Ai sacerdoti
DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII
AI PARROCI E AI QUARESIMALISTI DI ROMA
Sala del Concistoro – Venerdì, 27 marzo 1953
Ecco, diletti figli, una Udienza, alla quale non avremmo potuto rinunziare. Appena le Nostre forze Ce lo hanno permesso, Ci siamo affrettati a chiamarvi intorno a Noi, per trattenerCi un poco con voi, per parlarvi col Nostro cuore ancor più che con le Nostre labbra.
La vostra presenza qui Ci è motivo di profondo gaudio e Ci spinge a manifestarvi la Nostra più viva letizia; se infatti tanta gioia Ci procura sempre l’incontro coi fedeli di Roma, quanto più grande deve essere quella di poterCi trovare con voi, che dividete col Vescovo dell’Urbe, col vostro Vescovo, le ansie, le trepidazioni, i timori, le speranze, in una parola, le cure pastorali?
Vi diamo dunque, amati Parroci di Roma e Predicatori quaresimalisti, il Nostro paterno benvenuto, nella speranza che quanto saremo semplicemente per dirvi non solo servirà in qualche modo alla efficacia del vostro ministero, ma giungerà anche alle menti e ai cuori di non pochi romani, nel campo delle vostre apostoliche fatiche.
Voi ben sapete come la Sacra Scrittura, quando parla della Chiesa, usa — secondo le circostanze — immagini architettoniche, sociali, antropomorfe. Così la Chiesa è un edificio costruito sopra una « pietra » fondamentale, tanto saldo che nessun impeto di uomini o di demoni varrà a farlo crollare (cfr. Matth. 16, 18); è un regno, le cui chiavi sono in mano di colui che ebbe da Gesù. Re eterno, la potestà di legare e di sciogliere sulla terra e nel cielo (cfr. Matth. 16, 18-19); è un corpo, le cui membra sono i fedeli e le cui operazioni sono governate dal Capo che è Gesù, rappresentato dal Vicario di Lui sulla terra (cfr. Rom. 12, 4-6: 1 Cor. 12, 12-27; Eph. 4, 4).
Ma vi è un’immagine, sulla quale — come vi è noto — Gesù sembra insistere in modo particolare, intrattenendosi a indicarne gli elementi, a spiegarne il significato, a proporne le applicazioni pratiche: la Chiesa è un ovile, che ha un Pastore supremo invisibile, Cristo stesso, il quale però volle che facesse le sue veci sulla terra un Pastore visibile, il Papa.
Per confidarCi con voi — come fa un padre coi figli più vicini e più cari — Noi vi diciamo che pochi passi del Vangelo sono stati e sono oggetto delle Nostre meditazioni quanto quello che descrive la Chiesa come un ovile e qualifica il suo Capo col titolo, umile insieme e grande, di Pastore (Io. 10, 1-18). Poche voci, per conseguenza, risuonano tanto insistentemente — vorremmo dire: tanto imperiosamente, — alle Nostre orecchie e s’imprimono tanto profondamente nel Nostro cuore come questa: Tu es pastor ovium.
Non vi dispiaccia dunque che il Vescovo, il Pastore di Roma, rimediti con voi quella pagina, riascolti con voi quella voce. Nello scorso gennaio, ricevendo la parrocchia di S. Saba, procurammo di rivolgerCi specialmente ai fedeli, indicando loro le mete da raggiungere, invitandoli ad entrare, per così dire, in santa gara coi fedeli delle altre parrocchie dell’Urbe. Intendevamo — fra l’altro — di proporre un semplice e pratico modello, che potesse essere utile a quanti nel settore parrocchiale desiderano lavorare all’attuazione del « mondo migliore da Dio voluto » (Esort. 10 febbraio 1952). Oggi, quasi a complemento di ciò che allora dicemmo, C’indirizziamo particolarmente a voi, dilettissimi sacerdoti, cooperatori, — ognuno nel proprio territorio, — del Vescovo presso il popolo romano, parte tanto eletta dell’ovile universale di Cristo. Perciò Noi diremo a ciascuno di voi: tu es pastor ovium. La parrocchia, che Gesù per mezzo Nostro ti ha affidata, è anch’essa un ovile, e tu ne sei il pastore.
Ora l’opera del pastore, l’opera quindi di ciascuno di voi, dovrà essere primieramente di difesa dai ladri. Ogni ovile è spiato da ladri e malandrini, che agognano di farne il campo delle loro ruberie. Quando essi si accostano all’ovile e furtivamente vi penetrano, non hanno che un fine: rubare e fare strage: Fur non venit visi ut furetur et mactet et perdat (Io. 10, 10).
Dovete quindi e innanzi tutto studiarvi di individuare e riconoscere i ladri, badando di non lasciarvi guidare da un certo semplicismo, che farebbe volgere la vostra attenzione, le vostre precauzioni verso una sola parte. Come nel gran mondo della Chiesa universale, così nel piccolo mondo della parrocchia, il nemico sembra uno, ma è molteplice. Noi lo avvertimmo — se ben ricordate — dinanzi alla immensa moltitudine degli Uomini di Azione Cattolica nella radiosa giornata del 12 ottobre scorso. Vi è bensì — sarebbe impossibile di non accorgersene —un nemico che tiene tutti particolarmente in ansia; esso diventa ogni giorno più minaccioso, e insidia e assalta con tutti i mezzi e senza esclusione di colpi; ma questo nemico è divenuto fra tutti il più facilmente riconoscibile.
Altri nemici, o — se volete, — lo stesso « nemico » sotto diverse forme e spoglie, occorrerà scoprire. Si avvicinano spesso vestiti da agnelli, « in vestimentis ovium » (Matth. 7, 15). Bisognerà quindi adoperarsi affinché i fedeli li riconoscano dalle opere; dalle piante, cioè, che per causa loro, nascono e crescono nel campo di Dio, come pure dai frutti che su quelle piante maturano : « a fructibus eorum ».
A tal fine gioverà mostrare quanto disorientamento e quali tenebre s’incontrano spesso là dove prima era tutto uno splendore di luce; additare l’odio che opprime certi cuori, già dilatati nell’amore operoso; la discordia e la guerra che infuriano là dove regnava la pace; la torbida passione che sconvolge gli animi là dove era il candore della purezza. Il « nemico » disanima i giovani, estinguendo in loro la fiamma dei supremi ideali; priva i bambini della innocenza, riducendoli a piccole furie ribelli contro Dio e contro gli uomini. E quando vedrete i poveri privati delle loro più alte e consolanti speranze e certi ricchi chiusi in un pervicace egoismo; quando rimarrete tristi davanti a focolari, dove gli sposi gemono nel freddo, perché si è spento il fuoco dell’amore; dite: ecco, è venuto il ladro; ecco, è venuto il nemico, ed è venuto ut furetur et mactet et perdat, per rubare e portare lo scompiglio e la morte.
Contro questo multiforme nemico bisognerà reagire con l’impeto del padre che difende i suoi figli e con la prontezza che un dovere così urgente e tremendo impone.
Noi sappiamo che i Nostri parroci romani vigilano insonni e si affaticano e si affannano per evitare la strage nel proprio ovile, o almeno per ridurne il danno. Ognuno di voi è, con Noi, pastore nell’ovile : tu es pastor ovium.
Ma ecco un’ansia di Gesù. Se, a guardia dell’ovile, invece del pastore buono, vi fosse soltanto un mercenario, potrebbe avvenire che il gregge rimanesse incustodito, o andasse addirittura disperso, appena che si facesse sentire l’urlo dei lupi, avidi di preda, pronti all’assalto : Mercenarius . . . vidit lupum venientem et dimittit oves et fugit, et lupus rapit et dispergit oves (Io. 10, 12). Oggi le condizioni del clero difficilmente possono essere un motivo di umana attrattiva, come erano forse in altri tempi. In un mondo preso, come non mai, nella rete dell’interesse, agitato dalla frenesia del piacere e tormentato dalla sete di dominio, il sacerdozio è ed appare come qualche cosa di raramente appetibile per coloro che volessero rimanere nel mondo appartenendo al mondo. Voi, diletti figli, vi sforzate di dare splendente esempio di distacco da quanto potrebbe darvi l’apparenza di «impiegati », che nel lavoro non vedessero nè cercassero altro fuorché una mercede — giusta, del resto — che valga a procacciare loro il necessario sostentamento.
Senza dubbio, secondo la dottrina dell’Apostolo Paolo (cfr. Cor. 9, 13-14) e dello stesso Salvatore divino (cfr. Matth. 10, 10; Luc. 10, 7), colui che serve all’altare, ha diritto di vivere dell’altare; ma non vi ricorderemo mai abbastanza l’impegno sacro che un giorno assumeste dinanzi a Dio e alla Chiesa, quando il Vescovo vi affidò una porzione del suo gregge. Nessuno di voi è il mercenario, il quale fugge dinanzi al lupo, perchè non gl’importa niente delle pecorelle. Ognuno vuol essere invece, ognuno è di fatto, pastore vero, pastore buono, che nulla pretende, che anzi è disposto a immolare la vita stessa per le sue pecorelle. Bonus pastor animam suam dat pro ovibus suis (Io. 10, 11).
In tal guisa passiamo, diletti figli, alla parte che chiameremo « positiva » della Nostra meditazione con voi. — Dopo le parole severe indirizzate ai ciechi ed ostinati Farisei, Gesù pronunzia — probabilmente durante la festa della Sagra in Gerusalemme — un’allegoria, improntata dai costumi pastorizi della Palestina, traboccante di amore e di mistero, spirante la più soave tenerezza. Egli è la porta dell’ovile, per la quale soltanto si può entrare ed uscire e trovare il pascolo di salute. È il buon Pastore; conosce le sue pecorelle, che ascoltano la sua voce e lo seguono, e per esse Egli dà la sua vita.
Sia Egli, diletti figli, il vostro fulgido modello. Il buon pastore, il buon parroco, deve conoscere tutte le pecorelle, di tutte occuparsi, per tutte prodigarsi, affinché ad esse non manchino i pascoli verdeggianti, herbae virentes (Prov. 27, 25).
Il suo primo pensiero correrà alle pecorelle che non sono nell’ovile. Diletti figli, non dimenticate che ognuno di voi è parroco e pastore per tutti coloro che dimorano nel territorio della sua parrocchia e per il bene di tutti egli porta una tremenda responsabilità. Non sarà dunque difficile di accorgersi che vi sono pecorelle le quali non appartengono a quell’ovile: « Et alias oves habeo, quae non sunt ex hoc ovili » (Io. 10, 16), per risolvere senza indugio che anche esse debbono essere radunate: « et illas oportet me adducere » (ibid.). È il problema, come voi vedete, delle pecorelle non entrate mai nell’ovile; il problema di quelle che ne fuggirono, abbandonando la fonte di acqua viva, per cercare melma e fango nelle cisterne screpolate: « dereliquerunt fontem aquae vivae et foderunt sibi cisternas, cisternas dissipatas » (Ier. 2, 13).
Pecorelle smarrite, che non accetterebbero nemmeno di essere ricercate; altre che invece gradirebbero di incontrare l’occhio amorevole che le scopra e la mano pietosa che le raccolga e le risollevi; altre infine che già si apprestano a tornare, e forse temono di essere male accolte.
Noi vi scongiuriamo, diletti figli, di rimanere in uno stato di santa e quasi perenne angustia per le pecorelle tuttora lontane, perchè non ebbero mai o perdettero la fede.
Noi non dubitiamo che, di estate o d’inverno, di notte o di giorno, quando verranno a battere alla vostra porta, la troveranno già aperta o pronta ad aprirsi.
E quelle che non vengono, cercatele; e quelle che volessero rimanere lontane ed ostili, raggiungetele con quell’apostolato della preghiera e del sacrificio, che non conosce ostacoli ed è il più efficace di tutti.
Altre pecorelle sono nell’ovile e non intendono di allontanarsene sottraendosi all’unità della fede o alla unità del regime; eppure, rimanendo vittime del peccato, che si oppone all’unità nella grazia, vengono giustamente chiamate membra morte del Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa. Il pastore, il parroco, deve anzitutto ricercare le vie più atte per procurare la loro risurrezione.
Abbiamo già detto altra volta (Discorso alla parrocchia di S. Saba) che i veri fedeli, i vivi, si contano ai piedi dell’altare, quando il sacerdote distribuisce il Pane di vita. Non basta trovarli numerosi al cinema parrocchiale, e nemmeno, per sé, soltanto alla Messa domenicale. Ma anche se dalla frequenza in questa ultima fosse possibile di computare fondatamente i fedeli vivi, non è forse vero che già così si presenterebbe uno spettacolo non sempre consolante al vostro occhio di pastori? E le bestemmie? E i peccati contro il sesto comandamento commessi dai giovani e da coloro che sono uniti col vincolo santo del matrimonio? E i furti? E le false testimonianze?
A questi morti il buon pastore deve ridare la vita. Il sacerdote in cura d’anime non può dimenticare che Gesù Pastore supremo ed universale dichiarò di essere venuto al mondo affinchè le pecorelle avessero la vita: Veni ut vitam habeant (Io. 10, 10).
Quando poi considera le pecorelle che sono vive, non creda il pastore buono, il parroco, di poter restarsene tranquillo. È vero che in particolari contingenze bisognerà lasciare le novantanove, sicure nell’ovile, per correre dietro alla pecorella smarrita. Ordinariamente però sarà necessario di conservare la vita in chi la possiede, avendo cura che a nessuno manchi il conveniente nutrimento spirituale.
Anzi bisognerà non contentarsi di conservare; occorrerà anche accrescere la vita divina nelle anime. Veni ut vitam habeant et abundantius habeant (Io. 10, 10): proclamò il Redentore, intendendo che questa fosse anche l’ansia degli altri pastori preposti alle varie porzioni del suo gregge nell’ovile della Chiesa.
È il problema urgentissimo dei cattolici militanti. Ne parlammo già ai fedeli di S. Saba e intendiamo di qui rinnovare la Nostra raccomandazione che crescano in numero e in qualità. Sarà utile altresì di riflettere che queste anime generose più facilmente seguiranno il pastore che sappia precederle col suo esempio. Il buon pastore, « cum pro prias oves einiserit, ante cas vadit, et oves illuin sequuntur » (Io. 10, 4).
Forse l’uno o l’altro di voi sentirà dolorosamente il tagliente contrasto fra la mirabile allegoria del buon Pastore e la cruda realtà presente. E Noi vogliamo con ciò alludere non tanto alle difficoltà che s’incontrano nelle grandi parrocchie col loro stragrande numero di anime, quanto piuttosto al travaglio in cui vivono non pochi parroci in varie regioni: indebolimento dello spirito di fede; accaniti sforzi degli avversari per escludere la religione dalla vita pubblica; potenti organizzazioni tese nella lotta contro Dio, Cristo e la Chiesa.
Noi non neghiamo, diletti figli, che la nave della Chiesa avanza in un mare procelloso. Tuttavia, quanto maggiori sono le difficoltà, tanto più dobbiamo conservare la quiete interiore ed elevare il cuore a Dio. Noi viviamo di fede (cfr. Rom. I, 17). Ma la fede importa un abbandono incondizionato in Dio, indipendentemente da ogni calcolo umano delle possibilità di un favorevole successo. Nel momento in cui noi cominciassimo a dirigere l’opera nostra secondo un tale calcolo, ci allontaneremmo dal senso della fede. Non dobbiamo inoltre dimenticare che la via della Chiesa è la via della Croce, e che il seguire Gesù portando la croce è dovere primario del sacerdote.
È stato giustamente osservato che nella storia della Chiesa vi sono periodi, in cui viene principalmente gettato il seme del futuro sviluppo. Le generazioni venture ripongono poi la ricca messe nei granai. Ci troviamo forse noi ora in una simile epoca di promettente seminagione? Ad ogni modo, se il Male ai nostri giorni ha accresciuto la sua potenza, ciò è vero anche più del Bene, e la Chiesa ha potuto registrare ai nostri tempi fulgidissimi esempi di ardente zelo per la gloria di Dio e per la salvezza di tante anime immortali.
Il numero di coloro, che vogliono rimanere fedeli a Cristo e alla sua Chiesa, merita davvero sempre il pieno impiego delle vostre forze; e quanto ai lontani e ai nemici, valga per essi l’olocausto delle vostre preghiere, delle vostre fatiche, delle vostre ansietà, ed anche delle vostre forse deluse speranze.
Cuore largo, imperturbabile coraggio, incrollabile fiducia, siano il sostegno della vostra vita, e con tale augurio impartiamo di cuore a voi, a tutto il clero e il popolo romano, la Nostra Apostolica Benedizione.