Ausculta filii praecepta magistri
San Benedetto da Norcia (480-597) rifugiatosi nella grotta di Subiaco, dopo esser fuggito dall’ambiente universitario di Roma nel 497 corrotto intellettualmente e moralmente, scrisse una Regola che ultimò giunto a Cassino (529) dopo i trent’anni passati a Subiaco, di cui tre nella grotta o sacro speco. La Regola doveva riuscire utile a tutti i cristiani per l’educazione allo spirito di Cristo e necessaria ai futuri monaci Benedettini.
Il Santo di Norcia inizia la sua Regola con un consiglio: “Ascolta o figlio gli insegnamenti del Maestro”. Egli si presenta come Maestro, ma non è sacerdote, non ha avuto ancora alcun mandato canonico, ha ricevuto semplicemente l’abito monastico dal monaco Romano a Subiaco; eppure, grazie alla sua vita di unione con Dio per tre anni – in piena solitudine, preghiera, lavoro e silenzio – nella grotta di Subiaco, si sente in dovere di trasmettere agli altri: “Ho trasmesso ciò che ho ricevuto” (1 Cor., XV, 3) ciò che Dio aveva dato e insegnato a lui: “Contemplare e trasmettere agli altri i frutti della propria contemplazione” (S. Tommaso d’Aquino).
Oggi dopo 50 anni di crisi neomodernistica, che ha invaso l’ambiente ecclesiale, i fedeli hanno perso, e come dar loro torto, la fiducia nel clero. Tuttavia non bisogna esagerare e cadere nell’anarchia spirituale ancor più deleteria di quella politica.
I fedeli sono tentati di darsi da se stessi le soluzioni al grave problema che l’ambiente cattolico sta affrontando.
Alcuni pensano di dover obbedire anche ad ordini contrari all’insegnamento cattolico, alla morale naturale, alla liturgia di Tradizione apostolica pur di essere in regola giuridicamente di fronte agli uomini, ma non di fronte a Dio. Infatti non si può obbedire ad ordini illeciti, non si possono seguire dottrine erronee, non si può celebrare una liturgia semi-protestantizzata senza dispiacere oggettivamente al Signore, soggettivamente solo Lui lo sa.
Altri scelgono la via del fai da te. È comprensibile, ma è assai pericolosa, può portare all’anarchia luterana o al “carismatismo”. Occorre molta prudenza. Normalmente “chi si dirige da sé è diretto da un asino” (San Bernardo di Chiaravalle). Tuttavia in casi eccezionali, quando non vi sono guide affidabili ci si rimette nelle mani di Dio, ma con umiltà e pregandolo di far cessare al più presto tale stato anormale, senza seguire nessuna “strada nuova”, attenendosi a ciò che si è sempre fatto in tempi normali (v. Vita di S. Giovanna da Chantal).
Il potere non viene mai dal basso, soprattutto nella Società spirituale che è la Chiesa (ed anche nella Società temporale che è lo Stato). “Non esiste nessun Potere che non venga da Dio” (Rom., XIII, 1).
Il Sedevacantismo può sembrare una soluzione. Ma teologicamente mette un rattoppo (decreta la fine della Chiesa gerarchica) ad un buco (crisi modernista), che è peggiore del buco stesso. Infatti la Chiesa durerà sino alla fine del mondo e sormonterà ogni crisi: “Le porte degli Inferi non prevarranno contro essa (Mt., XVI, 18). “Io sarò con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo” (Mt., XXVIII, 20).
I sedevacantisti totali pretendono di eleggere loro stessi il Papa e molti antipapi “girano per il mondo a perdizione delle anime”. Il Sedevacantismo mitigato e più equilibrato della Tesi teologica di Cassiciacum del padre domenicano Michel-Louis Guérard des Lauriers (che inizialmente era assai acuto e poteva sembrare una soluzione valida) è giunto ad una strada senza uscita: Paolo VI è morto, non è diventato mai Papa formale o in atto e non può diventarlo più: un cadavere non è un Papa in potenza o materialmente. Benedetto XVI non sarebbe stato neppure Vescovo (secondo la suddetta Tesi teologica) e papa Francesco I non sarebbe neanche Sacerdote (sempre secondo la Tesi di Cassiciacum). Quindi la Chiesa gerarchica come Cristo l’ha voluta e fondata su Pietro e gli Apostoli (Papi e Vescovi) non sussisterebbe più. Ma ciò è contro la Fede: “Credo la Chiesa, una , santa, cattolica edapostolica” (Simbolo niceno/costantinopolitano).
Per cui resta la via insegnataci da un altro grande monaco, S. Vincenzo da Lerino del V secolo: “se un giorno l’errore arrivasse ad invadere anche l’intera Chiesa, bisognerebbe continuare a fare e a credere ciò che la Chiesa ha sempre comandato ed insegnato. Quod semper, quod ubique quod ab omnibus” (Commonitorium, III, 15).
Praticamente bisogna 1°) studiare la natura della Chiesa alla luce dei manuali di Teologia dogmatica per non cadere in errori ecclesiologici. Infatti “un errore non si corregge con un altro errore”; 2°) agire conformemente alla Teologia cattolica sulla Chiesa e non alle nostre idee su di Essa per restare integralmente cattolici in questi tempi apocalittici ed anticristici; 3°) praticare la preghiera e la penitenza, come ci ha raccomandato la Madonna a partire da Lourdes (1858) sino a Fatima (1917-2010).
Per far ciò occorre un minimo di buona volontà, di sforzo e di costanza nell’imparare le nozioni basilari sulla Chiesa di Cristo come Dio l’ha voluta, come un discepolo che ascolta il maestro, e non come la vorremmo noi. Solo dopo si potrà affrontare il problema di come poter reagire alla crisi che tormenta gli uomini di Chiesa e non la Chiesa, che è il “Corpo Mistico di Cristo” (Pio XII, Enciclica Mystici Corporis Christi, 1943).
[...] Infatti non si può presumere di riparare un danno se non si conosce la natura della cosa danneggiata e non si hanno le nozioni basilari di “ingegneristica”. In breve “non bisogna mettere il carro avanti ai buoi”. “Ausculta filii praecepta magistri”…
Soprattutto non bisogna mai dimenticare che “questo genere di demoni [errori modernistici, nda] si scacciano con la preghiera e con il digiuno” (Mt., XVII, 21) e non con le chiacchiere, i pettegolezzi e le sterili polemiche. Se non si ha voglia di ascoltare con pazienza e apprendere con lo studio e lo sforzo, non si perda tempo. Purtroppo l’uomo di oggi ribalta il motto di S. Benedetto: “Ascolta o maestro gli insegnamenti del discepolo…”. Ma ciò è follia anarcoide. […] Pace e Bene a tutti!
Don Curzio Nitoglia