fatica di Sisifo fiera di sé ed autoreferenziale, scettica su Dio e disperata di fronte al dolore.
L’esistenza umana ribelle è una voluttà di montagne russe e insieme una roulette russa, tra rumori, rischi, sfide, eccessi ed artifici che rifiutano l’ulteriorità e la Volontà di Dio per fare ciò che vogliamo noi e ci piace.
Siamo affamati di conquiste, imbevuti di ideologie impegnate in nobili battaglie, ebbri di protagonismo, idolatri dei diritti e del progresso. In tutto questo, silenzio non c’è, salvo quando cala all’improvviso e non come scelta di conversione, ma come evento che spezza il nostro rumoreggiare. Dio è proprio lì, ai confini dell’esilio al quale Lo avevamo condannato, alle soglie del mistero che irrompe quando finalmente tace la nostra illusoria autonomia. Quanto siano illusorie certe autosufficienze e deliberazioni di indipendenza, ce lo rivelano a volte le tragedie che cancellano in un batter d’occhi un’esistenza innocente che entra nell’eternità, mentre restano a piangerla le lacrime di chi continua ad essere tentato dalla ribellione.
Mentre chi non c'è più, a causa della morte, si affaccia sull’ulteriorità che ci consegna secondo giustizia e misericordia al regno divino, chi resta da questa parte prosegue il proprio esilio nella valle di lacrime, pensieroso o indignato mentre ragioniamo accecati dal peccato sull’assurdità degli eventi in una realtà soggetta al principe del mondo.
Ѐ lui a fomentare la ribellione a Dio che ci impedisce di scorgerLo mentre veglia amoroso su ciascuno di noi, che la misericordia divina rende capace di conservare sempre in fondo al cuore la nostalgia della vera patria.
L’uomo per forza e mezzi è nulla davanti a Dio, eppure, a motivo dell'amore che Dio ci dona, è la luce dei Suoi occhi.
Nel prendere coscienza della misura dei giorni, della fragilità, della data di scadenza invisibile che rechiamo sulla nostra etichetta identificativa dell'unicità ed irripetibilità nell’universo, possiamo renderci conto del soffio che siamo sulla scena dei giorni: ombre che passano e trovano in Dio la speranza che ci corregge dallo svanire senza respiro.
C’è un grande mistero nella morte: quanto più impressiona e spaventa quella inattesa, piombata su vite felici in un’ora che non t’aspetti, tanto più dovrebbe interessarci la verità di noi stessi, attendendo ciò che ci compete e ci riguarda tutti.
La preghiera allora è esercizio della dilatazione del cuore alla speranza, proprio perché Dio si fa trovare mentre veglia sulle nostre prove, non più viste come colpi malvagi del fato o scherzi del destino, ma la semplice nudità della nostra carne perché più bello sia il vestito della nostra anima il giorno dell’appuntamento con la vita eterna.
La speranza è ben riposta, perché credibile è Chi l’ha fondata. Le prove nella carne rappresentano la purificazione necessaria per presentarsi mondi nell‘anticamera del paradiso, del giardino dell’Eden dove risuona tra gli amanti il Cantico dei cantici.
Questo spazio va recuperato dall’insignificanza in cui l’avevamo riposto, rinchiuso nel clamore dei corpi. Ci serve un’innocenza impossibile senza staccarci dal peccato degli idoli vani e del culto dell’uomo.
Una fede salda è faro nella tempesta ed è roccia che sa resistere alle onde più fragorose della storia, capaci di travolgere le nostre fragili vite, mentre la morte si prende i pezzi della storia di chi rimane privo di un sorriso che ora attende di riposare in Cielo.
R.S. (Chiesa e post concilio )