Alleanza Cattolica
Alcune e_mail giunte in Redazione ci chiedono un nostro parere su Alleanza Cattolica.
Quello che possiamo dire è che conosciamo alcune persone (poche) che fanno parte di tale associazione e che stimiamo in quanto siamo certi siano persone per bene; ne conosciamo altre (troppe) che invece non mancano di dare prova di un intelletto volontariamente accecato in questioni dottrinali e liturgiche, con ciò seguendo un modus operandi pernicioso e assai ambiguo nelle questioni che contano; un modus operandi che pare essere divenuto il marchio di fabbrica di AC.
La nostra posizione non si basa sul sentito dire ma dall'aver sperimentato in prima persona e visto con i nostri occhi la posizione e l'atteggiamento di questa associazione i cui iscritti, abbiamo sempre notato, nutrono una sorta di curiosa venerazione per il prof. Introvigne, guru di un'associazione che ci ha dato spesso l'impressione di essere più che altro una sorta di movimento stile testimoni di Geova.
Per chi segue corsiadeiservi.it dall'inizio della sua nascita, si ricorderà che abbiamo pubblicato (e rimosso) alcuni articoli (persino un'intervista) di Massimo Introvigne e tenuto con AC una conferenza insieme a Magdi Allam, nostro ex-collaboratore. Il motivo di questa “collaborazione” era motivata dal fatto che alcuni nostri conoscenti ci consigliarono di contattare AC, associazione già strutturata e radicata sul territorio al contrario della Corsia, alla ricerca di persone cattoliche con cui condividere ideali e contenuti. Ovviamente, oltre ad essere stati mal consigliati, siamo stati anche ingenui nel riporre fiducia in un'associazione che di cattolico ci risulta conservi ben poco. Senonché, con la crescente presa di coscienza del reale stato interno della Chiesa cattolica e in modo particolare con l'avvento al soglio di Pietro di Papa Francesco e dei suoi incredibili discorsi, le posizioni della Corsia e quelle di AC con il passare del tempo hanno preso direzioni diametralmente opposte. L'idea che ci siamo fatti è che meglio sarebbe avere a che fare con il “cattolico” progressista dei più tenaci che con questa associazione.
Prova ne è il fatto riportato da un articolo comparso su ⇒corrispondenzaromana.it in cui si citano passi di una circolare che Massimo Introvigne, reggente nazionale vicario di AC, ha indirizzato ai membri della sua associazione per metterli in guardia contro il cardinale Raymond Leo Burke, Mons. Schneider e Mons. Oliveri, noti difensori della Tradizione e della dottrina cattolica!
Null'altro si può dire se non prendere atto di quanto inquietante (e imbarazzante) sia la vicenda se si pensa che un simile avvertimento proviene da un'alleanza che si dice “cattolica”. Ci chiediamo di che alleanza stiamo parlando... Ma siamo ormai abituati al fatto che la maggior parte dei cristiani è cristiana solo di nome, figurarsi per chi si dice cattolico.
Per chi volesse anche farsi due risate (amare) basta collegarsi a wikipedia.org: troverà scritto che Alleanza Cattolica è un'associazione di laici cattolici, d'impronta tradizionalista, che si propone lo studio e la diffusione della dottrina sociale della Chiesa cattolica. Essa svolge un'azione di apostolato culturale e civile con l'obiettivo dichiarato di mirare alla promozione e alla costruzione di una società, secondo le parole di Giovanni Paolo II, "a misura d'uomo e secondo il piano di Dio".
Dinanzi una tale definizione c'è evidentemente qualcosa che ci sfugge perché don Fausto Buzzi, ex militante di AC, in un'intervista comparsa sul sito sanpiox.it, ha così sintetizzato: “All’epoca – spiega don Buzzi - non riuscivo a spiegarmi come i miei bravi maestri di Alleanza Cattolica si trasformassero in discepoli dell’errore ... furono proprio loro ad insegnarmi gli errori della rivoluzione nella Chiesa, loro che mi aiutarono ad aprir egli occhi sui gravi problemi della nuova messa, quella di Paolo VI. Oggi mi domando se il “Sinodo sulla Famiglia” approvasse la comunione ai risposati che cosa farebbe A.C. che fu una delle pochissime associazioni che si diede anima e corpo per combattere l’approvazione del divorzio in Italia; all’epoca del referendum, lavorammo notte e giorno per scongiurare quel flagello.
E’ certo che l’elezione di Giovanni Paolo II fu l’inizio della fine e fece perdere la bussola ai dirigenti di AC d’allora. Mi sentii dire, con tono estasiato, da uno dei dirigenti di Milano, circa due anni dopo l’elezione di Giovanni Paolo, che era un santo! Se mi si permette un’analogia: come si parla della “sinagoga bendata” che vuol rimanere cieca, così da 34 anni è per AC; si è bendata gli occhi e ha preferito la legalità alla verità, l’entrismo nella “ufficialità” all’esilio per quella verità che fino allora aveva professato apertamente e coraggiosamente.
Oggi AC ipertrofizza la funzione del Magistero dimenticandosi che il Magistero è al servizio della Tradizione; il dramma di AC è di ostinarsi a non voler vedere i mali della Chiesa conciliare, volendoli spudoratamente giustificare ad ogni costo. Questa associazione oggi porta solo il nome di quella che fu. Ormai la sua attività più importante sembra essere quella di fare il guardaspalle a una gerarchia ecclesiastica che continua imperterrita a demolire la Cristianità. Appunto “Cristianità”, una rivista che ho diffuso per 3 anni. In uno dei numeri di quel periodo si poteva leggere una bellissima lettera pastorale sui doveri dei pastori, risalente al 1791, del vescovo francese Mons. De Roger. Leggendola si vedrà lo spirito che animava allora AC rispetto a quello che, purtroppo, è diventata oggi.”
A chi fosse assalito da dubbi o incredulità, riportiamo alcuni articoli pubblicati su riscossacristiana.it di Elisabetta Frezza e Patrizia Fermani, le quali centrano perfettamente il problema quando dicono del “colossale equivoco che si sta consumando ai danni di tutti. Il dramma della situazione attuale è che chi all’apparenza dà ad intendere di combattere per una certa causa (cioè per i gravi problemi etici che sono sul tappeto) in realtà porta acqua al mulino del nemico, al quale assicura il successo anche spostando grandi masse”.
Il loro riferimento riguarda il convegno di Milano del 17 gennaio scorso dal titolo “Difendere la famiglia per difendere la comunità”, organizzato dalla Regione Lombardia e da questa affidato alle cure di Alleanza Cattolica, Fondazione Tempi e Obiettivo Chaire*.
"La vicenda milanese – scrivono Frezza e Firmani - infatti ha generato una vera e propria commedia degli equivoci, dove si vede materializzata l’immagine del famoso detto popolare “due cecati che fanno a pietrate”, con la differenza che qui i “cecati” sono almeno quattro. Perché – come abbiamo detto – Introvigne e compagnia, lungi dal difendere la famiglia contro gli agglomerati di tutti i colori, hanno teso la mano e il braccio tutto intero ai loro presunti antagonisti e hanno addirittura servito loro la soluzione “cattolica” alle aberrazioni assolute che questi vorrebbero infliggerci. E ci riusciranno, perché possono contare su una società allo sbando alla quale può essere inferto solo il colpo di grazia. Intendiamoci, l’idea di fondo non parte dai convegnisti, e per comprenderlo basta buttare l’occhio sulla trama imbastita col Sinodo sulla famiglia, di cui essi si sono fatti diligenti interpreti.
E infatti.
- Il pubblico cattolico probabilmente credeva di applaudire chi tiene alta la bandiera dei principi, mentre invece il presunto eroe della causa la stava ammainando sotto i suoi occhi.
- Gli attivisti di fuori si agitavano tanto e con tanta isterica virulenza contro chi stava in realtà risolvendo tutti i loro problemi “famigliari” e avrebbe meritato, al contrario, i più sentiti ringraziamenti (e probabilmente l’intervento energico ai danni dell’improvvido oratore estemporaneo è stato dettato dal fatto che, non avendo egli capito com’era la faccenda, ha indispettito la direzione).
- Giornali e giornalisti davano addosso, per riflesso automatico e compulsivo, a chi non si adegua (o non si adegua abbastanza) allo spirito del tempo – alle magnifiche sorti e progressive -, quando di questo spirito i relatori milanesi sono stati i migliori interpreti.
Ciascuna delle parti, quindi, ha visto una realtà diversa da quella effettiva.
Con queste premesse, è evidente che la nostra critica ha un senso diametralmente opposto a quello dell’attacco unanime proveniente, pur con varie sfumature, dalla stampa di regime. La nostra denuncia vuole semplicemente, e in totale controtendenza, mettere a nudo le vere intenzioni di Introvigne, del “Sì alla famiglia”, della Croce, e di tutti coloro che scientemente si sono accodati alla allegra brigata.
Intenzioni che peraltro emergono bene – ci fosse stato bisogno di ulteriore conferma – dalla risposta di Introvigne a Crippa, sul Foglio. Egli, relegando il tema-famiglia entro una prospettiva meramente economica, dimostra di avere completamente abbandonato quella etico-morale. Il concetto stesso di famiglia viene così per forza di cose snaturato, dissolvendosi in ogni genere di convivenze. Quelle per le quali il professore si affanna a organizzare addirittura dei testi unici.
Insomma, l’intellighenzia sedicente cattolica e una corte che piace – tutti sotto l’aggiornato ombrello vaticano – suscitano entusiasmi, acquietano le coscienze, e trasportano i più là dove essi non sanno neanche di andare."
Per concludere, rinviamo ad un articolo del direttore della Corsia Stefano Arnoldi dal titolo ⇒Il prof. Introvigne e il suo magistero e ad un articolo di Elisabetta Frezza pubblicato su ⇒effedieffe.com
... Con la speranza di essere stati chiari...
La Redazione
*[Per chi intendesse approfondire la questione del Manifesto del “Sì alla Famiglia”, riportiamo l'articolo comparso su riscossacristiana.it sempre di Elisabetta Frezza e Patrizia Fermani - Il Manifesto del “Sì alla Famiglia” è una operazione della più farisaica tartuferia pseudo-cattolica dai tempi del cattolicissimo voto su divorzio, aborto e fecondazione artificiale.
E qui l’intento include, ancora una volta, la convinzione di poter vendere come una buona merce una polpetta avvelenata, con la sicurezza che le parole edificanti di un lessico buono per tutti gli usi bastino a saziare le stanche aspettative di un uditorio abituato ormai a vivere di aria fritta, e di accontentarsene.
A confezionare il pacco bastano alla fine pochi ingredienti, oltre le parole passe-partout:
1) il biglietto da visita “cattolico”, nella accezione oggettiva di “capace di qualunque contenuto” richiesto dalla circostanze storiche;
2) il richiamo al Magistero della Chiesa aggiornato e adattato alle circostanze di cui sopra;
3) il patto di non belligeranza da firmare con chi ti ha messo lo scarpone sul petto;
4) la capacità di cambiare le carte in tavola, nella certezza che, tanto, nessuno conosce più le regole del gioco.
Forti di tutto questo, gli estensori del Manifesto possono contare sulla compiaciuta esegesi di Massimo Introvigne, che ha affinato sempre più, da qualche mese a questa parte, la capacità di negare soprattutto l’evidenza.
La presentazione del Manifesto gioca subito quello che l’Autore ritiene essere il carico da undici, la frase più famosa dell’anno e destinata a sciogliere ogni residua opposizione alla trasformazione della società normale in società omosessuata, sterile e autofaga. L’agnosticismo papale consacrato ad alta quota ha innegabilmente risparmiato ogni defatigante sforzo di contenimento di quel processo ormai avanzato di trasformazione. Essa contiene infatti: l’abolizione della funzione di guida legata al ministero petrino; il disconoscimento della autorità della Scrittura sulla quale si poteva ancora reggere anche il cattolicesimo protestantizzato; l’abolizione di ogni criterio oggettivo per la elaborazione di qualsiasi attività valutativa.
Questo ultimo traguardo si è raggiunto facilmente attraverso la contraffazione della pericope evangelica che viene presentata come pezza di appoggio, e che vuole dire “non giudicate secondo l’apparenza (quella che ti fa vedere la pagliuzza e nasconde il trave, ndr), ma secondo il giusto giudizio” (Giovanni 7,15), laddove “giusto” significa, ovviamente, non secondo il proprio criterio quale che sia, ma secondo la legge di Dio.
La distorsione del versetto evangelico viene in verità svelata allo stesso Autore dalla sua contraddizione con l’altro passo del Vangelo, quello che condanna chi scandalizza i piccoli, e pure con il Catechismo della Chiesa Cattolica, dove dice che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati» e «in nessun caso possono essere approvati» o fondare riconoscimenti giuridici. Ma l’Autore non se ne dà soverchia pena: in clima di dialettica degli opposti, basta proporla come espressione del pluralismo evangelico.
Con in mano la carta truccata dell’impossibilità del giudizio, ecco che ogni realtà diventa accettabile, e se poi qualcuno te ne vuole imporre una valutazione determinata, ecco che sei obbligato in questo caso a farla tua, e puoi giudicare almeno come giudica il Corriere della Sera.
E se la omosessualità è l’ultima virtù in ordine cronologico, ecco pronta una legge per punire severamente chi continua ad intenderla come una grave anomalia del comportamento, e la sua propaganda come un attentato alla società intera e alla libertà di educazione in particolare.
Il disegno di legge Scalfarotto, che vuole elevare la omosessualità a bene giuridicamente protetto e punire severamente chi non la pensa così, diventa cosa buona e giusta. E il Manifesto la fa proprio in toto, ribadendo con forza la necessità non solo di punire più gravemente il reato commesso ai danni di un omosessuale rispetto a quello commesso contro chiunque altro, ma anche di frugare nella coscienza individuale per scoprire se un sentimento “omofobico” meriti un apposito aumento di pena.
Neppure il diritto sovietico era arrivato a tanto, ma ci arrivano con impareggiabile sicumera gli estensori cattoliberali illuminati del Manifesto. Per mantenere il candore virginale di facciata proclamano comunque ad pompam la condanna del reato di opinione proposto da Scalfarotto, e che hanno appena caldeggiato (non certo inconsapevolmente).
Ma la nuova evangelizzazione vuole che la resa senza condizioni alle sorti luminose e progressive del mondo nuovo si rivesta del lessico di ordinanza. Lo spirito aperto a tutto (che magari riecheggia un po’ lo Spirito Santo) e il sogno della pace universale deve permeare ogni proposizione. Una, nel commento parodistico del prof. Introvigne, le riassume tutte: “lasciamoci interrogare”.
L’estasi irenica – capace di tramutare in gioia anche il peso del famoso scarpone – si esprime nella continua, cadenzata, affermazione di non essere “contro”. Anche qui le mosse vengono prese dal Vangelo. “Chi non è con me è contro di me” (Mt 12, 30), “Chi non è contro di noi è con noi” (Mc 9, 40).
Giacomo Biffi, nel suo famoso Quinto Evangelo con cui negli anni Settanta commentava la nuova teologia, rilevava “una certa confusione già nei testi canonici”, suscettibile di essere superata proprio da una lettura più aggiornata nel: “Chi è contro di noi, è per noi”. Introvigne accoglie pienamente questa lezione, e la ricambia: “Noi non siamo contro di voi perché siamo per voi”].