Male minore
“Non facciamo il male perché ne venga un bene” (Rom 3,8). Con queste parole San Paolo stabiliva un principio fondamentale di morale, alla base di ogni vita cristiana.
Ma fra due mali si può scegliere il minore? Lo si può consigliare? Per rispondere adeguatamente a queste domande pubblichiamo un testo tratto dal Dizionario di Teologia Morale del Cardinale Pietro Palazzini (Editrice Studium, 1969) alla voce Minor male.
MINOR MALE (scelta del).
1) Scegliere il male minore.
Di due mali scegliere e perciò compiere il minore non è lecito, se si tratta di due mali morali ossia di due operazioni che sono in se stesse violazione della legge morale. La tesi è evidente. Un male non diventa bene o lecito, perché c'è un altro male più grande, che si potrebbe scegliere.
Il problema morale, proposto nella domanda «Se è lecito o obbligatorio scegliere di due mali il minore», suppone una cosa, che in realtà non può esistere, cioè il cosiddetto caso perplesso, nel quale l'uomo sarebbe costretto a scegliere tra due atti peccaminosi, così che se non scelga l'uno, necessariamente debba scegliere l'altro. Un tale caso moralmente è impossibile. Perché l'uomo può sempre astenersi da qualsiasi atto positivo, che importa la scelta di un mezzo.
L'uomo può sempre non fare, se fare l'una o l'altra cosa sia sempre peccato; e questo non fare non è peccato in sé (p. es., non procurare l'aborto). Se da questa omissione seguono, in virtù di circostanze, gravi danni, p. es. la morte della madre, o della madre e del bambino insieme, l'uomo non è responsabile per questi danni, perché nessuno è responsabile per le conseguenze della condotta da lui seguita, quando non c'era possibilità d'agire senza peccare.
Scegliere il male male è lecito, quando questo male non è in sé un male morale (peccato), ma è o un male puramente fisico o un atto od omissione in sé buona o indifferente, dal quale o dalla quale però, nel caso concreto, seguirà un effetto accidentale cattivo, meno grave però di quello che produrrebbe un altro mezzo; p. es. di due farmaci, che producono tutti e due un effetto cattivo sulla salute, ma che sono ugualmente utili per me, io devo scegliere il meno nocivo, perché ho l'obbligo di non recare nocumento alla mia salute.
2) Consigliare (RACCOMANDARE) un male minore.
Il problema morale va così enunciato: se è lecito consigliare ad una persona decisa a fare un peccato, di farne un altro che sia meno grave, p. es. consigliare la fornicazione ad una persona che è decisa a fare un adulterio; di ubriacarsi invece di fare un omicidio.
La retta soluzione del problema è, che non è mai lecito consigliare un peccato, neanche a una persona che è decisa a fare un peccato più grave, perché consigliare un atto è di per sé indurre a commetterlo.
Orbene, indurre un altro a commettere un peccato, è peccato. Non mi è lecito far sì che un altro voglia e faccia un peccato. La comparazione con un altro peccato non toglie la malizia del primo. Il fine, prevenire un peccato maggiore, è buono; ma il fine buono non giustifica il mezzo adoperato, se questo non è già permesso in se stesso.
Non è lecito fare un male, per evitare un male maggiore. Quando, però, ciò che facciamo non è consigliare un peccato, benché meno grande, ma sconsigliare di compiere una parte del peccato già deciso (ritrarre da una parte e non dal tutto, perché questo ci risulta impossibile), non facciamo male ma bene; per es. dire ad un ladro, che vuol uccidere un proprietario e rubare i suoi tesori, «prendete soltanto i tesori», non è consigliare il furto, ma sconsigliare l'omicidio. Il furto era già deciso e non si compie a motivo delle mie parole. L'unico effetto che le mie parole producono per loro propria natura è ritrarre il ladro dall'omicidio già stabilito.
Orbene, ritrarre un altro dal suo proposito cattivo è un atto buono e lecito per propria natura. Questo vale anche se il mio atto lo ritrae soltanto da una parte del peccato, perché non è in mio potere (benché in mio volere) di ritrarlo del tutto. La differenza tra il consigliare il male e lo sconsigliare una parte del male proposto, sta in questo che nel primo caso si adopera un atto, per natura cattivo, come mezzo ad un fine buono; nel secondo caso invece si adopera un atto per natura sua buono come mezzo ad un fine buono.
Ma ciò che decide della moralità non è la forma delle parole usate, ma il loro vero significato, il quale talvolta è determinato anche dalle circostanze in cui esse sono pronunziate. Affinché il nostro atto sia davvero uno sconsigliare una parte del peccato, è necessario che la parte rimanente sia già stabilita formalmente o almeno virtualmente nel peccato intero, che l'altro aveva deciso di commettere.
FSSPX (sanpiox.it)