Secolarismo cristiano
Bisogna dedicare un po’ di attenzione al secolarismo perché esso è entrato in casa nostra. Per questo lo denominiamo «cristiano», in un senso evidentemente improprio.
Il secolarismo sta nel non tener conto di Dio e di quello che lo riguarda; nell’ostentare nel non tenere il divino in alcuna considerazione (l’atteggiamento e il tono hanno una parte dominante); nel respingere, dunque, il valore della dimensione religiosa e la potenza della vita interiore.
Per tale motivo abbiamo assistito alla diffusione di una letteratura, sedicente teologica, sulla «morte di Dio». L’ultimo prodotto classico di questa letteratura, dovuto al filosofo marxista Roger Garaudy, puntualmente introdotto in Italia dalla solita compiacente editoria, appare ormai un frutto fuori stagione. Non crediamo che ci sia più alcuno che identifichi il termine cristiano di «resurrezione» con quello marxista e postmarxista di «rivoluzione». Però, non si sa mai…La teologia della morte di Dio ha conosciuto ormai il suo tempo; ad essa riconosciamo il merito di essere stata esplicita.
Sì, la franchezza è un merito. Perché vi è qualcosa di più grave che sostenere l’ateismo: il peggio consiste nell’introdurlo con parole, formule, procedimenti linguistici, che non suonano esplicitamente esclusioni di Dio, che appaiono suadenti per i molti ingenui e che invece servono da anestetico per far scivolare la gente, senza precisa coscienza, nella negazione di Dio o della sua presenza nella storia.
Questo è il vero pericolo del secolarismo cristiano.
Per ottenere meglio lo scopo ora indicato, esso non si confronta con le idee, ma con i costumi e con gli atteggiamenti. La critica della pratica è usata come mezzo surrettizio per svalorizzare la dottrina.
Dio è «altro» dall’uomo, lo trascende infinitamente, è la purezza e la pienezza dell’essere. L’uomo non può entrare in meritorio rapporto con Dio se non lasciandosi invadere da ciò che è divino. Il termine di «rinascita» del quarto Evangelo indica un «morire» ed un «risorgere», il venire meno del possesso di se stessi per lasciare il posto alla luce, alla grazia, al possesso di Dio.
La vita umana, attraversata fin dal suo apparire e sempre dal mistero della morte, ha senso solo nel destino eterno. Se questa dimensione non viene riconosciuta, non esiste più alcun significato per l’uomo che diventa, per dirla con Sartre, «una passione inutile». L’uomo non entra in rapporto con Dio negandolo. Non è Prometeo, ma Giobbe l’esempio dell’uomo che dal fondo dell’abisso giunge al divino, trasformando le parole di ribellione in parole di adorazione.
La secolarizzazione pericolosa non sta tanto nei pamphlets pseudoteologici, ma nella graduale perdita pratica del senso del mistero della vita in rapporto a Dio, nella conseguente perdita dell’umiltà e dell’adorazione verso Dio. Sono questi presidi della vita interiore ad essere attaccati e distrutti; ma lo scopo, magari inespresso, di questa lenta demolizione morale è la distruzione della fede in Dio.
Sul procedimento in atto del secolarismo cristiano è bene esemplificare. Il veicolo psicologico di questo secolarismo, dicevamo, non attacca, in primo luogo, la dottrina, ma si riferisce alla condotta della vita.
Nessuno vorrà affermare ad esempio che i due termini «comunità» e «comunione», siano termini fuorvianti od offensivi della retta dottrina. Ma il guaio arriva quando si tende a far sì che l’uomo, e soprattutto il giovane, rompano l’involucro della solitudine, non verso Dio, ma verso il compagno, verso il gruppo; l’effetto di staccarlo da Dio è virtualmente ottenuto. Il ragazzo non si misurerà più sulle esigenze di Dio, ma su quelle della comunità; a poco a poco egli, pur benedetto da qualche sacerdote e accompagnato dalla letture di brani sacri, non si troverà più nella vera direzione di Dio. Si tratta di una matrice del secolarismo cristiano nel trasferire la misura dell’uomo da Dio ad una «comunità» umana.
Così il carreggiamento sotterraneo avviene quasi inavvertitamente: le formule cristiane vengono prima manipolate prima come formule comunitarie, il sacramento della Penitenza viene presentato piuttosto come riconciliazione con la comunità, il sacramento dell’Eucarestia viene risolto nella festa della comunione fraterna. Probabilmente qui sta la prima ragione percui taluni osano celebrare il Santo sacrificio della Messa fuori di ogni regola liturgica relativa all’altare, al luogo, ai paramenti, all’Ordo Missae, al nuovo messale. C’è la comunità e questa basta a tutto.
Ma con tutto questo scompare anche, a poco a poco, la realtà della presenza di Cristo, scompare Dio; esternamente si rileverebbero solo delle infrazioni di leggi liturgiche. Ma queste buone leggi sono condannate a servire da diversivo: in realtà si distrugge ben altro.
In questo contesto anche le più autentiche solidarietà giovanili, i «concili» di giovani e cose del genere, si voglia o meno, possono contribuire a dissolvere le strutture dell’anima cristiana. La miopia che impedisce di scorgere il grande carreggiamento sotterraneo verso le ultime negazioni è grande.
Altra analoga considerazione può farsi sulla diminuita comprensione del sacerdozio e del culto di Dio.
Questi sono una dimensione chiave della vita cristiana. Discuterne, condizionarne la portata, ammetterne limiti che vanno dall’abolizione dell’abito sacerdotale, alla spogliazione degli altari, può sembrare non rilevante. Ma è una via che oggettivamente conduce al dissolvimento totale, alla negazione di Dio.
Il 25 novembre leggevamo su Le Monde un articolo che commentava l’abbandono di una parrocchia di Tolosa da parte di un’équipe sacerdotale, perché un prete della comunità, che svolgeva come gli altri preti del gruppo un lavoro profano, si è sposato con un’assistente sociale. Il passaggio-affermava il commentatore- è costante: prima preti operai, poi dirigenti politici e sindacali (nella delegazione Cgt per il contratto di lavoro dei metalameccanici, su sette rappresentanti quattro erano ex-preti operai) e, infine, il matrimonio. E’ la logica conclusione della secolarizzazione della vita sacerdotale.
Le grandi affermazioni nette e chiare sfuggono al costume del mondo moderno. A questo servono le tattiche subdole. Ed il secolarismo cristiano non ha alcun pudore di servirsene.
Card. Giuseppe Siri
(musicasacra.forumfree.it)