Per la contraddizion che nol consente
“Assolver non si può chi non si pente,/né pentere e volere [rimaner nel peccato] insieme puossi / per la contraddizion che nol consente” (Inferno, XXVII, 118-120). Così Dante, il quale, alla scuola di S. Tommaso d’Aquino, ci ricorda 1°) chenon si può assolvere, e quindi ammettere ai sacramenti, chi non si pente del suo peccato e non propone di lasciarlo con ferma volontà; 2°) che è impossibile il pentirsi e assieme il voler restare nel peccato, perché è contraddittorio e il contraddittorio, in quanto sommamente sconveniente e deficiente, non può volerlo neppure Dio[1]; 3°) che se si nega il principio di non contraddizione speculativo (sì = sì, no = no, sì ≠ è no) si arriva immancabilmente a negare anche il primo principio pratico o sinderesi (“fa il bene ed evita il male”) e quindi si scambia il bene con il male. È quello che succede nel mondo attuale, che è un mondo capovolto, il quale si fonda sulla contraddizione come via per giungere alla verità (secondo la logica capovolta di Hegel).
Questi tre versetti della Divina Commedia sono oggi più che mai attuali. Infatti nel Sinodo sulla famiglia si sta deliberando di concedere la comunione anche ai divorziati, che convivono e non vogliono lasciare lo stato di concubinato.
È già motivo di scandalo e causa di confusione l’aver indetto un Sinodo per discutere una verità morale mai messa in discussione nella Chiesa cattolica: i fedeli sono così autorizzati a pensare che si tratti di questione opinabile, di “questione aperta” (come dicono i teologi) e non di dottrina certa ed immutabile.
Il Catechismo di san Pio X, quanto alla comunione, insegna: “per fare una buona comunione è necessario essere in grazia di Dio, […] ossia avere la coscienza monda da ogni peccato mortale. […]. Chi si comunica sapendo di essere in peccato mortale, riceve Gesù Cristo, ma non la sua grazia, anzi, commette un orribile sacrilegio, e si rende degno di dannazione” (nn. 335, 336, 337).
Quanto alla confessione, San Pio X spiega: “per fare una buona confessione si richiede il dolore dei peccati e ilproponimento di non commetterne più. […]. Il dolore o pentimento è quel dispiacere ed odio dei peccati commessi, checi fa proporre di non più peccare. […]. È necessario avere il dolore di tutti i peccati mortali non ancora confessati o confessati male, perché con qualunque di essi si è gravemente offeso Dio” (nn. 358, 361, 368).
San Tommaso d’Aquino scrive che “i dannati non si pentono del peccato in sé, poiché in essi la volontà rimane attaccata alla malizia del peccato” (S. Th., Suppl., q. 98, a. 2).
Un mondo senza Dio e perciò contro Dio
Il “Mondo moderno”, con il quale il Vaticano II è entrato in “dialogo” ed al quale si è uniformato e va sempre più uniformandosi invece di convertirlo[2], è senza Dio e dunque è contro Dio: “chi non è con Me è contro di Me” (Mt., XII, 30), poiché non crede più a nulla, neppure all’ ateismo, il quale almeno crede che Dio non esiste. Esso non si preoccupa neppure di pensare che Dio non esiste: è abulico, agnostico, indifferente, apatico.
Il “Mondo moderno” non è per Dio, ma è per Mammona. Infatti esso è retto da un’ideologia (il “liberismo liberale, libertario e libertino”, Milton Friedman) che rende il guadagno, la ricchezza materiale, l’ affaristica “il Padrone di questo Mondo” (Gv., XII, 31), il quale dice all’uomo moderno: “ti darò tutte queste ricchezze se cadendo in ginocchio mi adorerai” (Mt., IV, 9). Ma Gesù ci ha detto che “nessuno può servire assieme due padroni, Dio e Mammona” (Mt., VI, 24) e all’ultima tentazione di satana rispose: “vade retro satana. Adorerai solo il Signore Dio tuo” (Mt., IV, 10).
Il disordine più grave del “Mondo moderno” non viene tanto dalla sensualità, di cui pur ribocca freudianamente, ma soprattutto dall’ avarizia o dall’attaccamento, senza limiti né misura, dell’uomo moderno al denaro e ai beni terreni quasi fossero il suo fine ultimo e principalmente dall’orgoglio che è interscambiabile con l’avarizia in quanto fa dell’Io dio e dell’ attaccamento a sé la nuova divinità della Modernità. Nell’orgoglio è l’Io a prendere il posto dell’oro; esso è perciò solo una forma più spiritualizzata dell’ avarizia[3].
Un mondo contro l’uomo
Il “Mondo moderno” è contro la famiglia e il capo-famiglia ed ha pianificato l’attentato contro l’uomo che osa fondare una famiglia assieme ad una donna per metter al mondo tante anime da mandare in Cielo. Tutto è contro di lui. Gli si aizza contro la moglie, i figli, i nonni, la scuola, l’assistente sociale, il dottore, la cassa mutua, le tasse, la televisione, il prete progressista, l’educazione sessuale, l’ omosessualità… Il male assoluto nel “Mondo moderno” è incarnato dal capo-famiglia, quello che i nostri padri, ancora pagani ma naturalmente sani, chiamavano “pater familias”.
Il “Mondo moderno” è contro Cristo, vero Dio e vero uomo, che incarna tutti i valori odiati dalla Modernità: Dio, il figlio obbediente della Sacra Famiglia, il povero nato nella mangiatoia e morto sulla Croce, Colui che si è sacrificato per portare l’umanità a Dio ed ha predicato i tre Consigli: “Castità, Povertà e Umiltà”. Il “Mondo moderno”, invece, vive secondo le tre Concupiscenze: “Sensualità, Avarizia e Orgoglio”. Ed allora quale accordo può esservi tra Cristo e Belial (II Cor., VI, 15), tra tenebre e luce, tra Dio e Mammona, tra Cielo e “Mondo moderno”? Nessuno. “Per la contraddizion che nol consente” (Inf. XXVII, 120).
Il dramma del Concilio Vaticano II e del post-concilio consiste proprio nel voler conciliare l’ inconciliabile: Dio e Mammona, Cristo e Belial, tenebre e luce, nell’«aver perduto lo spavento della contraddizione» (R. Amerio), nel voler sposare il soggettivismo individualista e relativista con il dogma cristiano e la morale oggettiva e naturale. Così la gerarchia sta “commettendo un orribile sacrilegio, e si rende degna di dannazione” (Catechismo di S. Pio X, n. 337) poiché non solo “si comunica sapendo di essere in peccato mortale” (Catechismo di S. Pio X, n. 336), ma addiritturainsegna anche agli altri a farlo, li corrompe, li scandalizza e cerca di mandarli all’inferno. E poi dice di farlo in nome di una “misericordia” che è vera crudeltà e adduce “motivi pastorali” quasi che la pastorale non deve applicare i princìpi immutabili alla vita concreta, ma debba contraddirli!
Solo così si spiega la volontà contraddittoria (“per la contraddizion che cel consente”, parafrasando e contraddicendo Aristotele, San Tommaso e Dante) del Sinodo sulla famiglia (ottobre 2014-ottobre 2015) di concedere i Sacramenti e l’ Eucarestia ai divorziati, i quali convivono con un’altra persona, che non è il coniuge, e non vogliono lasciare questo stato di peccato abituale.
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[1] “Là ove vi è pienezza di essere, ossia in Dio (l’Essere stesso per essenza), che è l’Atto puro senza nessuna potenza e deficienza di essere, non è possibile il male e l’imperfezione; il male invece si trova mescolato col bene dove c’è potenza o composizione di materia e forma, di potenza e atto, di essere ed essenza e quindi defettibilità, ossia poter venir meno e sbagliare” (S. Tommaso d’Aquino, De malo). Cfr. P. Parente, Il male secondo la dottrina di S. Tommaso d’Aquino, in “Acta Academiae Pontificae Romanae Sancti Thomae Aquinatis”, Roma, 1940.
[2] Francesco I risponde a Eugenio Scalfari: “Il Vaticano II, ispirato da papa Giovanni e da Paolo VI, decise di guardare al futuro con spirito moderno e di aprire alla cultura moderna. I padri conciliari sapevano che aprire alla cultura moderna significava ecumenismo religioso e dialogo con i non credenti. Dopo di allora fu fatto molto poco in quella direzione. Io ho l’umiltà e l’ambizione di volerlo fare” (Repubblica, 1° ottobre 2013, pag. 3).
[3]Dalla Concupiscenza degli Occhi (avarizia e curiosità) nasce l’attaccamento disordinato a questa vita come se fosse quella eterna (S. Th., I-II, q. 84, aa. 3-4; De malo, q. 8, a. 1): essa tende a farci scambiare il mezzo per il fine (S. Th., II-II, q. 118; De malo, q. 113), è una specie d’idolatria, è “il culto del Vitello d’Oro; non si vive più che per il denaro. Non si dà nulla o quasi nulla ai poveri e alle opere buone: capitalizzare, ecco lo scopo supremo a cui incessantemente si mira. […]. La civiltà moderna ha sviluppato una forma parossistica dell’ amore insaziabile delle ricchezze, la plutocrazia, per acquistare quell’ autorità dominatrice che viene dalle ricchezze, onde comanda ai Sovrani, ai Governi e ai popoli. Questa signoria dell’oro degenera spesso in intollerabile tirannia” (Adolfo Tanquerey, Compendio di Teologia Ascetica e Mistica,Roma-Parigi, Desclée, 1924, pp. 556-557).